via padova, milano

Molto efficace il sindaco di Milano Giuliano Pisapia intervistato ieri sera da Fabio Fazio a “Che tempo che fa”.

Ottimo che sobriamente ma fermamente Pisapia abbia ribadito la sua intenzione di istituire registri delle coppie di fatto, sperando che all’indubbio valore simbolico della scelta -raddoppiato dal fatto che questa decisione per una città come Milano significa l’apertura di una breccia definitiva- si affianchino alcune decisioni di valore pratico, come la possibilità di accedere alle graduatorie per le case Aler. Ottimo che l’abbia annunciato parlando dell’imminente visita del Papa, come a dire che a Milano c’è posto per tutti: questo principio di accoglienza, che è il cuore della laicità, è anche un tratto identitario irrinunciabile della nostra città, che è sempre stata questo, nei secoli dei secoli.

Ottima, infine, la fermezza sull’area C e la limitazione del traffico. Non c’è più alcuna ragione di attendere, domani si debutta, fra 6 mesi si farà un bilancio, secondo la volontà inequivocabilmente espressa dalla maggioranza dei milanesi in un referendum.

Pisapia parlava a una platea nazionale, non solo cittadina, e la sua pacata determinazione sarà senz’altro stata apprezzata dagli “extramilanesi”.

Avrei invece da dire sull’uso del termine “periferie”, che io abolirei tout court dal lessico politico. Il sindaco ha detto che gli assessori “vanno nelle periferie”, che “internet gratuito non sarà solo per i giovani, ma anche per gli anziani e in periferia” (dove peraltro abitano i giovani, non potendosi certo permettere il centro storico), che i provvedimenti sul traffico renderanno “la città più vivibile anche in periferia”.

Io sono convinta che le cose cambiano fuori solo quando fai spazio al nuovo dentro di te, e le parole contano moltissimo. Rinominare la città i termini diversi da “centro” e “periferia”, ovvero in una prospettiva policentrica, in cui cioè ogni quartiere ha la sua vocazione, il suo genius loci, il suo cuore pulsante, il suo proprio centro, la sua bellezza, è un passaggio decisivo per cominciare a vedere e a costruire la città nuova. Se lo fa il primo cittadino impareranno a farlo e ne beneficeranno anche tutti gli altri cittadini, uscendo da una logica “centripeta”, non sentendosi più esclusi dal centro storico ma attratti dal centro dei loro quartieri, imparando ad amarli di più e rendendoli più belli. Se dai corso alla visione, quella diventa vera.

Valga l’esempio a via Padova, diventata suo malgrado il simbolo di tutte le “periferie” -a tre fermate di metrò dal Quadrilatero della moda!- e che con la sua vitalità, i suoi traffici, i suoi suoni e i suoi odori sembra un porto di mare. Ti pare che ci sia una banchina con pescherecci e cargo attraccati, lì dietro! (e invece c’è solo il naviglio Martesana).