Da qualche tempo si aggirano per il web certi signori a cui darei il nome di “negazionisti”. E che cosa negano, questi negazionisti? Il fatto che per qualche millennio nascere donne non sia stato un grande affare (vedi alla voce patriarcato). O che persista qualche problemino di prepotenza maschile. Scrive per esempio un tale in un blog a firma femminile (i negazionisti si esibiscono prevalentemente lì, a scopo propaganda): “Non possiedo i dati precisi, ma sono meno di 200 le donne che ogni anno in Italia perdono la vita per mano maschile... Quanti di noi o dei nostri conoscenti hanno perso una persona cara di sesso femminile per violenza maschile, rispetto a quelle morte per tumore? Anche la violenza femminile contro gli uomini è presente, sebbene i media non le diano spazio… Un’altra balla che circola è che uomini e donne non guadagnerebbero allo stesso modo a parità di mansioni, anzianità di servizio…”. E così via.

Tu puoi anche provare a discutere con un negazionista –io l’ho fatto, accanitamente-, portargli dati, statistiche, evidenze storiche, prove documentali. Niente. La sopraffazione maschile non è mai esistita. Il fatto è che stanno militando, è un’ideologia, e contro le ideologie la ragion non vale. C’è anche di peggio, volendo. Tipi assurdi che caricano su Youtube i loro comizi contro il c.d. nazifemminismo. E’ la faccia più trucida di quel contrattacco su cui Susan Faludi, premio Pulitzer del Wall Street Journal, diede l’allarme qualche anno fa nel suo “Backlash. The Undeclared War Against American Women”. Con il solito fisiologico ritardo l’onda è arrivata anche qui, dobbiamo farci i conti. E come?

Niente vittimismi, per favore: ci picchiano! ci violentano! ci licenziano! Il vittimismo è il perfetto pendant del negazionismo. Si tratta piuttosto di tenere ben presente una cosa: che finché gli uomini non avranno trovato il modo di salvare il loro onore, perdendo la loro posizione dominante, non ne usciremo. Che anche al tuo nemico più acerrimo devi permettere di salvare la faccia, se vuoi un armistizio, o meglio ancora la pace. Credo che questo le donne fatichino a capirlo.

pubblicato su Io donna-Corriere della Sera il 18 settembre 2010