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E ora risparatemi. Questa idea del ministro Gianfranco Rotondi (“Aboliamo la pausa pranzo”) non mi pare affatto una cattiva idea. Io mi auto-organizzo e per me il pranzo proprio non esiste. Quando devo farmene uno, pranzo di lavoro, rallento, mi viene sonno, la ripresa è complicata, ho la sensazione di perdere un sacco di tempo in un rito obbligatorio. Che quell’ora di pausa una o uno possa spendersela come vuole (anticipando l’uscita, posticipando l’entrata, staccando a metà mattina per un’incombenza, e così via) mi sembra una cosa sensata e praticabile, all’insegna di una maggiore flessibilità.

Il punto di osservazione del ministro, poi, è squisitamente romano. “Il dottore è in pausa pranzo” spesso significa che prima delle 16.00-16.30, tra fritturine e pizza bianca, non si vedrà nessuno. E ora che si ricarbura -vuoi non berti un paio di bicchieri di bianco?- si fanno minimo le 17.00. Se l’altro dottore nel frattempo fosse in servizio con il suo yoghurt, magari sarebbe un vantaggio per tutti.