Non si può tirare il sasso e poi nascondere la mano. E qui bisogna che io almeno provi a chiudere degnamente un dibattito che ho scatenato, molto vivace e partecipato, e che prosegue ad libitum. “C’è qualcuno o qualcosa di cui si può essere quasi costantemente innamorati” avevo chiesto “e senza danni? E di chi o di cosa, secondo voi?” (vi immaginate un sondaggio tv su una faccenda così poco seria, l’amore, con commento di Piepoli o Mannheimer?). Due i filoni di risposta: chi vede nella passione per il lavoro, nella cura di sé, nella gioia serena delle piccole cose di ogni giorno una possibilità di surrogato non nocivo dell’amore, una specie di amore decaffeinato; e chi invece pensa che no, che non ci possa essere amore senza danno e senza rischio, senza quel senso di mancanza, di sbilanciamento, di essere tagliati a metà.
Lo dice Philip Roth rovesciando il mito del Simposio platonico, secondo il quale in origine eravamo un tutt’uno con altro e poi ne siamo stati separati, due semisfere che non smettono mai di cercarsi e nell’amore si ritrovano. Altro che rifare l’intero, obietta Roth, l’amore ti taglia a metà, e quella metà di te che non è più tua è nelle mani dell’altro, che ne fa quello che vuole. Il fatto è proprio qui, in come si vede questa cosa. Se la si intende come una condizione miserabile o sublime. Se in fondo al baratro di questo bisogno radicale, penoso e incolmabile dell’altro c’è l’Inferno, o piuttosto Dio. Se di inferno si tratta, è un inferno che tante donne, hanno sempre cercato. Forse agli uomini come Roth piace di meno. Quel sentirsi protese, fuori di sé, intere solo se divise. I confini del proprio io che si disfano, e questo disfarsi percepito come salvezza. L’equilibrio ritrovato  in questo stare sull’orlo dell’abisso, su una gamba sola,  tendendo la mano verso quello che tu ami.
Io direi che sì, che si può cercare di essere costantemente innamorati, e senza danni, e anzi con un guadagno. Che la meta è il cammino, come spesso capita, e non ce ne accorgiamo. Che l’amore, e cioè il bene, e forse anche Dio, sta proprio nella costante e instancabile ricerca dell’amore.
(pubblicato su “Io donna”-“Corriere della Sera”)