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Michel Houellebecq

Donne e Uomini, questione maschile Febbraio 9, 2015

Prostituzione: il diritto maschile alla “scarica”. E tutto il resto. Come stiamo tornando indietro, incapaci di reagire

Meno male che c’è quel bravo ragazzo di Carlo Verdone, che intervenendo nel dibattito sulla prostituzione all’Eur e zona a luci rosse, la butta lì, quasi scusandosi: “è una mossa viziata da un errore etico di base, ammettere che il corpo femminile possa essere messo in vendita. Sarò all’antica e sarò ingenuo, ma non posso accettare una cosa simile“.

Intanto ci sono donne in Parlamento, come la senatrice Pd Maria Spilabotte, che progettano la legalizzazione della prostituzione: il mestiere “più antico del mondo” diventerebbe a tutti gli effetti “una professione come un’altra”, benché di “professioniste” autogestite si possa parlare a dir tanto nel 20 per cento dei casi, visto che per il restante 80 per cento si tratta di schiave sessuali. Sempre più giovani: Lolita, mica la Gradisca. Una pseudo-pedofilia. Come le ragazzine vendute con tanto di pezzo di marciapiede dai rumeni a Milano, o le “massaggiatrici” dei bordelli cinesi che infestano le nostre città.  Un bel quartierino ordinato a luci rosse, con tanto di controlli sanitari e dichiarazione dei redditi, e tutte le altre, 8 su 10, spesso prive di permesso di soggiorno, che continueranno a battere nascoste nel resto della città, reiette tra le reiette. Come se bastasse una decisione amministrativa a fare ordine in quel grande disordine simbolico che è lo sfruttamento sessuale.

Certo: spiacevole entrare nell’androne di casa tua e scoprire cliente e prostituta che si accoppiano, o affacciarti alla finestra e vedere auto in sosta che sobbalzano: ma che cosa ci preoccupa di più? il decoro dello stabile o la riduzione a povere cose di decine di migliaia di donne? Che cosa pensiamo di ottenere rivendicando di non vedere?

Il diritto maschile alla “scarica” è il grande indiscusso: la sessualità degli uomini è questo, non ci si può fare niente. C’è stato un tempo in cui si provava a parlarne, ma a quanto pare quel tempo è finito. Le cronache ci parlano degli aguzzini che sfruttano le ragazzine, ma mai una parola sugli uomini che di quella carne in schiavitù godono (rimozione assoluta del godimento femminile, la donna definitivamente Altra) e senza i quali il business non esisterebbe. Che gli uomini comprino carne di donna in vendita è un dato di natura immodificabile. Forse, anzi, si potrebbe mutuare dall’Islam l’istituto del matrimonio temporaneo o nikah al mutah (letteralmente: matrimonio di godimento), che consente ad un uomo di contrarre matrimonio per un periodo limitato nel tempo, qualche ora, qualche giorno: la prostituzione secondo il Profeta e la Sharia, nel caso 4 mogli non bastassero. Senz’altro più ordinato e decoroso che i copertoni per strada.

La grande normalizzazione, o backlash, prevede tra le altre cose anche il ritorno all’aborto clandestino, in assenza di qualunque discorso pubblico: se ne riparlerà a marzo al Parlamento Europeo, ma grandi mobilitazioni non se ne vedono, diciamo la verità. Quasi nessuna fa un plissé. Non vogliamo vedere, non vogliamo sapere, il femminismo di Stato va alla grande, 50/50 anche nelle assemblee di condominio, ma ”sottomissione” è una parolina molto up to date, l’illuminismo un vecchio arnese, l’ormai inevitabile civilization change prevede che si abbassi un bel po’ la cresta.

Recensendo il romanzo di Michel Houellebecq Marco del Corona sostiene che forse l’autore “vuole offrirci, dopo tanto scoramento, un barlume di speranza: se c’è un argine alla sottomissione romanzesca prefigurata da Sottomissione, può venire solo dalle donne”.

E lo psicoanalista Fethi Beslama, sottolineando che “l’assioma che soggioga la soggettività maschile è godere delle donne e odiare il loro desiderio”, (Dichiarazione di non sottomissione – Poiesis) e inscrivendo nell’agonia del patriarcato la violenza del fondamentalismo islamico, sostiene che “la catena della schiavitù e della politica disumana non può essere spezzata se le donne rimangono asservite a questa configurazione del femminile, chiuse sotto chiave dalla sovranità dispotica dell’uomo stallone”.

