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L’informazione può essere partigiana, tendenziosa, pilotata, scorretta, non accurata, insufficiente, sbagliata, inutile e pure marchettara. Può avere un sacco di difetti. Anzi, ce li ha. Ma ha anche la caratteristica di non essere mai abbastanza libera, e di non essere mai troppa.

Strano che il Presidente del Consiglio Berlusconi, tra i politici uno di quelli che di informazione e di comunicazione s’intendono di più, abbia potuto dire che in Italia di libertà d’informazione “ce n’è fin troppa”. Se gli osservatori internazionali di Freedhom House ci classificano tra i paesi a informazione “partly free”, come Thailandia, Congo e Filippine, se siamo l’unica nazione in zona euro ad essere definito in questo modo, se stiamo al 72esimo posto nel mondo per libertà d’informazione, si potrà anche dire che esagerano, che non ci risulta, che ci piazziamo almeno al 50esimo o anche al 30esimo posto, ma certo non che di libertà di informazione da noi “ce n’è fin troppa”.

E’ vero che sono i giorni della grana Scajola, che come molti altri spiacevoli casi che riguardano la nostra classe politica non sarebbe mai venuto a galla se la nostra informazione non avesse almeno quel po’ di libertà. E’ vero che si sta discutendo di intercettazioni, e la questione è rovente. E’ vero anche che, come si evince dalla difficile dialettica interna al Pdl, che il presidente Berlusconi è un manovratore che non tollera di essere disturbato. E’ vero, soprattutto, che chi di media ferisce, chi costruisce il suo potere, come nessuno mai prima, su una straordinaria macchina mediatica, e con indubitabile talento, non può che essere ossessionato dall’idea che di media si può anche perire. E’ vero, in sintesi, che la questione dell’informazione oggi è strategica.

Ma sentir dire dal proprio premier, uno che la parola libertà la usa come un brand, che la libertà d’informazione è “fin troppa” -e quindi che non sarebbe poi male se ce ne fosse un po’ meno- è cosa che fa davvero tremare le vene dei polsi.