Un’anziana donna ha perso sua figlia. E’ molto forte, nella vita ne ha passate tante, ma stavolta il colpo appare insopportabile. Un fatto contro natura.Parlando della figlia in agonia, dice che negli ultimi giorni “ha visto tutti i morti”, il padre, il marito, la nonna: e li elenca uno a uno. Dice che li invocava, che ci parlava.

Intende che la figlia aveva già messo un piede in quell’altro mondo, e che quei cari che da tempo stavano di là erano accorsi tutti per accompagnarla amorosamente nel passaggio, stretto e faticoso come un parto, che l’avrebbe riportata lì da dove era venuta. Non il nulla, ma un’altra casa che somigliava a quella terrena, popolata di affetti, di consuetudini e di invisibili abbracci.

Si potrebbe anche dire così: che nel delirio terminale, l’ammalata confondeva il presente con il passato e la realtà con la memoria. Che complesse reazioni biochimiche riattivavano tracce mnestiche profonde. La scienza sembra saper spiegare razionalmente quasi tutto.

Ma traducendo quell’avere “visto tutti i morti” nei termini della pura ragione, qualcosa del significato di quell’esperienza va irrimediabilmente perduto. Sembra la stessa cosa ma non lo è.

Non sono una medica o una biologa, e tanto meno una linguista. Mi avventuro con uguale prudenza in tutti questi territori. Ma da persona che lavora con le parole, credo di poter dire che rinunciando all’allegoria, a quel vivido racconto di un incontro amoroso, di un intrecciarsi di parole, sguardi e carezze, magari anche qualche risata e una prima timida passeggiata in quel mondo nuovo, rinunciamo a una parte essenziale di quello che ci capita come esseri umani.

Mi ha commosso che la lingua materna –per essere precisi, la lingua di una madre ferita, ricondotta alla primarietà della sua esperienza, a quel corpo-a-corpo con la creatura, liberata dalla costrizione a credere in un razionale depurato di tutto- abbia saputo raccontare in modo così vero l’esperienza vissuta. Ricorrendo a un’allegoria che non separava ragione e sentimento, dolore e consolazione, disperazione e fiducia. Sistemando in un’immagine tanto viva quel poco che di quell’assurdo poteva essere sistemato.

Si può anche dire con i versi di Emily Dickinson, che sulla morte ha splendidamente poetato: “Attraverso una luce sfuggente/Più acuta la visione, in vero/Che con uno stoppino ben fermo”.

  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •