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Archivio Agosto 6, 2008

LA MAMMA DI SANT’AGOSTINO

Leggete e commentate liberamente il seguente brano:

“Allevata così nella pudicizia e nella temperanza… quando ebbe raggiunta l’età conveniente andò a marito, e lo servì come un padrone, studiandosi di guadagnarlo a te (Dio, ndr)… ne tollerò le infedeltà tanto di non farne mai motivo di litigio, ma attendeva la tua misericordia su lui…

In realtà egli era molto affettuoso, ma anche molto irascibile. Ella però aveva imparato a non opporsi alle sue sfuriate né con i fatti né con le parole: quando poi, sbollita la collera, lo vedeva quieto e ben disposto, gli spiegava i motivi della sua condotta, se le pareva che egli si fosse adirato troppo a torto.

Molte altre mogli, dai mariti meno furiosi, portavano sulla faccia sfigurata i segni delle percosse; parlando con le amiche, esse inveivano contro la condotta dei mariti, ed ella contro la loro lingua… E poiché esse, ben sapendo quale marito violento dovesse sopportare, si maravigliavano che non si era mai sentito né constatato che Patrizio (il marito, ndr) avesse battuto la moglie o che vi fosse stata un solo giorno domestica discussione tra loro e, in via di amicizia, gliene domandavano come fosse possibile, ella esponeva loro il suo metodo, quello che ho sopra ricordato.

Quelle che ne facevano la prova, dopo l’esperimento ne la ringraziavano; quelle che non volevano farla, continuavano a essere schiave e malmenate”.

da Sant’Agostino, “Le confessioni”.

Archivio Agosto 4, 2008

ADDIO A SOLGENITSYN

E’ morto Aleksandr Solgenitsyn, premio Nobel per la letteratura e soprattutto testimone dell’orrore dei gulag. Il quale pure diceva che se avesse dovuto costruirsi personalmente una vita non avrebbe saputo “inventarne una migliore di quella che Dio mi ha dato”.

La morte di uomini e donne come Solgenitsyn, che hanno vissuto tanto pienamente e generosamente la loro avventura terrena, è tutto sommato un avvenimento ininfluente, che non diminuisce tanta pienezza. Quando si vive così, in un certo senso si sconfigge la morte, la si relativizza, perché si è vissuto eternamente, secondo le leggi armoniche dell’eternità -soprattutto l’amore- contro cui la morte non può nulla.

Archivio Agosto 4, 2008

FIORI DI AUSCHWITZ

Dai vostri commenti al mio post mi pare di poter dedurre una visione piuttosto romantica del bene, come qualcosa di lontano e astratto a cui tendere senza arrivarci mai davvero. Ma io intendevo dire invece che il bene è sempre qui, insieme al male, in ogni istante, e che gli si deve fare largo, tendendo tutti i sensi per scovarlo e attivando tutte le nostre risorse per farlo fiorire. Dentro di noi, prima di tutto, perché possa rampicare dovunque attaccandosi alle nostre relazioni con gli altri e con il mondo. La metafora del rampicante non è per caso e rivolgo ancora il mio pensiero a Etty Hillesum, la mia maestra ragazzina morta tanto presto ad Auschwitz, che del bene parla così:

“Il gelsomino della casa è completamente sciupato dalla pioggia e dalle tempeste degli ultimi giorni, i suoi fiori bianchi galleggiano qua e là sulle pozzanghere scure e melmose (…) ma dentro di me esso continua a fiorire indisturbato, esuberante e tenero come sempre, e spande il suo profumo tutt’intorno alla tua casa, mio Dio”.

Non sentite anche voi la fragranza del gelsomino di Etty, anche se quel profumo sembra non esserci mai stato davvero, o non esserci più? C’è a questo mondo un fiore che profumi più intensamente di quel gelsomino fatto vivere a ogni costo e con caparbia fiducia dentro di sé?

