Meno male che c’è quel bravo ragazzo di Carlo Verdone, che intervenendo nel dibattito sulla prostituzione all’Eur e zona a luci rosse, la butta lì, quasi scusandosi: “è una mossa viziata da un errore etico di base, ammettere che il corpo femminile possa essere messo in vendita. Sarò all’antica e sarò ingenuo, ma non posso accettare una cosa simile“.

Intanto ci sono donne in Parlamento, come la senatrice Pd Maria Spilabotte, che progettano la legalizzazione della prostituzione: il mestiere “più antico del mondo” diventerebbe a tutti gli effetti “una professione come un’altra”, benché di “professioniste” autogestite si possa parlare a dir tanto nel 20 per cento dei casi, visto che per il restante 80 per cento si tratta di schiave sessuali. Sempre più giovani: Lolita, mica la Gradisca. Una pseudo-pedofilia. Come le ragazzine vendute con tanto di pezzo di marciapiede dai rumeni a Milano, o le “massaggiatrici” dei bordelli cinesi che infestano le nostre città.  Un bel quartierino ordinato a luci rosse, con tanto di controlli sanitari e dichiarazione dei redditi, e tutte le altre, 8 su 10, spesso prive di permesso di soggiorno, che continueranno a battere nascoste nel resto della città, reiette tra le reiette. Come se bastasse una decisione amministrativa a fare ordine in quel grande disordine simbolico che è lo sfruttamento sessuale.

Certo: spiacevole entrare nell’androne di casa tua e scoprire cliente e prostituta che si accoppiano, o affacciarti alla finestra e vedere auto in sosta che sobbalzano: ma che cosa ci preoccupa di più? il decoro dello stabile o la riduzione a povere cose di decine di migliaia di donne? Che cosa pensiamo di ottenere rivendicando di non vedere?

Il diritto maschile alla “scarica” è il grande indiscusso: la sessualità degli uomini è questo, non ci si può fare niente. C’è stato un tempo in cui si provava a parlarne, ma a quanto pare quel tempo è finito. Le cronache ci parlano degli aguzzini che sfruttano le ragazzine, ma mai una parola sugli uomini che di quella carne in schiavitù godono (rimozione assoluta del godimento femminile, la donna definitivamente Altra) e senza i quali il business non esisterebbe. Che gli uomini comprino carne di donna in vendita è un dato di natura immodificabile. Forse, anzi, si potrebbe mutuare dall’Islam l’istituto del matrimonio temporaneo o nikah al mutah (letteralmente: matrimonio di godimento), che consente ad un uomo di contrarre matrimonio per un periodo limitato nel tempo, qualche ora, qualche giorno: la prostituzione secondo il Profeta e la Sharia, nel caso 4 mogli non bastassero. Senz’altro più ordinato e decoroso che i copertoni per strada.

La grande normalizzazione, o backlash, prevede tra le altre cose anche il ritorno all’aborto clandestino, in assenza di qualunque discorso pubblico: se ne riparlerà a marzo al Parlamento Europeo, ma grandi mobilitazioni non se ne vedono, diciamo la verità. Quasi nessuna fa un plissé. Non vogliamo vedere, non vogliamo sapere, il femminismo di Stato va alla grande, 50/50 anche nelle assemblee di condominio, ma ”sottomissione” è una parolina molto up to date, l’illuminismo un vecchio arnese, l’ormai inevitabile civilization change prevede che si abbassi un bel po’ la cresta.

Recensendo il romanzo di Michel Houellebecq Marco del Corona sostiene che forse l’autore “vuole offrirci, dopo tanto scoramento, un barlume di speranza: se c’è un argine alla sottomissione romanzesca prefigurata da Sottomissione, può venire solo dalle donne”.

E lo psicoanalista Fethi Beslama, sottolineando che “l’assioma che soggioga la soggettività maschile è godere delle donne e odiare il loro desiderio”, (Dichiarazione di non sottomissione – Poiesis) e inscrivendo nell’agonia del patriarcato la violenza del fondamentalismo islamico, sostiene che “la catena della schiavitù e della politica disumana non può essere spezzata se le donne rimangono asservite a questa configurazione del femminile, chiuse sotto chiave dalla sovranità dispotica dell’uomo stallone”.

Cito due uomini, non due femministe. Non sarebbe il momento di discuterne?