Con i nomi non si scherza -e nemmeno con i cognomi-: nominare significa entrare a fare parte dell’esistenza simbolica, cioè propriamente umana, e non è la stessa cosa se ci entri con un nome -e un cognome- o con un altro. Nella fattispecie, se con il cognome del padre, con quello della madre, o con entrambi.

La Corte europea dei Diritti Umani, in chiave antidiscriminatoria ha stabilito che i genitori hanno il diritto di dare ai propri figli e alle proprie figlie anche il solo cognome materno. E hanno condannato l’Italia per la negazione del diritto a una coppia di milanesi, Alessandra Cusan e Luigi Fazzo, genitori di Maddalena, che battagliano dal 1999, quando fu loro impedito di registrare la figlia con il solo cognome materno. La sentenza di Strasburgo indica che il nostro Paese «deve adottare riforme» legislative o di altra natura per rimediare alla violazione. Di buon auspicio il tweet positivo del premier Letta: “La Corte di Strasburgo ha ragione. Adeguare in Italia le norme sul cognome dei nuovi nati è un obbligo”.

E’ dal 1979 che Iole Natoli Nisi (Nisi è il cognome materno, che non ha potuto registrare all’anagrafe), insegnante, illustratrice pubblicitaria, giornalista e scrittrice, lotta per il riconoscimento di questo diritto. Una battaglia che lei definisce “antipatriarcale”: “Occultare il nome della madre” dice “equivale a cancellare la madre“. La  sentenza di Strasburgo la sente come una vittoria anche sua.

C’è una ragione biografica per questo tuo “accanimento”?

“No. Tra l’altro avevo un ottimo rapporto con mio padre. Ma sono sempre stata molto sensibile alla questione. Quando nacque la mia prima figlia mi informai sulla possibilità di darle anche il mio cognome. Mi dissero che dovevo rivolgermi al ministro di Grazia e Giustizia, un iter scoraggiante e dagli esiti incerti. La cosa mi è sempre parsa un sopruso. Tanto più che la legge non parla affatto di diritto del padre a trasmettere il suo cognome, ma di diritto del figlio e della figlia ad averne uno. Perché dev’essere quello del padre, di default? Dare a chi nasce un solo cognome equivale ad amputarlo del suo diritto di collegamento con gli ascendenti. Un abuso di autorità, che a praticarlo siano i genitori o lo Stato”.

Come vanno le cose in altri Paesi?

“In Norvegia e in altre nazioni del Grande Nord il cognome è quello materno, a meno di decisioni diverse dei genitori. In Germania c’è la possibilità di scegliere tra uno e l’altro cognome. In Spagna c’è il doppio cognome in automatico: per evitare la moltiplicazione dei cognomi, il padre e la madre indicano quale dei loro due cognomi dare al figlio o alla figlia, che successivamente potrà invertire l’ordine. In Australia e in alcune zone del Regno Unito c’è addirittura la possibilità di dare un cognome di invenzione: la madre è Rossi, il padre Bianchi, e il figlio o figlia può chiamarsi Verdi. La nostra legislazione è un baluardo patriarcale“.

Dal 2012 però un decreto presidenziale ammette la possibilità di affiancare il cognome della madre a quello del padre.

“Ma poi ci sono le circolari applicative, che creano mille difficoltà. Devi rientrare nella casistica delle motivazioni previste, e già il fatto di dover chiedere ai prefetti non è accettabile. Richiesta che peraltro, come è capitato, può essere respinta”.

E quindi?

“Quindi il Presidente della Repubblica potrebbe intanto modificare il dpr nel senso indicato da Strasburgo. E poi si dovrebbe intervenire sulla legge: ho lanciato due petizioni distinte, la prima con una proposta di legge, la seconda al Presidente,

In sintesi, che cosa si propone?

Il doppio cognome, come in Spagna: e come primo, quello materno, per “prossimità neonatale“”.