Archivio Agosto 2, 2008

IL BENE HA BISOGNO DI NOI

Il mio maestro di yoga è un uomo molto positivo e cerca di parlare di cose buone appena può. Un giorno, finita la lezione, si mette a dire bene della medicina, dei suoi progressi, del fatto che certe patologie, fino a poco tempo fa mortali, sono sempre più curabili, e di quella vecchietta sua allieva che poco dopo la sostituzione della testa del femore è già in piedi e si muove agevolmente.
Un paio di ragazze, le gambe ancora incrociate nel “loto”, protestano vivacemente: “Non sempre le cose vanno così”. “Potrei raccontarti storie ben diverse”. Certo. Potrei raccontarle anch’io, violando la mia privacy. Di quella volta che nessuno seppe per lungo tempo diagnosticarmi un serissimo problema ginecologico, ed è quasi un miracolo che io abbia potuto avere un bambino. Di quell’altra che a causa di un banalissimo intervento, la rimozione di una neoformazione benigna al collo, per l’imperizia del chirurgo ci ho rimesso una spalla, che da allora soffre di dolori cronici e non ha più ripreso la sua mobilità.
E invece mi viene da raccontare dell’incontro successivo con un ginecologo che mi ha salvato la capacità riproduttiva, oltre alla pelle. E del fatto che con la pratica costante di alcuni esercizi la mia spalla si muove e fa meno male di un tempo.
Dire il bene è farlo essere, dargli spazio e toglierne al male, farlo dilagare e contagiare quello che c’è intorno. Ma al bene si fa una grande resistenza, come per non dargli soddisfazione. E’ la “magica forza del negativo”, per rubare il titolo a un libro a firma delle filosofe di “Diotima”, che rende bene l’idea. E’ la trappola della critica, scambiata come l’unica possibilità di esercizio della libertà: e certo può esserlo, ma non sempre, comunque e in via esclusiva, portando vias spazio al resto.
Dire bene oggi può essere uno scandalo, nel senso etimologico di intoppo, inciampo, nel senso di qualcosa che ci impedisce di continuare nel nostro percorso di distruzione. Può scatenare rabbia e senso di impotenza. Mentre, a ben guardare, un potere più grande non c’è.

(pubblicato su “Io donna” – “Corriere della Sera”  il 2 agosto 2008)

