La storia della piccola Elena morta a Teramo perché il papà l’aveva dimenticata in macchina è semplicemente atroce. Leggo sui giornali stamattina che l’uomo a metà mattinata era sceso per un attimo al parcheggio, aveva aperto l’auto e aveva percepito un flebile lamento. Per un attimo aveva creduto si trattasse di uno dei cani che si era infilato in macchina. Aveva guardato, ma il cane non c’era. “Non mi sono accorto di Elena. Non riesco a spiegarmelo”.

Vediamo quello che vogliamo vedere. Ricordiamo quello che vogliamo ricordare. Deve esistere qualche ragione profondissima e inconsapevole a motivare questa spaventosa, abissale dimenticanza, e il non vedere la propria bambina legata al seggiolino. La pietà suggerisce di distogliere lo sguardo da questo abisso del cuore. Di volgerlo sui nostri abissi, le nostre fragilità, il nostro essere inconoscibili a noi stessi. Di cogliere la terribile occasione per riflettere silenziosamente su questo. Di ammettere che abbiamo un inconscio, e che non dobbiamo illuderci di poter decidere tutto. Di pregare, chi può, per l’anima devastata di quel padre.