Salvare il #metoo. Almeno sull’obiettivo siamo state tutte d’accordo.

Non credo che dalla vicenda Argento il #metoo sia stato danneggiato più di tanto: gli uomini stessi conoscono benissimo la consistenza della realtà delle molestie, e tolte le gradassate d’occasione sanno come noi che da un salto quantico come questo non si torna indietro.

Il #metoo resta vivo e vegeto.

Per alcune salvare Asia e salvare il #metoo sono stati obiettivi coincidenti. Per altre –a cominciare dalla folta compagnia delle molestate da Weinstein- per salvare il #metoo è stato necessario prendere le distanze da lei. Le posizioni sono state queste.

Gli Stati Uniti sono un posto così: puoi tranquillamente tenere una pistola nel cassetto del comodino e sparare a ogni ombra, ma se racconti una balla sei civilmente morto. Anche le leggi in fatto di sesso con minori di 18 anni, nella fattispecie in California, sono molto chiare. Quando se l’è spassata con con Mrs Robinson, il Laureato aveva certamente più di 18 anni.

Secondo il paritarismo emancipatorio, la cosa vale tanto per le minori femmine quanto per i minori maschi. Non si fa differenza sessuale, come quasi mai la fa il diritto, il loro come il nostro, il loro forse anche di più.

Il giovane farabutto perseguitava Asia da tempo. E’ uno sbandatello senza arte né parte, probabilmente  condivideva con lei soprattutto il fatto di avere alle spalle un nucleo familiare disfunzionale. Personalmente mi impressiona il fatto che tu “cresci” un ragazzino da quando aveva 5 o 6 anni, lo chiami figlio e lui ti chiama mamma, e poi ci finisci a letto, chiunque sia stato a prendere l’iniziativa: un’incestuosità che testimonia della disfunzionalità che dicevo. E’ la violazione di questa relazione materno-filiale a impressionarmi, non che lui avesse 17 anni.

Un uomo non può essere violentato come una donna, punto. Anche qui, eccessi paritaristici. In realtà non lo crede nessuna e anche nessuno: gli uomini sanno benissimo come funziona il loro corpo e la loro sessualità. Sulle cosiddette “navi scuola” –e mi scuso per l’orribile espressione-, donne grandi che svezzano sessualmente i ragazzi, la letteratura è sterminata.

Ma il punto non è questo. La questione non è affatto il sesso tra una donna e un ragazzino.

Il punto è che Asia ha voluto dare il suo volto al #metoo universale–secondo alcune malevole letture è saltata su quel carro- sapendo di avere quello scheletrino nell’armadio, oltre che spalle politicamente molto fragili.

Forse avrebbe dovuto parlarne con le sue compagne, a cominciare da Rose McGowan, l’altro volto del movimento. Sospettata di essere complice di Asia, McGowan ha fatto dichiarazioni molto dure: non solo ha ribadito di non saperne nulla, ma si è schierata dalla parte di Jimmy Bennett, ha negato l’esistenza di un complotto e ha invitato Asia a essere “la persona che avresti voluto fosse Harvey (Weinstein)”.

Senza rinunciare a denunciare le molestie subite da Weinstein, sapendo che a causa di quello scheletrino avrebbe potuto creare problemi a tutte, Asia avrebbe dovuto optare per una posizione meno esposta: si stava assumendo una grande responsabilità nei confronti delle sue compagne e di milioni di donne infinitamente più fragili di lei, milioni di invisibili che con la realtà delle molestie fanno i conti ogni giorno e a caro prezzo.

Invece ha vinto lo show e probabilmente l’ingenuità di cogliere quella formidabile occasione di visibilità internazionale. C’è anche un femminismo hollywoodiano, prodotto che nello star system sta tirando molto.

E quindi ecco i soldi per far tacere il ragazzino –pagati non da lei, ma da un uomo che la amava-, primo grossolano errore: mettere a tacere con i soldi è precisamente quello che fa abitualmente gente come Weinstein e Trump con le proprie prede. Sarebbe stato un processo di formidabile interesse, piuttosto, in cui si sarebbe potuto mettere a tema la differenza sessuale. Ed ecco in seguito il maldestro tentativo di negare tutto, errore capitale nella cultura americana soprattutto se sai di avere a che fare con il NYT, i suoi cronisti e il suo ufficio legale.

Per le americane è stato inevitabile scaricare Asia per salvare la loro credibilità e quella del #metoo –tolte alcune profittatrici che le hanno teso tranelli per farla parlare: quel mondo è un tremendo verminaio, visibilità e soldi sono tutto-. Asia Argento potrebbe essere professionalmente finita: basta vedere quello che sta capitando a un grandissimo attore come Kevin Spacey, accusato di molestie plurime. Il suo ultimo film ha fatturato 100 dollari al botteghino. Le vicende di Asia e quelle di Spacey non sono certo la stessa cosa, ma ditelo agli americani. Se l’America e lo star system sono il tuo campo di gioco, le regole le dovresti conoscere.

Mi associo senz’altro alla compassione, che è sempre una buona pratica, e auguro ad Asia di rimettersi rapidamente in carreggiata e di uscirne al meglio. Ma niente di più. Mi sento arrabbiata con lei e sconcertata dalla sua faciloneria, dal fatto di non avere minimamente pensato alle altre e ai guai che poteva causare loro.

Ma la domanda decisiva è un’altra, forse la più importante di tutte: sbaglio ad aspettarmi da una donna un più di umanità, di forza e di responsabilità? Non si fa un errore, piuttosto, a comprendere e giustificare sempre e comunque? Non si corre il pericolo dell’infantilizzazione, della vittimizzazione, della deresponsabilizzazione, rischio grandissimo a mio parere, che ci inchioda al sentimento ambiguo e onnivoro della solidarietà nella sconfitta e nel pianto? E non è un errore scomunicare come “non-femministe” o addirittura “ancelle del patriarcato”, come ho visto fare, le moltissime che non si sono sentite di prendere le parti di Asia?

Perciò “contro una donna – Asia- mai”, contro quelle che non la pensano come te invece è tutto lecito: una dimostrazione della persistente incapacità di tenere il punto del conflitto.

 

 

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