Cito due uomini, non due femministe. Non sarebbe il momento di discuterne?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

diritti, Donne e Uomini, Femminismo, questione maschile Gennaio 6, 2015

Noi donne occidentali e la minaccia islamista alla libertà femminile

Per i “progressisti”, chiamiamoli così, è molto difficile criticare l’Islam: anche solo ammettere che costringere le donne a nascondere il loro corpo, del tutto o in parte, per non eccitare gli uomini è una pratica profondamente misogina. Ci sarà sempre qualcuno e anche qualcuna che ti riconduce all’ordine dicendoti che quelle sono usanze e vanno rispettate. Importa molto meno che quelle “usanze”, e altre anche più violente, come i matrimoni combinati, la poligamia, le spose bambine, o peggio, hanno come comun denominatore una gravissima limitazione della libertà di creature nate libere come tu stessa pretendi di essere.

Un altro argomento è che quegli usi brutali non appartengono all’Islam, ma alla cultura arcaica e tribale di quei popoli, e che usi e costumi simili fanno parte del nostro passato: resta però il fatto che la grande parte dell’Islam non si oppone a quei costumi e anzi, a quanto pare, la cosiddetta islamizzazione va di pari passo con l’imposizione di quegli usi, la maggioranza dei quali ha a che vedere con la limitazione della libertà femminile. Un’esigua minoranza dell’Islam legge e rilegge i testi per trovarvi fondamenti di libertà a vantaggio delle donne e di tutti, ma a giudicare da come stanno andando le cose l’operazione non sta dando i risultati sperati. La morsa dell’Islam fondamentalista è sempre più feroce, sempre più vicina, e forse sarebbe il momento di cambiare strategia.

Altro argomento ricorrente è che quelle donne scelgono liberamente di velarsi, di vivere segregate o altro: qui l’ipocrisia è lampante. Diciamo piuttosto che quelle donne scelgono di vivere, o almeno di sopravvivere. L’unica alternativa alle condizioni imposte sarebbe la fuga –le più ricche spesso riescono a espatriare- oppure la morte, quanto meno la morte civile.

Il nuovo romanzo di Michel Houellebecq, “Sottomissione” (in libreria per Bompiani il prossimo 15 gennaio) parla della Francia del prossimo decennio, con un presidente musulmano, l’Islam che ha trionfato sull’Illuminismo, le donne che rinunciano all’emancipazione, l’introduzione della poligamia: la perdita di libertà delle donne è il perno del cambiamento. Un’Europa debole e sfinita che ha ceduto alla forza di quel credo. La destra, a cui Michel Houellebecq fa riferimento, ha costruito da tempo una narrazione piuttosto dura ma inequivoca contro l’islamizzazione: i musulmani sono nemici che vanno combattuti,  in caso diverso soccomberemo. La narrazione della sinistra è più incerta e di maniera: dialogo con l’Islam moderato, tolleranza, convivenza. Ai confini con l’indifferenza. Il monopolio della critica è ceduto alla destra. Una political correctness che secondo intellettuali femministe musulmane come Irshad Manji e Ayaan Hirsi Ali (tra l’altro cofirmatarie del Manifesto dei dodici che parla dell’islamismo come di un nuovo totalitarismo) l’Islam fondamentalista legge come debolezza. Ma la maggioranza delle femministe occidentali, legate storicamente e culturalmente ai movimenti di sinistra, condivide questa impostazione dialogante e tollerante. E parlando di quelle donne maltrattate, vessate e segregate, osserva che tocca a loro decidere di lottare in prima persona per la propria libertà.

In questo atteggiamento del femminismo occidentale io vedo un notevole grado di ignavia “borghese”, una ritrosia culturale e politica a fronte di problemi di difficilissima soluzione. Vero che io non posso sostituirmi a un’altra nella sua ricerca di libertà, anche quando sento tutta la sua sofferenza, ma in questo silenzio di grande parte del femminismo io vedo un problema per la mia stessa libertà. Non posso più a lungo tacere –in verità non ho mai taciuto- di fronte alla violenza misogina di una cultura con cui mi tocca convivere in modo sempre più stretto. Non posso non constatare che questa “tolleranza”, questo “rispetto” e questo silenzio non stanno impedendo l’islamizzazione di aree sempre più vaste del mondo. Accanto alla sofferenza di quelle donne io ci vivo, nel mio quartiere.

La prima cosa che farei, quindi, è rompere il silenzio “tollerante-indifferente”, guardare in faccia la realtà, nominare la misoginia di quella cultura, riconoscere questa misoginia come costitutiva dell’islamismo e non come un fatto occasionale o collaterale. Vorrei poterlo fare senza che ciò significhi necessariamente ed automaticamente una difesa acritica e compatta dell’Occidente e delle sue magnifiche sorti e progressive: e tuttavia risposte tipo “anche noi abbiamo i nostri problemi” o “è colpa nostra se le cose stanno andando così” mi sembrano solo un modo per poter permanere indisturbate nell’ignavia.

Ho molto bisogno di parlarne con altre. Ho bisogno di capire che cosa sia giusto dire e fare.

Spero ci siano presto le occasioni, che finora sono state davvero poche.

 

ultim’ora: l’attentato a Charlie Hebdo, 11 settembre di Parigi, mi fa sentire Cassandra