Archivio Agosto 2, 2008

SAVE LIGURY

La parola, “rapallizzazione”, concepita dalla fantasia di Indro Montanelli, indica lo scempio di un territorio a opera degli speculatori. E’ quello che capitò a Rapallo dopo il giugno 1969, data di inaugurazione dell’A12 Genova-Livorno. Prima di allora, venendo da nord, si doveva rampicare sull’Appennino fino ai Giovi e come premio, finalmente, Genova. Il mare. Poi, con la comodità dell’Autofiori, una glassa di cemento cominciò a colare sul Tigullio. Migliaia di seconde case per milanesi e torinesi, condomini metropolitani che si inerpicano a monte.
Rapallizzata o no, è ancora così bella la Liguria. Così esotica, con la sua eleganza scabra e mudejar. Talmente stretta, però. Montagne che precipitano in mare, spazio vitale ridotto all’essenziale. Ci vuole un fisico bestiale, per essere liguri.
Se qui alle Cinque Terre, patrimonio Unesco, dove sto camminando sotto un sole feroce, i fiori di agave che si slanciano in cielo e il mare trasparente a precipizio, se qui cemento non ne è colato troppo è perché di spazio non ce n’è. Anche se ci stanno provando in tutti i modi, tanta bellezza fa troppa gola. Ma si tratta di una bellezza fragile. Solo il naturale talento ingegneristico dei contadini scorbutici ha impedito alle montagne di franare in mare. La mirabile invenzione furono i muretti a secco -messi tutti in fila farebbero una Grande Muraglia- e i terrazzamenti a cui aggrappare viti da Sciacchetrà, vino dolce e meditativo. Un secolo fa le terrazze erano il 60/70 per cento del territorio, oggi siamo al 18. La ri-naturalizzazione qui è pericolosa: se cadono muri e terrazze cadono anche le Cinque Terre.
Sono in marcia con i miei scellerati infradito sul sentiero tra Manarola e Corniglia, e poi di qui a Vernazza e a Monterosso, io e un’altra ventina di pellegrini al seguito di due ben più eroici marciatori, Riccardo Carnovalini ed Elisa Piccoli, che l’arco della Liguria lo stanno percorrendo tutto, da Carrara a Ventimiglia, tra pini e lecci, carrugi e borghi antichi. Silenziosa ragazza bolzanina lei, sta filmando il cammino con una videocamera a spalla per farne un documentario. Spezzino trapiantato nelle Alte Langhe lui, fotografo ma ancora prima ipercinetico camminatore, 35 mila km nelle gambe: tra le sue imprese la circumnavigazione della penisola, 4 mila km dalla Slovenia alla Cote D’Azur. Doveva esserci anche Alex Muzi Falconi, il veterano, che a realizzare CamminAmare, questo il nome dell’impresa, aveva lavorato con passione. Ma se n’è andato un giorno del maggio scorso. Cammina con noi, in spirito.
Racconta Carnovalini: “Se si confrontano le foto di 23 anni fa e quelle del 1970 di Italo Zannier con le immagini degli stessi scorci come sono oggi, il degrado del territorio è evidente. Negli anni Sessanta-Settanta il disastro è stato la cementificazione, oggi lo scempio si sposta a mare, con la proliferazione dei porticcioli turistici: parcheggi per barche, li chiamo io, migliaia di vele e “ferri da stiro”, status symbol fermi 11 mesi l’anno. Nuove edificazioni che cambiano il giro delle correnti, provocando l’erosione della costa. Un business colossale. Si parla di altri 13 porti, tra edificazioni e ampliamenti”. Mancano i depuratori, ma non le boe intelligenti, per affittare telematicamente ormeggi in rada.
Della surreale megadarsena da mille posti-barca (progetto Marinella) che dovrebbe sventrare la dolce piana del Magra, punto ancora intatto dell’estremo levante ligure, vi avevamo già parlato. Iter di approvazione completato, l’ecomostro sarebbe in dirittura d’arrivo. Ma ci sono progetti anche per Sestri Levante, Lavagna, Santa Margherita, Rapallo, e un po’ lungo tutta la costa, nuovi porti con annesse edificazioni. A marzo il governo ha varato un “Fondo per il ripristino del paesaggio”, 45 milioni da spendere in 3 anni per l’abbattimento di orrori e abusi. Ma a che cosa serve tirare giù un ecomostro se poi se ne autorizzano altri dieci? Secondo l’Istat la Liguria è la regione italiana che perde più terra in favore del cemento. Tra il 1990 e il 2005 il territorio “sgombro” è passato da 249.000 a 135.570 ettari, per quanto la popolazione continui a calare. Seconde case, alberghi, barche: una regione-hotel che in bassa stagione si svuota.
I liguri fanno la faccia storta per i “foresti” invasori, peggio dei pirati e dei mori che per secoli li hanno assaliti dal mare. Ma poi si lasciano sedurre dall’idea di un po’ di “vita smeralda” o almeno fortemarmina, cumenda e ragazze al silicone, gente che spende e spande e porta dané. Cosa su cui puntano, per assicurarsi il consenso, gli amministratori locali di destra e di sinistra, compattamente schierati a favore di quella che a breve, altro che rapallizzazione, potremmo dover chiamare “ligurizzazione”. A meno che non intervenga velocemente un po’ di buon senso. Non sono, anche gli amministratori, buoni padri di famiglia? (madri, poche). E invece chiunque levi una voce in sfavore è visto come un disfattista. “Quasi non se ne può parlare” mi dice un collega della stampa locale. “L’unica idea di gestione del territorio è lo sviluppo cementizio”.
A Corniglia, “aquila” delle Cinque Terre, aggrappata in alto su uno sperone di roccia, per fortuna ci accolgono con gentilezza. Un po’ d’ombra sotto i platani, noi e una decina di americani paonazzi: c’è un vero boom dei turisti yankee. Della famosa spiaggia di Guvano, quella nudista e freak, è rimasto poco, erosa come le altre spiagge. Ma i pirati non arrivano solo dal mare. Per fare qualche esempio: c’è un progetto di funivia, ideato dall’Ente Parco delle Cinque Terre, che da Riomaggiore porta a un ex-forte militare, il forte di Bramapane, recentemente acquisito da un’immobiliare di Pavia che con ogni probabilità conta di farci un business. A Pitelli, Golfo dei Poeti, c’è una discarica piena di rifiuti tossici. Qui a Corniglia, a picco sul mare, tra resti di oleandri e bouganvillea, c’è il villaggio Europa, un agglomerato fatiscente di bungalow di legno, non senza un suo fascino délabré. Peccato che contenga amianto, e che il villaggio –dicono- sia tuttora abusivo. Peccato che ora vogliano farci una megaspeculazione, 6000 metri cubi di hotel a picco sul mare. La battaglia infuria: gli ambientalisti del Vas -Verdi, Ambiente e Società- hanno vinto al Tar, la proprietà ha fatto ricorso, sempre con il bizzarro appoggio dell’ente Parco.
Spalmati di solari si riprende il cammino nella macchia, tra mirto e lentisco. Per borghi e sentieri si potrebbe arrivare fino a Genova: “C’era un vecchio progetto, chiamato Verdeazzurro” spiega Carnovalini. “Un’unica camminata per tutto il levante, tra boschi e mare. Ma non se ne parla più”. Il turismo a piedi sta conoscendo un boom, orde di pellegrini che traversano l’Europa: Santiago, la via Francigena, agenzie specializzate. L’Italia potrebbe diventare il paradiso dei camminatori, tra colline, spiagge e città d’arte. Una signora piemontese in marcia con noi, Ines Cavalcanti, illustra di un progetto di cammino, dal 30 agosto al 7 novembre in territorio occitano. Una dozzina di valli piemontesi, e poi la Provenza e la Gascogne fino a Viela, Catalogna: tutti posti dove si parla ancora la langue d’Oc (se interessa: www.chambradoc.it). Chi va a piedi è un viaggiatore gentile. Ma certo non spende molto, e non promuove “sviluppo”.
La salita fino a Prevo, piccolo borgo, si fa sentire. 8 chilometri di marcia in infradito, e ho una vescica a un piede. Ma si comincia a scendere, ed ecco Vernazza che si protende in mare con i suoi colori. Nei carrugi profumo di pane, basilico e sapone di Marsiglia. Un tuffo dal moletto nel mare limpidissimo. Me lo meritavo. Milano è a due ore da qui. Non ci si crede.

