Una volta mi chiama l’Ordine dei Commercialisti (ricca categoria) di una città ricchissima. Mi chiedono di coordinargli un convegno: la mia passione per la commercialistica è nota, ma due euri fanno sempre comodo. Faccio presente che la coordinazione di un convegno significa una certa quantità di lavoro preliminare -studio della materia, riunioni e quant’altro- oltre all’impegno per la giornata. Gli dico: a quanto ammonterebbe la mia spettanza? Gelo dall’altra parte del filo: “Ma… veramente… scusi… in che senso”. “Il mio gettone. Il mio cachet”. “Ah! Capisco. Non avevamo pensato che… insomma credevamo…”. Credevano che io, onoratissima per l’incarico, e non avendo nient’altro da fare, mi sarei fiondata pagandomi anche il viaggio. (più sentiti).

Un’altra volta, invece, in cui sono cascata. Università Bocconi, anche qui ente notoriamente poverissimo, gente a cui dei soldi non importa nulla. Convegno sul tema: paternità e top manager, una cosa così. Anche lì: telefonate, riunioni in loco, preparazione delle interviste. € 0,00. Faccio garbatamente presente, mi guardano come un ultracorpo venusiano. Ormai era fatta. Non mi beccano più.

Per cose “militanti”, politiche, femministiche e umanitarie chiedo solo viaggio e alloggio, e spesso nemmeno quello: sono le mie passioni, sono il mio impegno, il mio volontariato, e anche il mio piacere, ci mancherebbe altro. Presento anche libri e film, non sempre volentieri, i più gentili ricambiano con un mazzo di gladioli. E va be’. Ma non mi è chiaro per quale ragione dovrei erogare tempo e lavoro gratuito per ordini professionali con le casse pienissime -l’ho fatto tante volte, sob-, case editrici e cinematografiche, istituzioni, enti locali etc etc.

Anzi, mi è chiarissimo: si pretende, in Italia, che il lavoro intellettuale (o immateriale, o della conoscenza) sia gratuito. Un fatto dello spirito, mai della carne: benché anche certe prestazioni dei sacerdoti, mi pare, abbiano i loro bei tariffari. Se chiami un idraulico gli paghi anche il semplice sguardo alla tubatura. Ma se per esempio ti invitano in tv, a meno che tu non sia un’opinionista di altissimo livello tipo Valeria Marini, puoi dover colluttare perché ti rimborsino almeno il taxi. Con onorevoli eccezioni: superstar borderline tra giornalismo e showbitz, ma anche formatori-formati all’uopo e last minute (vanno fortissimo le formatrici sulla violenza sessista e sulla parità di genere: un business niente male). Ma normalmente il lavoro intellettuale in questo Paese non si paga, o si paga pochissimo. La remunerazione è inversamente proporzionale alla quantità di idee. Quando basta che tu vada in Spagna, come mi è capitato -la Spagna della grande crisi, dico, che mi ha chiamato qualche volta per parlare nelle Università- e per quanto a fatica il tuo impegno viene remunerato.

Insomma, il lavoro intellettuale è come il lavoro di cura: invisibile, gratuito e scontato. Ma senza l’uno come senza l’altro in questo Paese crollerebbe anche quel poco che sta ancora in piedi. Nelle idee di oggi -materia prima del lavoro intellettuale- c’è l’embrione della grande parte del lavoro di domani.

Lavoratori dell’intelletto e casalinghe, unitevi!

p.s: ricordo qui l’insuperata campagna #coglioneno