Nel giro di un paio di giorni le città torneranno nella normalità, piene di gente abbronzata e traumatizzata dal rientro -già avuto un paio di interazioni automobilistiche poco piacevoli-. Riapriranno anche i negozi, che sono gli occhi della città, la vita torna a battere il suo ritmo, che a Milano è frenetico e ossessivo: qui l’estate finisce con agosto, senza proroghe, senza dolci appendici, come a Roma, senza ponentini o ottobrate. Caldo o non caldo, tutti a laurà.

Mi auguro che sia davvero l’ultima volta che chi resta in città, e sono ogni anno di più, venga punito con un vuoto pneumatico di commercio e servizi, chilometri senza trovare un bar, call center a cui nessuno risponde mai, presidi sguarniti, giusto quattro cinema e il fresco del supermarket: e grazie al cielo ci sono gli “stranieri” che tengono aperto, non avvezzi all’assurdo dei black out agostani.

Dev’esserci una proporzione sensata tra il numero degli abitanti e i servizi erogati. Non è più possibile sentirsi abbandonati in città, solitudine e angoscia, e se hai un problema te lo tieni, tutto chiuso per ferie, mentre sono sempre meno quelli che possono permettersi di andare al mare per più di una settimana.

Non ci sono altre città del mondo in cui questo capita, e deve smettere di capitare anche qui. Per avvicinarsi all’obiettivo, occorre cominciare a pensarci da adesso. L’augurio è che sindaci e giunte vecchi e nuovi ci lavorino seriamente, severamente e da subito.