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alessandra moretti

Donne e Uomini, Femminismo, Politica Novembre 21, 2014

L’autogoal di Moretti Ladylike

Mi costringo a scriverne, obtorto collo e in ritardo. Parlo della disastrosa videointervista ad Alessandra Moretti, d’ora in avanti e per sempre LadyLike, candidata a competere con Luca Zaia, che è osso ben duro, per il governo di Regione Veneto. Che sarà pure “scalabile”, come lei dice in gergo leopoldesco, ma certo non in questo modo: elettrici irritate, elettori eccitati nella loro misoginia più crassa, cosa che, mi permetto di dire, fa male a tutte.

Già c’è un bel po’ di roba da far digerire: le giravolte da Bersani via Cuperlo fino a Renzi, e troppe poltrone in pochi mesi, Camera, Europarlamento, Regione Veneto: e “la gente mica è scema, capisce”, come dice lei. Esatto. E ora l’estetista settimanale, le meches e i peli: non esattamente quello che serve per farsi votare dai veneti incazzati.

Moretti non può essere definita una simpatica naturale: algida, supponente, ragazza perfetta. Forse, dicendo peli ai peli, pensava a un’operazione friendly. Ma non basta, come si è visto, diventare renziane per acquisire l’astuzia comunicativa del capo: la trappola tesa dai giornalisti era evidente, e lei ci è cascata in pieno, con meches e tutto il resto (non voglio nemmeno pensare che si sia trattato di una strategia di comunicazione, a meno che i consulenti fossero gli spin doctor di Zaia).

Ma quello che avvilisce, al netto dell’insopportabile riferimento a Rosi Bindi –ancora???-, è il misunderstanding sul femminile in politica. “Io non voglio acquisire lo stile maschile di fare politica” dice Moretti a un certo punto dell’intervista. “Voglio avere il mio stile, femminile”. Qui si accende la speranza. Subito tradita: “La cura di me stessa, la voglia di essere sempre a posto…”. In verità tutti quanti, da Obama a Razzi, un’occhiatina allo specchio prima di uscire se la danno. Come ha ricordato Massimo Cacciari, “lo diceva anche Platone che bisogna tenere all’aspetto esteriore”.

Il “femminile in politica” è ben altro. E’, per esempio, non ricorrere a quel gergo da ad di provincia (il Veneto “scalabile”). E’ non lisciare il pelo ai cacciatori asserendo che “La caccia tiene in vita il territorio” per assicurarsi i voti della lobby: troppo femminile la caccia non è mai stata. E’ l’etica della cura (non di se stessa, ma del mondo) e della responsabilità. E’ un’idea di bellezza che poco ha a che vedere con la manicure. E’ non permettere che la propria grazia fisica venga usata dalla politica maschile come specchietto per le allodole. E’ trovare ben altri fondamenti per la propria autorità, e saperla esercitare con fermezza materna. E’ relazione con le altre. E’ provare a cambiare le priorità dell’agenda politica: primum vivere. E’ faticosamente rompere con la logica delle correnti, e non navigarle tutte. E’ la definitiva fuoruscita dall’anti-estetica televisiva berlusconiana, quanto di meno femminile ci sia sulla faccia della terra. E’ la minima eleganza di non autodefinirsi bella, brava, intelligente, capocannoniera e cicciobombardona: “Nella Nazionale mandi i migliori “(cioè lei, ndr. sob…). E’ rifiutarsi cortesemente di rispondere a domande tendenziose dei giornalisti (che pure, mossi a pietà, a un certo punto avvertono: “Su questa cosa la massacreranno sui social…”), dicendo che certi temi sono inessenziali a fronte dei problemi del Paese. In particolare se sai che il sospetto generale è che tu sia lì solo perché sei carina, e non per altro. La bellezza che serve è quella di un pensiero luminosamente differente contro l’eccesso di maschile nella nostra politica, non la licenza di un antibindiano tacco 12.

Anche solo tatticamente: non è una furbata parlare di “estetista una volta la settimana” in un momento di difficoltà così grandi e di rabbia sociale trattenuta a stento, quando la gente, altro che estetista, fatica a garantirsi il panettiere. Perché dovrebbero fidarsi di te se tu sei così lontana dai loro problemi e dai loro drammi, se ostenti di vivere spensieratamente in quel detestato mondo parallelo dove il colore dello smalto e la crema idratante diventano temi di cui occuparsi? Dov’è l’intelligenza politica, si chiedono in molte e in molti, e se qui manca così clamorosamente, perché dovrebbe essercene per governare il Veneto?

Altro che capocannoniera chiamata in Nazionale: quell’intervista “ladylike” è un clamoroso autogoal, e potrebbe costare cara.

Donne e Uomini, Politica, questione maschile Gennaio 30, 2014

Camera dei Deputati: le donne come punching-ball

Ieri alla Camera

Nella bagarre seguita alla “tagliola” applicata ieri dalla presidente della Camera Laura Boldrini sulla questione Imu-Bankitalia (metodo quanto meno avvilente, se posso dire), il questore di Scelta Civica Stefano Dambruoso ricorre alla forza fisica contro Loredana Lupo, deputata del M5S. Uno schiaffo, dice lei. Lui nega, ammettendo “al massimo un contatto fisico per bloccare un’aggressione alla presidente Boldrini”: fatevi direttamente un’idea guardando il filmato. Secondo un tweet di Giulia Sarti, collega di Lupo, Dambruoso avrebbe anche chiosato il suo gesto dicendo: “Nella mia vita ho picchiato tante donne, non sei la prima“. Dambruoso nega anche questo.

