Forse mi è sfuggito qualcosa, ma non ho sentito voci eminenti del femminismo italiano levarsi con decisione contro gli orrori perpetrati dai criminali di Isis. C’è uno specifico sessista di questi orrori: quei criminali sono tutti uomini (salvo le poche vestali autosessiste patologiche arruolate nella Brigata al Khansaa per vessare le proprie simili), e le donne vengono trattate come prede, stuprate, uccise, vendute come schiave.

In una bellissima riflessione pubblicata sul New York Times il filosofo e psicoanalista sloveno Slavoj Zizek, menzionando le “orge grottesche” delle gang di Isis “a base di rapine, stupri di gruppo, tortura e uccisione degli infedeli“, parla di un “fanatismo razzista, religioso e sessista“.

Il sessismo è una componente decisiva di di questo pseudo-fondamentalismo (i veri fondamentalisti, come chiarisce Zizek, dai buddisti agli Amish, non sono violenti né risentiti). Abbiamo letto le strazianti storie di donne yazide suicide dopo essere state violentate. Il corpo della donna è ad un tempo territorio e oggetto simbolico della contesa (l’oggetto reale è sempre e solo uno: i soldi, merce delle merci). La libertà femminile è tra i principali  fattori in campo.

Eppure si esita: alle immagini delle schiave del sesso vendute al mercato di Mossul si oppone scetticismo, si parla di bufale. Sempre pronte a enumerare e stigmatizzare gli errori della politica estera americana in quei territori -errori certi, ammessi anche da Hillary Clinton-, si resta mute di fronte alla catastrofe umanitaria, al genocidio e al “generocidio”. Un malinteso multiculturalismo che ammette perfino il rispetto del jihad e della sharia, come se si trattasse di ordinari usi e costumi locali.

Propense a dare ragione alle intellettuali dell’Islam che indicano aggressivamente i problemi di noi donne occidentali, tipo “la dittatura della taglia 42” (Fatema Mernissi), non ci permettiamo mai di opporre il fatto che, pur con i problemi che sappiamo, tutto sommato dalle nostre parti la vita delle donne è molto meno dura. La cosa ha una sua oggettività: perché non possiamo dirla? Non intendiamo in alcun modo difendere il nostro mondo: anzi, rifiutiamo di parlare di “nostro” e di “loro” mondo, e in ciò c’è senz’altro del buono. Ma in questa sororità che rifiuta la logica maschile del conflitto si radicano un’ignavia di cui ci potremmo pentire amaramente -vedi foto sopra, leggi Marjane Satrapi-, l’incapacità di leggere quello che sta capitando e di reagire opportunamente, la nostra paradossale indifferenza verso la condizione tragica di quelle sorelle.

Io spero ardentemente che i criminali di Isis, mossi, come dice Zizek, dall’invidia “verso lo stile di vita dei non credenti”, “profondamente infastiditi, incuriositi ed affascinati” dalla nostra peccaminosa civiltà, vengano al più presto distrutti. E se dipendendesse da me, vorrei un altro 13 febbraio, un milione di donne in piazza contro la ferocia di quei maschi malati, femminicidi, generocidi.

Qualcuna mi convinca del fatto che sto sbagliando.