L’altro giorno su Repubblica Adriano Sofri, commentando la mobilitazione del 13 febbraio, scrive: “Non avevo mai sentito tante buone ragioni per aderire a una manifestazione. E non avevo mai sentito pretesti così capziosi e vanesi per non aderire”. Detto da uno dei pochi commentatori attenti a quello che capita tra le donne mi ha veramente stupito. Gli faccio rispondere da un altro osservatore attento, forse più attento di lui, Alberto Leiss, che sul sito Donnealtri nota: “Esiste una cultura politica femminile e femminista molto ricca e varia, e che sarebbe l’ora da parte di chi fa politica e di chi scrive sui giornali di studiarla finalmente un po’, almeno con lo stesso interesse con cui si discute, che so, dell’”azionismo” di Eco e del “liberalismo” – si fa per dire – di Ostellino“.

Le donne non sono un soggetto monolitico, e le molte differenze tra loro non sono liquidabili (un po’ sprezzantemente, devo dire) come vanità e capziosità. Il “diritto alle sfumature” (chiamamolo orribilmente così) non è solo maschile. Che poi comprendere queste differenze non sia facile e richieda un certo impegno è un altro conto. Impegno che a noi donne, costrette a confrontarci con le “vanità e capziosità” della cultura e della politica maschile, è richiesto ogni giorno.

Si arrabbia anche la scrittrice Chiara Gamberale, che per aver portato tutta la ricchezza dei suoi distinguo intervenendo sul Corriere, si è ritrovata iscritta d’ufficio al partito del “no” alla manifestazione del 13 febbraio: “Non sono permesse sfumature del pensiero, in questo momento?”.

O bianche o nere, per il comodo degli uomini.