Mentre l’attrice americana Rachel Farrock lancia su Youtube il suo drammatico appello perché qualcuno l’aiuti, anche economicamente, a curare l’anoressia che l’ha ridotta uno scheletro di appena venti chili, in Italia la parlamentare Sara Moretto del Pd firma una proposta di legge per autorizzare il Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) con alimentazione forzata per le anoressiche che rifiutino anche occasionalmente i trattamenti medici.

Proposta “securitaristica” e autoritaria che fa molto discutere: “obbligare a mangiare”, anche con un sondino, non è mai stata ritenuta una strada per curare l’anoressia nervosa.

Fabiola De Clerq è stata anoressica ed è fondatrice e presidente di Aba, associazione per lo Studio e la Ricerca su anoressia, bulimia, obesità e disturbi alimentari nata nel 2002 a Milano e che assiste circa 700 anoressiche ogni mese. Come valuta la proposta?

“Molto pericolosa” dice. “Non ho mai creduto alla riabilitazione alimentare. Il disturbo dell’alimentazione è il sintomo di un disagio profondo. Si deve lavorare sulle ragioni del disagio, non sul sintomo, che va visto come una specie di autoterapia”.

Essere costretta al cibo forse è la peggior forma di tortura per un’anoressica: ma servirebbe?

“A peggiorare le cose. Dopo il trattamento obbligatorio la paziente potrebbe “vendicarsi” con comportamenti autolesionistici, fino al suicidio”.

Le è mai capitato di far ricoverare qualcuna?

“Raramente, e solo in caso di pericolo gravissimo(*). Che cosa potrebbe capitare se una famiglia con una figlia che non vuole mangiare si rivolgesse al sindaco del paese, magari un amico, per fargli firmare la richiesta di TSO? Anche perché molto spesso i veri pazienti sono i genitori. Anche loro devono seguire una terapia. E un sondino può essere perfino pericoloso”.

In che senso?

“Le anoressiche possono essere nevrotiche o psicotiche: lo stesso sintomo è la punta di iceberg molto diversi. Se una paziente è psichiatrica, con l’alimentazione forzata puoi innescare una bomba. A una psicotica non puoi togliere l’anoressia, perché la scompensi. Un ragionevole grado di anoressia, o anche di bulimia, può essere l’elemento che la tiene in equilibrio. Ho per esempio ex-pazienti psichiatriche bulimiche che hanno ridotto considerevolmente gli episodi di vomito. Magari capita ancora solo sotto stress, ma serve a garantire loro un assetto compatibile con la vita: pur sempre meglio che sentire le voci o credersi la Madonna. Qui si va a tagliare una materia delicatissima con un coltello grossolano”.

La minaccia di un TSO non potrebbe essere un incentivo a curarsi? -mi scusi, non lo credo affatto, ma glielo domando lo stesso-.

“Ma se non hanno neanche paura della morte! Quando glielo dico io, che sono stata anoressica: “Guarda che muori”, un po’ mi danno ascolto, perché sanno che le capisco. Ma se a dirglielo è un medico quasi sempre è inutile. Le anoressiche sono in costante delirio di onnipotenza. La chiave del disturbo è il controllo: credono di poter controllare tutto, anche la morte”.

E invece possono morire.

“L’anoressia è la prima causa di morte tra le pazienti psichiatriche. Spesso si tratta di suicidi. Ma in tanti anni non mi è mai morta nessuna, e prendo anche ragazze ridotte a 25 kg. Guarire si può, eccome. Abbiamo guarigioni di continuo. E guarire è anche guarire ragionevolmente, ridurre il disturbo fino alla compatibilità con una buona vita. Viceversa, puoi ingrassare 25 kg e non guarire affatto, finendo con l’esprimere il tuo disagio in disturbi anche peggiori. Nell’80 per cento dei casi dietro il disturbo alimentare ci sono maltrattamenti e abusi intrafamiliari. Che cosa fai, gli dai anche la mazzata del TSO? Perché, allora, non il TSO obbligatorio per gli alcolisti? In fondo l’anoressia è una dipendenza, come l’alcolismo: sei dipendente dal non-mangiare-niente. Ci mettiamo a curare così tutte le dipendenze, con i trattamenti obbligatori?”.

Se non questa legge, di quale legge ci sarebbe bisogno?

“Guardi, io non mi aspetto più niente dalla politica. Niente di niente. Faccio tutto da sola. Anche perché spesso, quando la politica si muove, i risultati sono cretinate come questa. Ci vorrebbe almeno l’umiltà di studiare, prima di proporre una cosa tanto grave. La cosa importante sarebbe che le Asl si attrezzassero, che i medici di famiglia venissero formati. Ma di una legge così i giornali non parlerebbero”.

 

(*) Una precisazione d’obbligo

Rispondendo alla mia domanda: “Le è mai capitato di far ricoverare qualcuna?”, Fabiola Declerq risponde: “Raramente, e solo in caso di pericolo gravissimo”. La mia domanda diretta può ingenerare equivoci e lasciare intendere che sia stata Declerq in persona a disporre il ricovero delle pazienti in pericolo. Naturalmente non è così: a disporre i pur rari ricoveri non è stata la signora Declerq, ma i medici che collaborano con Aba, i soli titolati a farlo.