(pubblicato su “Io donna”-“Corriere della Sera” il 2 agosto 2008)

Archivio Agosto 1, 2008

VOLEVA UCCIDERSI

Dopo voleva uccidersi, buttandosi in un torrente. Poi ci ha ripensato, ed è andata alla polizia, malconcia, piena di lividi, graffi e morsi a denunciare i suoi stupratori, sette ragazzi perbene, tutti più o meno della sua età, poco più di vent’anni. E perché voleva uccidersi? Semplice: per completare il lavoro dei suoi aggressori.

Si sbaglia a pensare che uno stupro sia un fatto di sesso, e tanto meno di desiderio: un maschio -sette, in questo caso- accecato dalla passione. In uno stupro non c’è desiderio né passione, ma solo violenza. Uno stupro, ha detto qualcuno, è un atto pseudosessuale, in cui si usa il sesso per dire e fare altro.

Quello che conta in uno stupro è annichilire il desiderio della vittima, fare fuori il suo essere desiderante, ridurla all’impotenza, e quindi ucciderla simbolicamente. E non è raro che alla morte simbolica- quella da cui la vittima dovrà saper resuscitare elaborando il “lutto” delle violenze subite- segua una morte reale.

Dopo voleva uccidersi, la ragazza fiorentina stuprata, e invece non l’ha fatto, grazie a Dio. La domanda che conta non è: perché voleva uccidersi? (per completare il lavoro, come abbiamo detto), ma piuttosto: perchè volevano ucciderla?

Perché sette ragazzi possono avere bisogno di uccidere una donna per sentirsi vivi e potenti? Perché non ce lo spiegano loro? Perché non ci aiutano a capire, gli uomini di buona volontà?

Archivio Luglio 28, 2008

PIPI’ DI T-REX

Mi sono affacciata sulla porta di casa, stamattina, e i mattoni del carrugio erano tutti bagnati. Ho guardato il cielo blu con aria interrogativa. Un minuscolo bambino biondo, un perfetto omino, mi ha informato con aria molto seria del fatto che un T-Rex era passato di lì, e aveva fatto pipì. “Ah, ecco!” ho detto. “Ora daremo una bella sciacquata”.

I bambini sanno introdurci, come mediatori angelici, alla magia del mondo. A quello che non si vede, non si sente, non si tocca, ma c’è, e di cui, presi come siamo dalle nostre futili cose quotidiane, abbiamo dimenticato l’esistenza. Loro vengono di lì, sono arrivati da poco, e se ne ricordano ancora in modo vivido. Non avere accanto bambini significa essere costretti alla durezza del mondo così come appare.

