Per la prima volta in Italia il Tribunale dei Minori di Milano ha concesso a un uomo di adottare i figli del partner (adozione in casi particolari) nati da utero in affitto, realizzando, è scritto nella sentenza “il preminente interesse dei minori, formalizzando da un lato una situazione di fatto già esistente, caratterizzata da un legame di affiliazione già ampiamente riconosciuto e diffusosi nel loro ambito sociale e, dall’altro, dando loro considerevoli garanzie aggiuntive rispetto all’attuale situazione”.

I giudici non hanno perciò inteso considerare che l’utero in affitto è un reato quasi in tutto il mondo (salvo che in 18 paesi su 200); che è ignobile sfruttamento per l’Europa, che pregiudica gravemente le relazioni umane (Corte Costituzionale, sentenza 272/2017) e che secondo la legge italiana (legge 40, art.12 comma 6) va punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con una multa da 600 mila  a un milione di euro.

Anzi, si dice nella sentenza, si deve rilevare come nel caso di specie non sussistano elementi, nemmeno indiziari, per fare ritenere che il ricorrente… abbia inteso offendere o sfruttare terze persone” (la madre, ndr) e di fatto si invita il legislatore ad adeguare velocemente le normative alle “frontiere del possibile” “enormemente dilatate dal progresso medico scientifico”, intendendo con ciò l’utero in affitto alla stregua di una qualunque tecnica di fecondazione assistita.

Non è così strano che la madre dei bambini non si dichiari offesa né sfruttata, avendo volontariamente sottoscritto il contratto, spesso fitto di clausole vessatorie, in base al quale si è impegnata a condurre una gravidanza e a cedere i figli in cambio di denaro. Qualche volta si offendono e si disperano, ma in buona parte dei casi queste donne -almeno le “surrogate” occidentali, altrove lo sfruttamento è lampante- non si dichiarano offese o sfruttate, il che non significa che oggettivamente non lo siano. Né in base a questo loro supposto sentimento, tutto da verificare, può essere giustificata la compravendita di esseri umani, core business del surrogacy market o #Bigfertility. Per sapere come si sentono i bambini oggetto di mercato sarà necessario attendere qualche tempo.

Sarebbe quindi stato opportuno che il Tribunale dei Minori evitasse queste considerazioni sul tema dell’utero in affitto e si limitasse a valutare la situazione dei bambini, il cui eminente interesse è sempre e comunque non essere separati per contratto dalla donna che li ha messi al mondo. Magari osservando che non potendo godere di questo diritto, che è l’unico che conta, e trovandosi ormai in una situazione familiare consolidata, il male minore era l’adozione da parte del padre. Il MALE MINORE, appunto, non il superiore interesse dei bambini, che è stato buttato a mare nel momento in cui sono stati separati dalla madre. Il male minore quando il guaio ormai è stato fatto. E l’ottimo sarebbe che, pur concedendo l’adozione, si stigmatizzasse l’utero in affitto e si invitasse il legislatore a individuare gli strumenti normativi perché le sanzioni previste dalla legge 40 possano essere comminate anche quando la surrogazione è stata realizzata all’estero.

Per dirlo alla buona: hai fatto ricorso all’utero in affitto, il bambino ormai è grandicello e non te lo tolgo -decisione sempre orrenda- ma oltre ai 120-150 mila dollari che hai pagato ora scuci un altro milione di sanzione. Non è affatto difficile individuare chi ha fatto ricorso alla surrogata, non solo le coppie di uomini, ma anche le coppie eterosessuali che si presentassero alle anagrafi con bambini venuti al mondo in California, in Canada, in Ucraina, o peggio in Cambogia o in Cina: accertare che la donna abbia effettivamente partorito è cosa molto semplice. Se le cose andassero in questo modo, la platea dei surrogatori intenzionali si ridurrebbe giocoforza ai minimi termini.

Purtroppo su questo fronte il governo, e in particolare il ministro degli Interni Matteo Salvini, sono solo chiacchiere e distintivo: il no all’utero in affitto è buono per il Capitano di Pontida, che ha il fiuto di intuire che la Gpa non piace alla maggioranza delle cittadine e dei cittadini e ne fa tema di propaganda politica. Ma quando si tratta di intraprendere politiche conseguenti, tutta questa retorica si scioglie come neve al sole.     

Va pertanto detto che l’adozione del figlio del partner -nella logica del male minore per il bambino- è senz’altro preferibile alla registrazione tout court dei due padri all’anagrafe -ingiunta da un’altra sentenza del Tribunale di Milano di qualche settimana fa-, registrazione che formalizza un’impossibile omofecondità, che cancella del tutto la madre e crea un enorme disordine pubblico e simbolico, negando al bambino/a la verità sulle sue origini. Il “secondo padre” può essere solo adottivo, si deve fare tutta quanta la lunga  trafila come gli etero, colloqui con gli psicologi e assistenti sociali che ti vengono a prendere le misure di casa, e non è affatto detto che alla fine ce la fai. In questo senso si è pronunciata anche la Corte costituzionale. Ma va soprattutto detto che lasciare questo enorme tema di civiltà nelle mani di una giurisprudenza creativa, con sentenze a macchia di leopardo che autorizzano a Milano quello che negano a Napoli o viceversa -in attesa, a giorni, di un’importante sentenza della Cassazione sul caso dei “due padri” a Trento- è un atto di grave irresponsabilità da parte di questo governo, come peraltro di quelli che lo hanno preceduto.

Non si tratta semplicemente di un tema politicamente divisivo, politicamente imbarazzante ma tutto sommato marginale, da nascondere il più possibile sotto il tappeto evitando di affrontarlo in tutta la sua complessità. Si tratta di una questione altamente politica che la dice lunga sul mondo che intendiamo mettere al mondo.

  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •