Se leggete attentamente i  giornali sulla riforma del Porcellum, vedrete che sulla questione delle preferenze per lo più si glissa.

Da quello che si capisce della bozza Bersani-Alfano-Casini, le eventuali alternative civiche -e c’è un gran fermento in questo senso-, ma anche i partiti più piccoli sarebbero spazzati via dal nuovo dispositivo; l’indicazione di un candidato premier non costituirebbe un vincolo per altre possibili alleanze. Di primarie non si parla. Ma  la parola “preferenza”  non viene nemmeno pronunciata.

Su questa bozza perfino Rosy Bindi è molto critica, e dice in modo netto che “agli elettori va restituita la scelta dei parlamentari senza espropriarli del potere di optare per la coalizione“.

L’arroganza della nomenclatura politica è veramente impressionante. Sono convinti di spuntarla anche questa volta. Fanno finta di non vedere i sondaggi sulla loro impopolarità, e di non sapere che sulla questione delle preferenze la sensibilità è ormai molto diffusa. Che decidere “chi” è un diritto a cui non si intende rinunciare. Ed è proprio sul “chi” -chi vogliono loro- che i partiti si arroccano autoconservativamente.

Una soluzione, stanti così le cose, potrebbe essere una grande coalizione di liste civiche, costruite democraticamente con primarie sulle candidature, piene di donne e di giovani e in legame autentico con il territorio, che indichi il/la su* candidat* premier e metta in difficoltà questo strapotere. (intanto sta nascendo un “quarto polo”: bella l’idea dei beni comuni, ma al solito pensata da soli uomini, non proprio nuovissimi sulla scena politica)

Ma forse c’è ancora tempo perché sulla riforma si prenda un diverso indirizzo.

Interessante, per esempio, la proposta di Paolo Flores D’Arcais: un maggioritario a doppio turno con primarie vincolanti.