Archivio Luglio 26, 2008

CORPI ASIMMETRICI

Leggo sul “Sunday Telegraph” che da qualche tempo in qua le foto di modelle e attrici vengono ritoccate “al rialzo”: a Keira Knightley, nella locandina per “King Arthur”, una ripulita alle occhiaie e il seno aumentato di un paio di taglie. C’è anche un’immagine di Cameron Diaz prima e dopo la “cura”: braccia più tonde, via quella cresta iliaca che buca i jeans, guancia meno incavata. Meglio così. Digitate “anorexia” su Youtube, guardatevi i filmati di certe sfilate con casting a Bergen-Belsen. Vertebre in rilievo, gambe da uccello: perché nessuna tra le giornaliste di moda presenti è salita in passerella per gridare all’orrore?
Intanto anche in Svezia, Eden della parità, si sta cedendo alla pubblicità sessualmente scorretta, quella che utilizza nudi o semi-nudi di donne per vendere prodotti –un’automobile, una birra- che con le donne nude o vestite non c’entrano niente.
A quanto pare intorno al corpo femminile gira un sacco di roba, business eccetera. Che cosa si va cercando, lì? Il più delle volte, suppongo, una frettolosa scarica onanistica. Cosa che non mi scandalizza più di tanto: ci vedo una specie di stralunata cerimonia maschile, l’ossessivo ritorno a un’origine in cui trovare un po’ di requie, movimento di ritorno in cui risuona un’eco sacra. Ho letto di Jacques Lacan che per un certo periodo ha posseduto la celebre “Origine del mondo” di Courbet, e si dilettava a osservare le espressioni dei suoi ospiti di fronte all’oscenità archetipica.
L’immagine del corpo della donna è per tutti –uomini e donne- l’immagine assoluta. Quel corpo come luogo a cui tornare ciclicamente per una ri-creazione. Qualcosa che le donne possono contemplare e ritrovare in loro stesse, se lo vogliono –tante non lo vogliono e distolgono lo sguardo-, ma che per gli uomini resterà per sempre l’irriducibile altro da possedere, da prendere e continuare a perdere, una lotta che non ha mai fine. L’altrove a cui non si arriva mai. Per gli uomini è il corpo che non hanno, il corpo tout court.
Questo per dire che gridare allo scandalo serve a poco o niente. Si tratta di ben altro. Si tratta del fondamento dell’illusorietà di ogni simmetria paritaria.

(pubblicato su “io donna”- “Corriere della Sera” il 26 luglio 2008)

Archivio Luglio 25, 2008

ANCHE IL DOLORE

A proposito del mio ultimo post, sullo stare nel qui e ora. Dice ancora Etty Hillesum, che mi è accanto in questi giorni: “E’ questione di vivere la vita di minuto in minuto e, per di più, accollarsi la sofferenza. E non è certo un piccolo di più in questi giorni” (i giorni sono quelli del luglio 1942, ed Etty è una ragazza ebrea).

Stare nel presente con consapevolezza, voglio dire questo, non è semplice e puro godimento, non è solo beatitudine, secondo una versione semplificata e un po’ edonista: nell’eternità di ciò che è nel momento in cui lo vivo c’è tutto. Anche il dolore. Ma insieme al resto. Un male, quindi, che non è mai assoluto.

Archivio Luglio 25, 2008

QUASI SANTI

Se imparassimo che la vita non ha inizio -è cominciata, a un certo punto, e non è più finita- e quindi non ha fine, e noi siamo parte di questo tutto che fluisce, ne siamo manifestazioni temporaneamente individuate, e il tempo -quindi la fine- riguarda solo i fenomeni che siamo e non questo tutto; e se non permettessimo al pensiero del futuro di sbranare il presente, lasciando che il qui e ora si dilati, sottratto alla tirannica illusione del tempo, fino a somigliare all’eternità di cui è intessuto. Se noi imparassimo queste due cose e le tenessimo entrambe sempre ben presenti, con l’aiuto di quotidiane pratiche di consapevolezza, le nostre vite ne sarebbero drammaticamente mutate, e con esse il mondo. Ma si deve essere quasi santi per arrivare a questo punto, e la santità non è troppo up-to-date.