Nel frattempo un deputato 5 Stelle, Massimo Felice De Rosa, 35enne di Cormano, Milano, formazione ambientalista, faceva irruzione per protesta in Commissione Giustizia. Invitato a un atteggiamento più consono, secondo le deputate Micaela Campana e Alessandra Moretti avrebbe appellato le colleghe Pd dicendo loro che erano lì solo grazie al fatto di aver elargito sesso orale (lui l’ha detto in un altro modo). Manifestando, se le cose sono andate in questo modo, una sua non troppo recondita fantasia sessuale adolescenziale, insieme a una violenza che non ci si aspetterebbe da chi lotta per lo stop al consumo di territorio e in difesa dell’ambiente.

La deputata piddina Veronica Testori, presente alla scena, la racconta così: “A un certo punto i 5 Stelle volevano entrare tutti in aula, dove era in corso la seduta. Ma quell’aula è molto piccola. Siamo stati costretti a sospendere i lavori e abbiamo cominciato a discutere piuttosto animatamente. Finché De Rosa non ha perso il controllo e lasciando l’aula ha detto: “Voi siete qui solo perché fate dei p…””.

Non risulta al momento che si sia scusato con le colleghe.

Sia De Rosa sia Dambruoso saranno querelati (Lupo in verità ci sta ancora pensando). E se i fatti saranno accertati, l’augurio è che siano adeguatamente puniti.

Resta che -sempre che i fatti vengano accertati- quando si alza la tensione tra maschi (ci sono anche donne, lì, ma trattasi di istituzioni maschili), viene pavlovianamente scaricata sulle donne “del nemico”, con allusioni verbali a una scena rettile di dominio violento e sprezzo sessuale. Freud diceva che nel nostro inconscio passeggiano i dinosauri, e ieri si è visto piuttosto bene.

Le donne che fanno parte di queste istituzioni -tutte insieme, senza distinzione di schieramenti e/o correnti- dovrebbero duramente stigmatizzare quanto è avvenuto e non farsi nemmeno sfiorare dalla tentazione di difendere misoginamente i “propri” uomini. Specie in un momento politico come questo, in cui (vedi la prima pagina di “Il Giornale” di oggi: “Renzi ha le palle”) si torna a celebrare una politica virilmente muscolare, decisionista e cazzuta. E tra una “tagliola”, uno spintone e una volgarità da bar biliardo (e l’indimenticabile “boia chi molla” del 5Stelle Angelo Tofalo), le donne rischiano un arretramento sia nei numeri (nella bozza dell’Italicum, si parla un generico 50/50 nelle liste ma al momento non si prevede il principio dell’alternanza tra i sessi: dispositivo, quindi, inefficace), sia nelle logiche politiche.

In tempi tanto difficili abbiamo bisogno di decisioni responsabili, non di decisionismi. Di autorità e di competenza, non di prove di forza. Serve rete, non uomini soli al comando.

Una giornata davvero orribile, quella di ieri.

Aggiornamento: mi tocca segnalare la luminosa battuta di Angelo Cera parlamentare di Scelta Civica, secondo il quale «alcune deputate del MoVimento 5 Stelle sono delle esagitate. Consiglio loro di trovarsi un fidanzato». In poche parole un pene come trattamento contro l’isteria. Oggi in aula non solo la legge elettorale, ma anche la questione maschile.

 

 

AMARE GLI ALTRI, leadershit, Politica Marzo 7, 2013

Ho fatto una cavolata

 

Potrebbe essere il self-portrait di una generazione -la vera generazione perduta- questa lapidaria frase-testamento (“Ho fatto una cavolata”) lasciata scritta in un biglietto da David Rossi, responsabile comunicazione di Monte dei Paschi di Siena suicidatosi ieri sera. E lo dico con il massimo rispetto, con il più assoluto rispetto.

Sarebbe potuta bastare come sintetica auto-analisi anche per il Pd, che ieri ha tenuto in streaming la sua direzione nazionale. Dove le lancette della Storia sono miracolosamente tornate indietro: sembrava un’assise di qualche anno fa. Una delle cavolate maior, dopo l’exploit delle primarie, è stato riaprire le gabbie ai brontosauri che si sono immediatamente divorati  la tenera erbetta di quella “primavera”. Ma non uno di loro, tra quelli intervenuti ieri, che abbia detto: “Sono alla quarta, quinta, sesta legislatura. Ho fatto una cavolata a ricandidarmi”.

Tra le tante cavolate che ho pazientemente ascoltato -con poche eccezioni, come gli interventi di Laura Puppato, Renato Soru, Pippo Civati– segnalo per esempio quella di Alessandra Moretti, che ha parlato di “presidiare la rete”: due concetti, quello antico e arrogante (e maschile) di “presidio” e quello di “rete” che non stanno insieme neanche a piangere. Perché “presidio” è l’esatto contrario di “rete”. Chi dice “presidiare la rete” non ha capito granché: della rete, dello spirito del tempo, della crisi dei partiti, della leadershit.

Ma la cavolata che ha unificato un bel po’ di interventi è stata la reiterazione di quel “noi” e “loro”: noi, il partito, e loro, i cittadini, gli italiani, gli elettori, la “ggente”. Noi, la politica, e loro che soffrono, sono allo stremo, non campano più. Noi che non siamo stati capaci di intercettare il loro disagio. Anche perché noi a disagio non lo siamo affatto.

Come a confermare: noi non abbiamo esperienza diretta dei loro problemi. Anzi: noi, se non ci fossero loro che ci puntano l’indice, che non credono più in noi e non ci votano, continueremmo a stare alla grande. Accidenti a loro. Perché noi non siamo loro.

Giusto un passetto prima delle “brioches”.

Non un errore di comunicazione, no. E’ uno svarione ontologico.