La nostra legge vieta il falso in atto pubblico. Se, poniamo, metto al mondo un bambino e all’anagrafe indico come padre un uomo che biologicamente non lo è, sto violando la legge. Quell’uomo potrà chiedere l’adozione del mio bambino, sottoponendosi a una lunga procedura dall’esito incerto (Tribunale, assistenti sociali etc), ma non potrà registrarsi padre tout court.

La legge che vale per me a quanto pare non vale per tutti. Se un uomo si presenta all’anagrafe con un figlio biologico nato chissà dove da madre ignota pagata per gestare e poi levarsi dai piedi, e indica il suo partner come l’altro padre, a lui potrebbe essere consentito, alla faccia dell’ordine pubblico, quello che non è consentito a me: di dichiarare il falso -il secondo padre è con ogni evidenza un falso- senza essere perseguito.

Potrebbe cioè capitare che l’anagrafe trascriva sia il padre biologico sia il suo compagno come entrambi genitori. Contro l’ordine pubblico e in aperta violazione dell’art. 3 della Costituzione secondo il quale “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge”.

Nei giorni scorsi è stato reso noto che l’anagrafe del Comune di Milano ha iscritto due uomini come genitori di una coppia di gemelli nati negli Stati Uniti da una donna pagata per condurre la gestazione e da un’altra pagata per fornire gli ovociti, mettendo a grave rischio la propria salute. Uno dei due uomini è il padre dei gemelli, l’altro il suo compagno. Si tratta di una prima volta per Milano -è già successo nei mesi scorsi in un altro comune della Lombardia-. In un altro caso la trascrizione è stata ingiunta dal Tribunale di Trento con una discussa sentenza attualmente al vaglio della Cassazione.

In un solo colpo, quindi, violato l’ordine pubblico, ignorato lo spirito della legge 40 (che vieta la surrogata, anche se solo quella realizzata nel nostro Paese), bypassato l’art. 3 della Costituzione, sbeffeggiata una recentissima sentenza della Corte Costituzionale (18 dicembre) che attribuisce alla surrogazione di maternità “un elevato grado di disvalore” in quanto la pratica «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane».

La sentenza ammette che quando si tratti di attribuire la genitorialità si debbano considerare anche altri fattori, in nome del superiore interesse del minore. Per esempio il fattore tempo, ovvero la durata della convivenza del bambino/a con chi ne rivendica la genitorialità: sarebbe certamente inumano strappare la creatura a chi ormai la sta crescendo. Ma come già detto, data la durata media dei procedimenti giudiziari mentre eventualmente si attende di arrivare a sentenza quel tempo è passato, i legami si sono instaurati.

Ergo: nei fatti la maternità surrogata viene ammessa e non perseguita, e la genitorialità ottenuta pagando una donna, -“offendendola intollerabilmente” e togliendo la madre a quel bambino- in un modo o nell’altro viene riconosciuta. Il superiore interesse del minore viene paradossalmente e regolarmente a coincidere con l’essere separato dalla donna che l’ha messo al mondo.

Il Comune di Milano, dopo aver registrato all’anagrafe il non-padre come padre, un po’ pilatescamente ha comunque segnalato il caso a Procura e Prefettura. Anche in questo caso, laddove si ravvisasse un reato, potrebbe aprirsi un procedimento in cui, come dicevamo, il tempo lavora a favore di chi ha intrapreso la surrogazione all’estero. Non ci sono Corte Costituzionale ed enunciazione di principi che tengano. Nulla, nei fatti, oggi disincentiva dal ricorrere a questa pratica sia pure duramente stigmatizzata.

In assenza di dure sanzioni economiche -almeno dieci volte tanto il costo medio di una surrogata- e senza perseguire chi nel nostro Paese assiste con informazioni e supporto legale chi ricorre al mercato della surrogazione, il numero di bambini nati in questo modo continuerà fatalmente a crescere, alla faccia dei pronunciamenti solenni.

Mentre l’adozione non interessa più a nessuno: né ai gay né agli etero.  

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