Ieri sera mi sono ricordata di un professionista tedesco, signore alto e distinto, che ogni sera si piazzava in mutande nel carrugio del “mio” paesello ligure, non più di 2 metri di larghezza, a grigliare salsiccie e bistecche, impestando aria e panni stesi. Di sera il grill a carbonella, di giorno uno stendino pieno di costumi e asciugamani a ostruire il passaggio. Prova a farlo a Frankfurt o a Dusseldorf, mi veniva da dirgli. Ci ho pensato vedendo in azione a Roma gli orrendi barbari olandesi, la spazzatura nella Barcaccia del Bernini, in una delle piazze più belle del mondo. Mi sono venuti in mente tutti quei nordici che perdono il loro overcontrol dopo N birre, quel ragazzo corazziere di Hitler pieno di vino italiano che voleva stuprare mia mamma bambina -se lo ricorda ancora con terrore-, ci vollero molti uomini per blandire e tenere a bada quei due metri di bionditudine fuori controllo.

Il nordico in Italia, titillato da dolcezza, sensualità e bellezza: non solo Goethe. Quella certa tendenza a sentirsi über -e tu unter– che si sfrena improvvisamente, con il rumore di qualcosa di rigido e anelastico che si spezza di colpo, senza mediazioni. Una brutalità invidiosa, che sfascia, sporca, disprezza, stupra: siamo in Italia, qui possiamo tutto. E non è solo roba da hooligan.

Non per fare tutto un fascio di tedeschi, olandesi, danesi. O per divertirsi con un razzismo al contrario, che viaggia insolitamente da Sud a Nord (di norma si va da Nord a Sud). Solo per dire che ce n’è per tutti, a ogni latitudine. E che la perfezione umana può realizzarsi solo nel pacifico dialogo tra differenze.

E anche per dire che noi italiani, campioni di autocritica, non siamo sempre i peggiori del mondo. E alle nostre Barcacce, e a tutto il resto dello splendore che ci è dato e che ci siamo dati -il qualis contro il quantum- dobbiamo volere un gran bene.

p.s: c’è anche forse il fatto che di (altri) barbari in arrivo a Roma di questi tempi abbiamo sentito più volte parlare. E quella di ieri è sembrata un’esercitazione sul campo.