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AMARE GLI ALTRI, migranti, Politica Settembre 8, 2015

Il coraggio di Angela. E quello di Giusi?

Giusi Nicolini, sindaca di Lampedusa

I giornali e i social network sono pieni del “coraggio di Angela”, di omaggi e di chapeau.

Di Angela Merkel ammiro soprattutto la velocità con cui ha deciso, quasi all’improvviso, di cambiare rotta sul tema dei migranti. Anche il rosso-verde Joshka Fischer dice oggi al Corriere di essere rimasto sorpreso. Sostiene che probabilmente la svolta è arrivata dopo l’attacco dell’estrema destra a una struttura per rifugiati a Eledenau, Sassonia. E aggiunge: “A differenza dell’Italia che vive ogni giorno la realtà drammatica dei profughi, dei morti nel Mediterraneo, la Germania sembrava lontana dall’emergenza. E improvvisamente sono lì, hanno percorso migliaia di chilometri, anche a piedi, per venire da noi. Impressionante”.

Non sono tra i dietrologi che sostengono che Merkel si stia semplicemente procurando mano d’opera a basso costo, o che abbia detto sì ai siriani, meno poveri e più scolarizzati, per poter dire no ai poverissimi del Corno d’Africa: sento dire questo. Penso che di fronte a certe immagini (fra cui quella del piccolo Aylan, ma anche quelle del Tir stipato di corpi morti nei pressi di Vienna, che ricordava l’orribile passato tedesco degli ammassi di cadaveri ad Auschwitz) la signora Merkel abbia compreso che la questione ormai l’aveva in casa, che non era più un problema confinato nel bel mare azzurro dove ogni anno viene a passare un paio di settimane in vacanza, e che la società tedesca chiedeva una presa di posizione rapida.

Perciò bene, la scelta di Angela, che sembra aver finalmente destato una coscienza europea. Ma a Joshka Fischer, e a tutti quelli che si levano il cappello davanti ad Angela, e dicono “hai visto la Germania? E invece l’Italia…”, ricordo che sono anni che noi sappiamo che quella gente percorre a piedi migliaia di chilometri, patendo l’inferno della detenzione in Libia e spesso affogando in mare. Sono anni che i marinai delle nostre navi militari (io ci sono stata) raccattano esseri viventi e recuperano corpi. E dico che io spero che nei libri di storia, al netto delle ributtanti imprese di Buzzi, Carminati & c, il nostro Paese sarà raccontato come il più ricco in Europa della risorsa dell’accoglienza.

Vedo i tedeschi che nel settembre 2015 cantano An Die Freude accogliendo i siriani, mi commuovo, e penso agli anni e anni d’amore dei Lampedusani che hanno perfino ceduto le loro tombe per quei poveri morti.

E voglio nominare il coraggio di Giusi (Nicolini), sindaca dell’isola, piccola e sola, che avrebbe dovuto essere candidata come capolista alle europee, ma poi il Pd, chissà perché, ha deciso diversamente. Peccato, perché forse avrebbe saputo risvegliare prima l’anima addormentata del Continente.

SAREBBE BELLO CHE ALLE MARCE DELLE DONNE E DEGLI UOMINI SCALZI, l’11 SETTEMBRE, PORTASSIMO LA SUA FOTO, PER GRATITUDINE.

AMARE GLI ALTRI, diritti, economics, Politica Aprile 27, 2014

Trafficare in carne umana

Pozzallo (Rg), processione del Venerdì Santo: giovani migranti africani portano la statua della Madonna

Che fosse un enorme business l’avevo chiaro. Non però, come leggo in un libro di Andrea Di Nicola e Giampaolo Musumeci, “Confessioni di un trafficante di uomini” (Chiarelettere) che il business delle migrazioni ormai fosse secondo solo a quello della droga: guardatevi qui un po’ di numeri.

