Che il padre della dolce Sanaa frequentasse o meno la moschea, o fosse invece un blasfemo bevitore, poco importa. Solo una cinquantina d’anni fa, a Milano, una donna a me molto cara rischiava ogni giorno la vita perché le piaceva cantare, aveva una voce da usignolo, e lo faceva tutte le volte che poteva, e suo padre, un uomo del sud, un uomo buono come il pane, tutte le volte la riempiva di botte, di calci nella pancia, e un giorno le scagliò addosso una scure, ed è solo per miracolo che questa donna oggi può raccontarmelo. E quell’uomo non era musulmano, non era neanche fascista -è sempre stato socialista-, era solo un fondamentalista dell’onore, patrimonio invisibile trasmessogli dal padre, e dal padre di suo padre, senza il quale sarebbe stato solo un morto che cammina. E l’onore di un uomo era -è?- incistato tra le gambe delle donne di casa.

Lasciamo perdere Dio, Allah, Jaweh, che è arrivato solo dopo, ad assumere in cielo quello che la debolezza degli uomini aveva già congegnato sulla terra.