Dunque rap, birra, sesso, probabilmente canne, scarse prospettive: la vita media del giovane occidentale metropolitano. Poi un incontro che ha a che fare con le proprie radici, un passato che si spalanca come possibile futuro, l’adrenalina di un’identità vincente per cui combattere, il sogno del Grande Islam che vendica le umiliazioni subite dall’Occidente (Abu Ghraib ricorre come un’ossessione nelle biografie dei “martiri” parigini), le esercitazioni militari, il jihad.

Le storie dei foreign fighters si somigliano un po’ tutte.

E se, con discreto ritardo, si sta pensando a una superprocura europea, se le immagini della macchina della polizia che ingrana la retro di fronte ai kalashnikov dei guerriglieri Kouachi danno precisamente il senso dello sbigottimento, della sorpresa di fronte a un impensabile atto di jihad nel cuore d’Europa, chi lavora con la cultura e non con le forze dell’ordine a mio parere ha un altro compito: capire perché il modello occidentale, e segnatamente l’american way of life, il mito della frontiera raggiungibile da tutti, il sogno americano che ha trainato le speranze e i progetti generazioni di donne e di uomini, per queste giovani donne e per questi giovani uomini non funziona più. Perché gli viene preferito ben altro sogno.

Qui riproduco più o meno quello che dice Mr White, americano del New Mexico protagonista di “Breaking Bad”, una tra le straordinarie serie tv (“True Detective”, “Fargo”) che danno forma al nuovo romanzo americano. Mr White si ritrova in un bel casino, intrappolato in un camper con le batterie esauste e senza una goccia d’acqua nel bel mezzo del deserto: sta crepando. Sdraiato senza forze sulla branda, Mr White dice che è tutta colpa sua, che avrebbe dovuto pensarci prima, che è lui stesso responsabile della situazione in cui si è ficcato. Me lo sono meritato. Mi merito quello che mi capita. Un monologo paradigmatico -andrebbe ascoltato- insieme al resto: in tutte le serie, deserti e praterie senza frontiere né miraggi, spaesamento, perdita di ogni riferimento, solitudine, disastro delle relazioni -siamo il Terzo Mondo delle relazioni-, Dio che si affaccia qua e là come una possibilità.

L’America per prima dice che il suo sogno è finito: per loro, per noi, per tutti. E che ci vuole qualcos’altro da sognare. Un giovane occidentale, coetaneo dei foreign fighters, l’altro giorno mi diceva: “Qui non conta più niente: la famiglia, l’amicizia, i minimi valori. Solo i soldi. E i soldi non ci sono più”.

Ascolto con attenzione, mi chiedo quale sogno dovremmo metterci a sognare. Qualche vaga idea ce l’ho.

Ma mi chiedo anche se i giovani guerrieri, scaricata l’adrenalina e finita la droga del jihad (per il potere), ipoteticamente raggiunto il loro obiettivo dichiarato (Dio non voglia), il Grande Islam che domina il mondo, la sharia come legge universale con tutto ciò che ne consegue, poi in quel mondo ci si troverebbero davvero a loro agio: loro, nati e cresciuti bene o male liberi, nelle periferie di Parigi, Berlino e Milano, come starebbero in quel mondo di ubbidienza, oppressione, illibertà?

Forse bisognerebbe insinuargli il dubbio.

 

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