La neo-legittimità della fecondazione eterologa in Italia apre di sicuro problemi pratici, come notava Adriana Bazzi ieri sul Corriere della Sera. Problemi che riguardano procedure, caratteristiche dei donatori, l’eventuale costituzione di una Banca dei Gameti, e via dicendo. Ma forse non sono questi i problemi prioritari.

Sull’affermazione della Consulta che “non vi è differenza tra fecondazione eterologa e omologa” si potrebbe discutere a lungo. A quanto pare la Consulta intende suggerire che anche le famiglie che adottano non sono famiglie su base genetica (nel caso dell’eterologa sarebbero genetiche solo “a metà”). Ma il parallelo tra figli nati da fecondazione eterologa e figli adottati lascia qualche perplessità.

I figli sono sempre figli di chi li ama e li cresce, su questo nessun dubbio. Ma le traversie identitarie di un bimbo nato da fecondazione eterologa e quelle di un adottato possono essere molto diverse. Intanto il bimbo adottato è già al mondo, con tutte quante le sue ferite, ed essere accolto da una famiglia costituisce una riparazione affettiva. Il bimbo nato da eterologa invece viene chiamato consapevolmente e “problematicamente” al mondo.

Per gli adottati è ampiamente riconosciuto il tema del confronto con le proprie origini e con il fantasma dei genitori biologici. Sui bimbi nati da eterologa invece la discussione è più che aperta. Come avete letto, la presidente di Aidagg Paola Volpini è dell’opinione che “un gamete non è un genitore biologico”, che non vi sia alcun trauma di abbandono e alcun fantasma, e che “il caso del donatore di gameti invece è simile a quello del donatore di organi: conoscere chi ha donato può essere un’esperienza molto frustrante”.

Non ne sono affatto convinta. C’è un ampia letteratura –e perfino cinematografia- a dimostrare che anche un “gamete” è inteso dal figlio come propria radice, non indifferente per la definizione della propria identità, e che la sua “sparizione” può essere decodificata dal figlio come abbandono. Non è un caso infatti che la questione dell’anonimato, data da Paola Volpini e anche dalla legge come pacifica, pacifica non è affatto. Tant’è che in molti Paesi europei, come in Gran Bretagna e nel Grande Nord, il donatore NON può essere anonimo: decisione alla quale si è pervenuti dopo anni di esperienza.

Personalmente continuo a ritenere la “sparizione” del donatore come una ferita inflitta al bimbo che nasce, e sono convinta, al contrario, che tra il figlio e il “proprietario” del gamete che lo ha messo al mondo sia auspicabile il mantenimento di una relazione che può svilupparsi spontaneamente, diventando importantissima o secondaria nella vita del figlio. Quindi chi dona i propri gameti dovrebbe farlo accettando responsabilmente la relazione che nascerà, anche se non sarà formalmente responsabile della crescita e dell’educazione del bambino: penso alla relazione (a ogni relazione) come un dono, ed è solo in una logica di dono reciproco che riesco a inquadrare queste pratiche biotecnologiche.

Sono anche fermamente convinta, pur solidarizzando sinceramente con la sofferenza di chi non può avere figli,  che in questo campo gli unici diritti che contano sono quelli di chi viene messo al mondo.

Difficilmente si potranno affrontare argomenti tanto sensibili a colpi di sentenze. E anche se la Consulta precisa che non vi è alcun vuoto normativo e che la fecondazione eterologa sarà praticabile già da domani, mi pare auspicabile la riapertura di un dibattito in tutte le sedi, politiche e culturali.

 

 

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