Nell’indifferenza generale si sta realizzando un nuovo capitolo della tratta degli schiavi. Carne umana su cui si specula, che fornisce manodopera a basso prezzo, e nel caso particolare dei minori non accompagnati (più o meno il 15-20 per cento dei migranti che sbarcano sulle coste siciliane), ottima manovalanza per la grande criminalità organizzata. I ragazzini stanno per qualche tempo nei centri di prima accoglienza, se vogliamo chiamarli così (ad Augusta, per esempio, una scuola fatiscente, due docce per quasi 200 ragazzi) e poi scappano per finire chissà dove. Save the Children ha lanciato l’allarme: ormai un migliaio i giovanissimi, soprattutto eritrei e nigeriani, di cui si sono perse le tracce.

Sempre consapevole del fatto che di tutto questo non frega quasi niente a nessuno, segnalo che una parte del business è nostro, di noi italiani brava gente. Ammesso che non ci siano anche italiani a partecipare direttamente alla spartizione della torta in Libia (parlo di campi dove i migranti vengono concentrati in attesa di salpare, parlo di botte e di colpi di machete, parlo di ragazzine tenute in cella a disposizione degli stupratori, e che spesso arrivano gravide in Italia), basta vedere tanti piccoli centri siciliani abbandonati da Dio e dagli uomini che “rifioriscono”. Alberghi, ristoranti, bar che fanno affari con le forze dell’ordine, i giornalisti e i vari osservatori.

C’è dell’altro, come mi racconta Silvia Di Grande, avvocata di Augusta e membro della costituente Rete Civica Nazionale: “Augusta ha moltissimi problemi: il comune è commissariato, la giunta è stata sciolta per infiltrazioni mafiose, abbiamo un buco di bilancio di 60 milioni oltre a gravissimi problemi di inquinamento. A tutto questo ora si aggiunge il fatto che da quando Lampedusa è chiusa agli accessi grande parte dei migranti sbarcano qui. Serve urgentemente un centro di prima accoglienza nella zona del porto. Ma si devono fare i conti con gli interessi di alcuni privati che vorrebbero fare affari affittando proprietà dismesse per l’ospitalità ai migranti: un vecchio albergo fallito, un ex-resort, o un convento sconsacrato”.

Le cose da fare sono tantissime: una di queste è stroncare il business. Forse ha ragione Giusi Nicolini, sindaca di Lampedusa, quando parla di tagliare le gambe agli sfruttatori -ed evitare ai migranti il dramma assurdo della traversata dopo quello delle torture nei campi libici- andando a fare l’accoglienza direttamente nei porti di partenza. Questo consentirebbe anche un migliore governo dei flussi in entrata. E poi aprire un canale umanitario con la Siria, da dove proviene una buona parte dei migranti, intere famiglie in fuga dalla guerra.

Un’altra cosa da fare è pretendere il coinvolgimento di Onu, Unione europea e Unione africana nella gestione della catastrofe umanitaria: il presidio dei confini sud del continente non può più essere una faccenda solo italiana, per quanto generosamente ed efficientemente gestita dalla missione Mare Nostrum (efficienza che, una volta sbarcati a terra, si dissolve).

Infine: spostare nel Mediterraneo la sede di Frontex, attualmente a Varsavia, o almeno aprirvi una seconda sede. Frontex (Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea), istituita da un decennio, rischia di diventare un baraccone burocratico da molti milioni di euro. Lo scorso ottobre a Frontex è stato affiancato Eurosur, sistema di sorveglianza delle frontiere terrestri e marittime. Secondo il relatore di Eurosur, il liberaldemocratico olandese Jan Mulder «solo con un sistema pan-europeo di sorveglianza delle frontiere saremo in grado di evitare che il Mediterraneo diventi un cimitero per i rifugiati che cercano di attraversarlo su carrette del mare, in cerca di una vita migliore in Europa. Per evitare che una tragedia come quella di Lampedusa accada di nuovo è necessario un rapido intervento». Ma al momento, niente di concreto.

Sempre tenendo ben presente che le vere cose da fare si chiamano pace, e giustizia, e sviluppo sostenibile, solidarietà, diritto all’esistenza, pari opportunità per le donne e gli uomini di questo pianeta.

Proprio domani il nostro governo affronterà la questione.