 

22 maggio: ricevo e pubblico replica dell’on. Sara Moretto

 

Gentile dott.ssa Terragni,
vorrei fare un po’ di chiarezza sulla mia proposta di legge sul trattamento sanitario obbligatorio nei casi di disturbi del comportamento alimentare e sulle dichiarazioni di Fabiola De Clerq, presidente di Aba, associazione per lo Studio e la Ricerca su anoressia, bulimia, obesità e disturbi alimentari. La mia pdl è animata dalla volontà di salvare delle vite umane, non certo di introdurre metodi repressivi. Essendo i DCA delle patologie psichiatriche, la normativa vigente prevede già oggi la possibilità di fare i Tso. Non solo. Il ricorso a questo strumento (ovviamente eccezionale e di brevissima durata) è contemplato anche nei quaderni del Ministero della Salute. La proposta di legge specifica essenzialmente due cose: la prima è che i Tso devono essere mirati alla nutrizione, come trattamenti salvavita, la seconda che questi trattamenti vanno erogati nelle strutture pubbliche, uniformandone le modalità a livello nazionale. La proposta di legge chiede l’individuazione di posti letto “sicuri” e di équipe formate per la gestione di queste situazioni drammatiche. Inoltre, non vi è alcun accenno alla “alimentazione forzata”. L’alimentazione meccanica non è un metodo forzato ma un programma di trattamento. L’aggettivo “meccanica” si riferisce al fatto che mangiare deve essere qualcosa che si fa indipendentemente dai propri pensieri e sensazioni, come una medicina.

Per concludere, definire la proposta “una cretinata” significa quantomeno non tener conto delle posizioni espresse dai principali psichiatri italiani che si occupano di queste patologie né dalle associazioni che rappresentano le famiglie. 

Ci vorrebbe almeno l’umiltà di leggere la proposta, prima di criticarla.


On.le Sara Moretto

 

UN ALTRO CONTRIBUTO ALLA DISCUSSIONE: ALESSANDRA ARACHI

Alessandra Arachi è una collega del Corriere della Sera. Conosce personalmente il problema di cui si discute qui, sul quale ha scritto in “Briciole. Storia di un’anoressia” (Feltrinelli) e nel romanzo “Non più briciole”, da qualche settimana in libreria per Longanesi.

Secondo Arachi ogni proposta è perfettibile, ma la legge Moretto costituirebbe un passo avanti nella gestione della malattia.

“Si deve tenere conto” dice “che il TSO si pratica già nei casi più gravi e nelle fasi acute della malattia. E infatti la giovane anoressica di cui racconto nel romanzo viene sottoposta al trattamento. Il senso della proposta di Moretto è: visto che i TSO li facciamo già, facciamoli meglio. Invece di ricoverare forzatamente le anoressiche in reparti di psichiatria, costruiamo ambiti specializzati e multifunzionali dedicati alla patologia”.

Anorexia Unit, insomma.

“Potrebbe essere un’idea. La proposta non introduce il TSO per le anoressiche, semplicemente precisa come questo strumento dovrebbe essere utilizzato”.

Come spieghi allora la contrarietà di molti addetti ai lavori?

“Io ho ascoltato anche molte voci favorevoli. L’anoressia è una malattia molto mediatica, e troppi la cavalcano improvvisandosi esperti”.

C’è anche un problema culturale: si legittima un principio autoritario nella gestione della malattia. Probabilmente molte famiglie pensano che il problema si risolverebbe se potessero alimentare a forza le figlie.

“Ripeto: qui non si vuole usare il TSO per costringere le anoressiche a mangiare. Il TSO è inteso come un salvavita. Rinunciando alla coazione nella cura delle patologie psichiatriche, Basaglia ha fatto una cosa meravigliosa, ma la sua legge è stata applicata solo a metà con tutti problemi che sappiamo”.

Conosci casi di anoressiche che hanno subito TSO?

“Come dicevo, la protagonista del mio romanzo viene trattata in un reparto di psichiatria, dove si cumulano errori su errori. Quando scopre che l’alimentazione forzata le ha fatto prendere peso la sua rabbia esplode. Ma la stessa prassi gestita in centri specializzati e multidisciplinari avrebbe tutt’altro senso. Esistono realtà d’eccellenza dove le cose funzionano bene. Non si deve avere ideologicamente paura della parola TSO”.

Hai mai visto un TSO? E’ un evento drammatico, spesso servono le forze dell’ordine.

“Nel caso delle anoressiche in fase acuta ho visto solo ambulanze e personale sanitario. Sono sfinite, non hanno la forza fisica di ribellarsi”.

Troppo spesso in Italia le leggi sono soggette a interpretazioni e applicazioni arbitrarie. Metti il caso di una famiglia che vive in un piccolo paese, che si ritrova con una figlia che non mangia e credendo di fare la cosa giusta chiede al sindaco amico di autorizzare un TSO…

“Ma così si violerebbe la legge. Ripeto: La proposta Moretto prevede il TSO solo in fase acuta, come salvavita. In ogni caso il TSO, che è l’unico strumento coercitivo sopravvissuto alla rivoluzione di Basaglia, può essere disposto dall’autorità amministrativa solo su richiesta dello psichiatra”.