Tante mi chiedono: che cos è la scrittura, quella vera, per te? Intanto grazie per la fiducia. Per quello che ne so io, la scrittura è un po come fare ordine. Come i mestieri di casa. Ci sono cose che si fanno riordinare facilmente, e altre che chiedono più attenzione, più fatica, più delicatezza, certi vetri preziosi e fragilissimi.
Ci vuole un po di silenzio per lasciare che i pensieri e le parole vengano. Non parlo tanto dei rumori esterni: c è gente che ha scritto il suo meglio in condizioni infernali, con i bambini fra le gambe e il trapano del vicino in azione. Si tratta di farsi un po di spazio dentro, dove quello che trema appena un intuizione, un piccolo moto inconscio, un fantasma, un sogno- possa radicarsi e irrobustirsi al punto da poter resistere alle molestie esterne, specie all enorme massa di informazioni inutili da cui siamo bombardati. E a certi nemici interiori, alla paura che ti spinge a non ascoltare, o a rifugiarti nel già detto.
Come fare i mestieri, ho detto prima. E anche come fare un bambino, che ha bisogno di trovare spazio e accoglienza dentro di te. Si tratta di saper patire un po , nel senso di essere passivi e lasciare accadere. Per me è questo, patire, il lavoro principale. La lotta finale con le parole, le spinte, l espulsione, vengono poi, di conseguenza.
Si tratta a quel punto di accudire, di carezzare, di liberare dall inutile. Tra l inutile metto quei residui di te che vogliono restare attaccati al frutto. Piano piano, con pazienza e compassione, ci si stacca. Fino al momento in cui guardi quello che hai fatto, e ne riconosci l alterità. Capisci che è arrivato da qualche parte ed è passato dentro di te, ma non è più tuo. Che lo è stato solo per il tempo strettamente necessario. In un certo senso, non lo riconosci più. Forse non lo ami nemmeno più.
Ecco, questo sì, credo che sia un lavoro ben fatto. Non credo di esserci mai riuscita.
(pubblicato su “Io donna”-“Corriere della Sera”)