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“Senti: ho un problema”: e indichi il basso ventre. Lo spacciatore capisce al volo: “Torna domani sera”. “Quanto?”. “Cinquanta”. Al momento della consegna ti spiega come fare: “Se vedi troppo sangue vai in ospedale. Di’ che sei caduta”.  Il misoprostolo, una prostaglandina, è il principio attivo di un diffuso antiulcera. Inserito in vagina procura aborto. Se non riesci a fartelo dare senza ricetta in farmacia, a Milano lo trovi alla stazione, dove si compra il fumo e altro, sotto il metrò, in certi negozietti cinesi. E’ la “Ru486” da strada. L’aborto chimico in ospedale funziona in modo simile: primo step, mifepristone, secondo step prostaglandina. Qui del primo step fai a meno. Passi direttamente alla fase espulsiva. Ci sono siti, come Womenonwaves e Nice-a-beauty, che tra un’informazione sulla lipo e una pubblicità alle faccette dentali ti spiegano come devi fare ad abortire, in tutte le lingue del mondo.  Se in strada non ti va, puoi comprare online. Il kit lo trovi in molte “farmacie” virtuali, con foto di staff medici rassicuranti e sorridenti. Prezzi variabili, dai 70 ai 200 euro (agli ospedali viene sui 40). Pagamento con carta di credito, confezione discreta che ti arriva entro due settimane. In vendita anche preparati taroccati: non abortisci ma ti scassi il fegato. “E’ la magistratura che deve intervenire” dice Eugenia Roccella, sottosegretario alla Sanità: “Stiamo valutando la possibilità di un esposto”.  Sta di fatto che all’Istat risulta un inspiegabile surplus di 14 mila aborti spontanei. Target dello spaccio, straniere irregolari, ma probabilmente anche molte ragazzine: di tutti gli aborti in ospedale, solo il 2-3 per cento riguarda minorenni, contro il 15 per cento europeo. I conti non tornano. Quante fanno da sé? Esistono anche mammane chimiche: a Padova è stata scoperta una “clinica” clandestina fornita di un migliaio di pillole.  Perché oggi una ragazza dovrebbe rischiare e pagare, visto che la Ru486 si trova in ospedale? Semplice: “In ospedale sei costretta al ricovero” spiega Alessandra Kustermann, che dirige il Pronto soccorso ostetrico ginecologico della Mangiagalli. “Se una minorenne vuole abortire senza dirlo in famiglia si fa autorizzare dal giudice tutelare. Ma l’aborto chirurgico è in day hospital, la sera sei a casa, mentre con la Ru486 resti minimo 3 giorni: così dispone la legge italiana (Emilia a parte). Un’adulta può firmare per uscire, una ragazzina no. Ci vorrebbe di nuovo il giudice”. C’è anche che tante ragazze confondono Ru486 e pillola del giorno dopo: confusione catastrofica. Diverso il meccanismo d’azione, diversi soprattutto gli effetti.  La Ru486 si presta molto a un uso in proprio (e improprio). La tentazione fai-da-te è molto forte. Ma se c’è una cosa certa, è che non può essere autogestita. L’assistenza medica è indispensabile. Perfino in Cina, dove è in atto una feroce campagna di controllo delle nascite e la salute delle donne non è mai stata fra le priorità, il farmaco è stato ritirato dalle farmacie dopo dieci anni di vendita libera. Oggi si usa solo in ospedale: qualcosa di tremendo deve essere capitato.  Il dibattito ideologico –tra uomini- non ha favorito la corretta informazione. Ma qui è questione di salute, non di scambi politici. I fogli del consenso alla Mangiagalli di Milano spiegano che dopo avere assunto in successione i due farmaci ti prendono crampi che in 3 casi su 10 richiedono un antidolorifico –di tipo oppiaceo: quelli normali avrebbero un effetto anti-prostaglandinico-. Mal di testa (20-30 per cento), nausea (40-60 per cento), vomito e diarrea. In 7 casi su 1000 le perdite diventano emorragie da trattare con raschiamento, in 2 casi su 1000 addirittura con trasfusioni. C’è il rischio –raro- di setticemia da Clostridium sordellii e Clostridium perfrigens (da un caso su 1000 a uno su 10.000). Si muore dieci volte di più che per aborto chirurgico: 1 caso su 100.000 contro 1 su un milione.  A me, se posso dire, è andata in questo modo: l’attesa; il senso gelido di qualcosa che si spegneva; poi il sangue, le contrazioni feroci; l’espulsione e il “prodotto” da raccogliere per mostrarlo al medico. Una settimana di pena. Chiedo scusa, ma quando va bene un aborto chimico va così. Non Ru486, nel mio caso, ma methotrexate: l’unico sistema per interrompere una gravidanza ectopica che di sicuro ci avrebbe uccisi in due. Ma almeno psicologicamente il decorso è lo stesso. Con l’aggravio del senso di colpa, quando non è terapeutico e hai “scelto”.  Comunque la si veda, è una cosa per spiriti forti. Il ginecologo Pier Giorgio Crosignani ha parlato di “invasività psicologica”. La German Society of Gynecology and Obstetrics, di “considerevole violenza psicologica”. Inclusa la possibilità di riconoscere l’embrione espulso, come capita a buona parte delle donne.  Una nuova libertà? Per i medici -7 obiettori su 10- senza dubbio. “Temo che promuovano l’aborto chimico” dice Eugenia Roccella “per scaricarsi il problema dalle spalle”.  Alessandra Kustermann si è sempre battuta per l’introduzione della Ru486, ma è convinta che resterà una scelta di poche: come in Germania (2-3 per cento), negli Usa, in Olanda, ampiamente sotto il 10 per cento. Si supera invece il 30 in Francia, in Svezia, in Gran Bretagna (dove si fa fino alla nona settimana). “Ci sono paesi” dice “dove l’aborto chirurgico non ti viene nemmeno proposto, se sei entro la nona settimana. Ma da noi il limite per l’aborto chimico è la settima. Hai pochissimo tempo per decidere e organizzarti”. E aggiunge: “Resto per la libera scelta. Ma i mass media non aiutano, con questa favola dell’aborto facile. A mia figlia consiglierei l’aborto chirurgico: pochi minuti in anestesia o in sedazione ed è finita”. Anche in Francia, dove siamo quasi al 50 per cento di aborti chimici, ti avvisano: se abiti a più di un’ora di macchina da un ospedale, se vivi sola, se sei un tipo ansioso, lascia perdere la Ru386.  Se poi credi di poter fare da te, corri dei rischi supplementari. Quello di non valutare le controindicazioni, per cominciare: insufficienza surrenalica, assunzione di anticoagulanti, terapia cortisonica prolungata, allergie, ipertensione e altro. Di fare male i conti e utilizzare i farmaci ben oltre la settima o nona settimana: puoi anche espellere un feto vivo, e perfino il disinvolto sito Nice-a-beauty avverte che l’esperienza non è piacevole. Di sottovalutare sintomi come una febbre o un’emorragia cospicua. Di assumerla in caso di gravidanza extrauterina, accertabile solo con esami ecografici: pericolo assoluto.  Perché la Ru486 non diventi il nuovo prezzemolo, è necessaria una riflessione supplementare. Almeno per le ragazze, bisogna che ci pensiamo ancora un po’.

da Io donna-Corriere della Sera del 24 aprile 2010