Hillary Clinton dice che è stanca, e che vuole lasciare la politica. Come Segretaria di Stato sta girando il mondo come una trottola, dall’Iraq alla Turchia alla Cina. Vuole stare un po’ in famiglia, dice, e occuparsi di diritti di donne e bambini. Puntava a diventare presidente degli Stati Uniti, ma a quanto pare ha cambiato idea.

A me l’ambiziosissima Hillary è sempre piaciuta, con il suo sguardo pungente dietro gli occhiali da studentessa brillante, fino a quella incredibile immagine di lei con gli occhi sbarrati e la mano sulla bocca, insieme al presidente Obama e al resto dello staff presidenziale, mentre assiste in diretta da Washington alla cattura e all’assassinio di Osama bin Laden. Forse un po’ troppo perfino per una dura come lei.

Mentre noi della vecchia Europa e della vecchissima Italia siamo qui ancora a parlare di giunte Alemanno e altre miserie, Hillary ci guarda da oltreoceano e dalla fine del suo percorso di grandissima emancipata, e ci manda un messaggio perturbante: sono stanca -e, forse, non ne vale la pena-. Torna a se stessa e a quell’altra politica, quella in cui le donne sono sempre state in prima linea, quella della giustizia, dei diritti e dell’aiuto.

Forse mi sbaglio, ma in questa resa anticipata -qui c’è gente che a novant’anni non ha alcuna intenzione di mollare- leggo tutta la fatica di una donna nella politica degli uomini. Sento che quando si va lì, in quei luoghi pensati dagli uomini e dal design maschile, o si ha la forza di segnarli della propria differenza -una forza immane, che può venirti solo da un intenso legame con le altre- o si soccombe. A meno di scappare prima che capiti.

Perciò Hi, Hillary. E grazie di tutto.