la vicesindaca di milano alla festa di chiusura del ramadan

Conosco la vicesindaca di Milano Maria Grazia Guida, abbiamo condotto insieme la “battaglia” per la nuova giunta. Conosco anche il suo grande impegno per il dialogo e la convivenza, e ho apprezzato che abbia voluto presenziare -una prima volta, da parte delle istituzione cittadine- alla festa di chiusura del Ramadan, celebrazione sentitissima e partecipatissima da parte dei musulmani di tutto il mondo (ogni anno sulla mia spiaggia partecipo indirettamente ospitando sotto l’ombrellone alcuni amici venditori senegalesi smagriti che crollano per l’inedia e l’arsura).

E non condivido il disappunto dell’opposizione per il fatto che la vicesindaca abbia coperto il capo con un velo: in particolare non condivido i toni di questo disappunto (“una carnevalata” e così via). Eppure io quel velo non l’avrei messo.

Partecipare a quella festa, che coinvolge decine di migliaia di cittadini milanesi, è un gesto già molto significativo: parla di accoglienza, di amicizia, di dialogo tra differenze (Maria Grazia è profondamente cattolica). Ma tra le differenze da rispettare c’è anche la propria: e la nostra cultura non prevede che le donne debbano coprire il capo con il velo. Quel foulard, in alcune tradizioni, scende a coprire tutto il corpo, o addirittura a nascondere il viso, diventando una prigione di seta o di rayon. Dice, in buona sostanza, che il corpo femminile è impudico in sé, causa di grave disordine morale e spirituale per gli uomini, e che una donna “onorata” può mostrarsi integralmente soltanto a suo marito e agli uomini di casa. Quel foulard, insomma, è un segno molto ambiguo, poiché allude inequivocabilmente alla sottomissione femminile a un ordine simbolico patriarcale. E una donna occidentale, che è lì a rappresentare le istituzioni, i cittadini e le cittadine, dovrebbe maneggiare quel segno con estrema cautela. Penso, per esempio, alle molte ragazzine musulmane di seconda o terza generazione, che magari devono lottare con la loro famiglia per non coprirsi il capo (o peggio, per fidanzarsi con un non-musulmano: ci sono stae tragedie indimenticabili, come quella di Hina): che la vicesindaca si sia coperta il capo, dando valore a quel gesto, potrebbe non aiutare la loro battaglia di libertà.

Quando vai nei paesi musulmani, come capita a molte giornaliste, non c’è storia: il foulard lo devi mettere, sarebbe un inutile dispendio di energie cercare di evitarlo. Ma qui è un altro conto, anche se la festa era la “loro”. La vicesindaca senza velo avrebbe significato che la città rispetta e garantisce il credo e le tradizioni di tutti i cittadini senza distinzione, ma cominciando dal rispetto della propria tradizione e di se stessa. Le donne di questa città sono libere di velarsi (entro certi limiti, io credo: il viso non dovrebbe essere mai coperto, e non tanto per ragioni di pubblica sicurezza, quanto per il messaggio di violenta oppressione che un corpo umano integralmente velato può veicolare) ma poiché Maria Grazia e la gran parte delle milanesi il velo non lo indossa, questa scelta e questa libertà andavano serenamente e orgogliosamente rappresentate. Come a dire: io sono qui, ma per come sono, secondo la mia verità e la mia libertà.