(foto Ansa)

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Il Presidente del Consiglio dice che non vuole un’Italia multietnica. Per la precisione dice “L’idea della sinistra era ed è quella di un’Italia multietnica. La nostra idea non è così” (probabilmente domani dirà che non l’ha detto affatto, che la stampa è tutta di sinistra e truffaldina, eccetera: un colpo al cerchio e uno alla botte, deve trattarsi di una precisa e fruttuosa strategia di marketing). Fa un po’ impressione sentire il Presidente del Consiglio parlare come uno skinhead, ma la cosa ha i suoi vantaggi. O dovrebbe averli. Per esempio, quello di chiarire una differenza inaggirabile tra destra e sinistra, contro ogni tentazione di omologazione. Ma come vedremo le cose non sono così semplici.

Si aprono tuttavia alcuni problemi:

1) l’Italia è già multietnica, lo è sempre stata e lo sarà sempre. Io sono multietnica e abbronzata, non come Mr Obama, ma quasi: dalla Germania all’Italia del Sud passando per gli Stati Uniti d’America. Come si fa a ripurificare l’etnia? e qual’è l’etnia italiana?

2) le divergenze con la Chiesa a questo riguardo sono assolute. La Chiesa ha preso posizione contro la non-accoglienza ai barconi di clandestini, e recentemente aveva anche tuonato contro certe leggerezze nella vita privata del premier.

3) come capita spesso, la risposta della sinistra è flebile e contraddittoria: anche qui, un colpo al cerchio e uno alla botte. Giovanna Melandri dice di volere un’Italia “multietnica, pluralista e libera”. Piero Fassino tempera dichiarando che anche “l’immigrazione legale (cioè non solo i clandestini, ndr) apre una contraddizione nuova: la parte più povera della popolazione italiana vede gli immigrati regolari come competitori… si rischia una guerra tra poveri che va disinnescata”. E allora, che cosa si fa?

Conviene che l’Italia multietnica ci piaccia, perché non è data la possibilità di un’altra Italia. Più ci piacerà, e meglio sapremo gestirne gli inevitabili problemi (situazioni a-problematiche non si danno), ottimizzandone le opportunità. Più ci piacerà, più la faremo piacere ai nostri figli, e meglio sapremo imporre, senza sconti e senza false coscienze, un rispetto di regole uguali per tutti, italiani “vecchi” e nuovi. Ma come si fa a dire un figlio che il nostro paese è multicolor, quando chi ci governa auspica il monocolore? Come si fa a scoraggiare l’intolleranza e a lavorare sulla fatica dell’altro, se le direttive istituzionali vanno in un’altra direzione?