Non è che stamattina io mi sia iscritta al Movimento per la Decrescita Felice, né che io creda che il Fil (Felicità interna Lorda) possa essere totalmente indipendente dal Pil. Ci mancherebbe. Ma quando leggo che la ripresa dei consumi in Italia (+1,6%) arriverà solo nel 2012, dopo un modesto 0,4% del 2010 e un calo nel biennio 2008-2009 a livelli di dieci anni fa -e però se non si muove il mercato del lavoro, e al momento non ci sono segnali confortanti, Gesù, vediamo come andrà il referendum a Torino, hai voglia a fare proiezioni…-, ecco, quando leggo questo, mi viene da fare un distinguo.

Non è detto che la decrescita sia necessariamente felice, ma anche la crescita dei consumi può non esserlo affatto. Intanto dipende da quali consumi. Ci sono consumi che ti danno una botta apparente di felicità, sul momento, a cui segue un rovinoso down, tipo cocaina: consumati dai consumi. Insomma, voglio dire che c’è consumo e consumo. E mi pare a occhio di poter dire questo: che meno un consumo è facilmente consumabile, quanto più un oggetto di consumo dura, insomma, e maggiori garanzie di “felicità” ci dà. L’usa-e-getta del godimento immediato, senza il differimento del desiderio, a cui una certa idea dei consumi ci ha abituato -e di cui l’economia dice di avere bisogno- è spesso infelice, ha in sé l’idea della deperibilità e della morte: l’animale umano ha bisogno di un minimo di stabilità e dell’attesa desiderante. Quindi, da un certo punto di vista, meno consuma e più è felice.

La qualità, la quantità e la stabilità delle relazioni: questo sì, che promette felicità.

Insomma: qualche pensiero sparso, stamattina, per non farci ingannare dal tromp-l’oeil di un 2012 allegramente ri-consumistico e perciò felice. Credo che questi tempi, alla Sex and the City, non torneranno più. Nemmeno in Sex and the City, che quando lo rivedi ti pare così antico… Usiamo il 2011 come un surplace per capire che cosa davvero vogliamo consumare. E quindi che cosa vogliamo davvero produrre.