Non so che cosa si può fare -noi, dico- per fermare lo spargimento di sangue in Medio Oriente: da un certo momento della vita in poi, diventando grandi e poi vecchi, ogni morto si comincia a sentirlo come proprio, ogni vittima come una personale sconfitta. E forse qui si apre una strada.

Non so, dicevo, a parte sperare, sì, in una riapertura del dialogo, e sperare che chi ha possibilità di riaprire quel tavolo sia nelle condizioni di farlo al più presto, e sia illuminato da qualcosa, e trovi le parole giuste da dire e le cose giuste da fare.

Ma so senz’altro che cosa possiamo fare noi qui, e da subito. Ed è amare il nostro nemico, se ne abbiamo uno, ed è una cosa così orribilmente difficile. Perché tante volte non riusciamo nemmeno ad amare l’amico, e perfino l’amore che crediamo di portare a chi amiamo spesso è così intriso di odio. Ma se sappiamo riconoscere questo, possiamo avere fiducia nel fatto che anche l’odio che che portiamo nei confronti del nemico è intriso d’amore, e allora si tratta di spostamenti non assoluti, alla portata del nostro passo.

Si tratta di spostare questo, e possiamo farcela. E prima ancora spostare la battaglia da fuori di noi a dentro di noi. E poiché la quantità di male è limitata, se tanti si porteranno un po’ del male dentro, un po’ della battaglia dentro, fuori ce ne sarà meno, fuori ci saranno meno combattimenti e meno morti.

Questo è quello che possiamo fare, io credo.