Nel piccolo libro di cui voglio parlarvi c’è una preziosità che lo rende raro. E’ normale che un uomo si misuri con il padre, specie dopo l’abbagliamento della sua morte. Il primo lascito di lui è il compito di ricostruire e narrare simbolicamente, con la scrittura o con altri mezzi, quello che in quell’istante abbiamo visto con straziante chiarezza (“Patrimonio” di Philip Roth vale per tutti). Più difficile che questo capiti con la madre. La vita di un uomo si organizza da subito a partire da un doloroso distacco, continuamente reiterato, e dalla negazione di quel corpo potente che lo ha originato, così diverso dal proprio.

Nati da donna, gli uomini si staccano dalla materia e si rimettono al mondo in un loro difensivo assoluto, di cui le donne non fanno parte. Questo piccolo libro, invece (“Accarezzami, madre”, di Diego Dalla Palma,

Diego Dalla Palma

Diego Dalla Palma

esperto di immagine) scritto da un non-scrittore, è la testimonianza di un uomo che accetta di misurarsi con sua madre. Che non la nega e la riconosce come l’origine, in tutto il bene e in tutto il male. Che fruga nelle pieghe della sua vita alla ricerca di indizi per la propria, e prova a saldare un conto destinato a rimanere aperto.

La prima e principale impudicizia è questa: rompere l’omertà maschile, non nascondere il debito –e rivendicare il credito- che ti lega alla donna da cui sei nato. Non smettere di farle domande, anche adesso che lei non c’è più (“Te si viva, mare!”), e di esigere le sue risposte. La seconda, saper dire la rabbia per una sete d’amore mai estinta da questa donna algida e guerriera, una “sarabanda infernale” che il tempo non ha acquietato. Le altre impudicizie –il racconto della miseria, del freddo, della vita da pastori nelle valli venete, lei con la spilla di latta sul petto, lo sguardo dritto alla pianura da dove sarebbe potuto venire il riscatto; e la propria malattia, le violenze sessuali subite da un prete, la prostituzione occasionale, l’omosessualità, le botte alla madre- tutto sommato vengono dopo.
Quello che conta è questo mettersi a nudo e offrirsi, in una sorta di setting analitico, che induce in chi legge il bisogno irresistibile di voltarsi indietro per guardare alla propria madre. E possibilmente perdonare.

(pubblicato su Io donna – Corriere della Sera l’1 novembre 2008)