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AMARE GLI ALTRI, economics Gennaio 6, 2013

La spesa sospesa

A Napoli c’è un’usanza antica e civilissima, quella del caffè sospeso: vai a bere il tuo caffè e ne lasci uno pagato per un avventore che non può permetterselo. Ispirandosi a questa pratica, uno studio veterinario dell’hinterland partenopeo si è inventato la visita sospesa: ultimi tra gli ultimi, i nostri adorati amici rischiano di essere i primi a pagare la crisi e a non poter ricevere le cure necessarie.

Ieri a Milano un pensionato di 81 anni ha cercato di uscire dal supermercato senza pagare i 39 euro della sua spesa. Intercettato, ha detto di averlo fatto per fame. Il direttore non l’ha denunciato, limitandosi a chiedergli di saldare il conto.

Sarebbe bello che le catene di grande distribuzione, da Esselunga a Carrefour a tutte le altre, istituissero la “spesa sospesa”, raccogliendo donazioni dei clienti e contribuendovi esse stesse. Un tesoretto a disposizione di chi si trova in difficoltà e faccia richiesta di accedervi, con particolare riguardo alle persone anziane e sole.

Io la butto lì, vediamo se qualcuno raccoglie.

Donne e Uomini, Politica Aprile 15, 2012

Che cos'è il "patto di genere"

Comincia a circolare e a diventare lingua corrente l’espressione “patto di genere”. Ieri al seminario nazionale di Se non ora quando sulla rappresentanza è risuonata molte volte. Si tratta però di capire bene di che cosa stiamo parlando, perché molte sono dubbiose: “Come faccio a stringere un patto di genere con la mia avversaria politica?”. Ebbene, il patto di genere è proprio ciò che consente di avere una nemica politica senza dispersione di energie.

Da noi stesse noi donne pretendiamo identità assoluta di vedute, o ci opponiamo in un’inimicizia altrettanto radicale. In soldoni, o solidarietà totale con l’altra, o annientamento dell’altra. Pretendiamo anche di intenderci tutte uguali, e anche questo è un errore, perché si tratta di saper riconoscere il fatto, anche doloroso, che una in certe cose, è meglio di te, ha più talento di te. Il patto di genere non ha niente a che vedere con la solidarietà, è una cosa molto diversa da una lobby e non costringe a rinunciare alla differenza di vedute. Avere saputo stringere un patto fondativo di genere è la mossa che ha fatto vincere gli uomini, che sanno dosare la loro inimicizia. Quello che ci lega a tutte le altre in un patto dell’origine è la nostra differenza femminile. Riconoscendo l’altra come donna, posso riconoscere anche me stessa come radicalmente diversa da un uomo. Il pluralismo e la trasversalità politica, che in alcuni casi, come in quello della lotta per la rappresentanza, sono una strada obbligata, sono solo l’aspetto esteriore del patto di genere, che è ben altro.

La cosa che fa più male a noi donne non è il conflitto politico, che è ovvio e necessario, ma il fatto che molte siano più fedeli agli uomini che al loro genere, e quindi a loro stesse. Che lavorino con le donne ma siano pronte a smobilitare rapidamente per rispondere al padre e compiacerlo. Questo è ciò che complica enormemente le nostre relazioni politiche, non il fatto che, poniamo, la si vede diversamente sulla legge 40 o sulla riforma del lavoro.

“Protette” dal legame con l’origine, potremo confliggere più agevolmente. Potremo convergere su alcune questioni, come capita facilmente in tema di violenza sessista o anche di salute, o sul valore politico della cura, e divergere su altre. I rapporti con la nemica non saranno più devastanti, perché la riconosceremo come possibile alleata in altre circostanze. Come dice Simone Weil, ci si potrebbe associare e dissociare “secondo il gioco naturale e mobile delle affinità…”, e questo sarebbe già uno straordinario cambiamento della politica, perché è certo che noi vogliamo andare lì per cambiarla.

Oggi c’è di sicuro un livello minimo che tiene insieme tutte le nostre differenze, un comune denominatore da cui partire per costruire un’agenda politica. Lo direi sinteticamente in due punti: riportare la vita al primo posto, ed essere lì a tenercela.

E’ di qui che si deve partire.

Donne e Uomini, Politica Aprile 15, 2012

Che cos’è il “patto di genere”

Comincia a circolare e a diventare lingua corrente l’espressione “patto di genere”. Ieri al seminario nazionale di Se non ora quando sulla rappresentanza è risuonata molte volte. Si tratta però di capire bene di che cosa stiamo parlando, perché molte sono dubbiose: “Come faccio a stringere un patto di genere con la mia avversaria politica?”. Ebbene, il patto di genere è proprio ciò che consente di avere una nemica politica senza dispersione di energie.

Da noi stesse noi donne pretendiamo identità assoluta di vedute, o ci opponiamo in un’inimicizia altrettanto radicale. In soldoni, o solidarietà totale con l’altra, o annientamento dell’altra. Pretendiamo anche di intenderci tutte uguali, e anche questo è un errore, perché si tratta di saper riconoscere il fatto, anche doloroso, che una in certe cose, è meglio di te, ha più talento di te. Il patto di genere non ha niente a che vedere con la solidarietà, è una cosa molto diversa da una lobby e non costringe a rinunciare alla differenza di vedute. Avere saputo stringere un patto fondativo di genere è la mossa che ha fatto vincere gli uomini, che sanno dosare la loro inimicizia. Quello che ci lega a tutte le altre in un patto dell’origine è la nostra differenza femminile. Riconoscendo l’altra come donna, posso riconoscere anche me stessa come radicalmente diversa da un uomo. Il pluralismo e la trasversalità politica, che in alcuni casi, come in quello della lotta per la rappresentanza, sono una strada obbligata, sono solo l’aspetto esteriore del patto di genere, che è ben altro.

La cosa che fa più male a noi donne non è il conflitto politico, che è ovvio e necessario, ma il fatto che molte siano più fedeli agli uomini che al loro genere, e quindi a loro stesse. Che lavorino con le donne ma siano pronte a smobilitare rapidamente per rispondere al padre e compiacerlo. Questo è ciò che complica enormemente le nostre relazioni politiche, non il fatto che, poniamo, la si vede diversamente sulla legge 40 o sulla riforma del lavoro.

“Protette” dal legame con l’origine, potremo confliggere più agevolmente. Potremo convergere su alcune questioni, come capita facilmente in tema di violenza sessista o anche di salute, o sul valore politico della cura, e divergere su altre. I rapporti con la nemica non saranno più devastanti, perché la riconosceremo come possibile alleata in altre circostanze. Come dice Simone Weil, ci si potrebbe associare e dissociare “secondo il gioco naturale e mobile delle affinità…”, e questo sarebbe già uno straordinario cambiamento della politica, perché è certo che noi vogliamo andare lì per cambiarla.

Oggi c’è di sicuro un livello minimo che tiene insieme tutte le nostre differenze, un comune denominatore da cui partire per costruire un’agenda politica. Lo direi sinteticamente in due punti: riportare la vita al primo posto, ed essere lì a tenercela.

E’ di qui che si deve partire.

Donne e Uomini, esperienze, lavoro, Politica Dicembre 20, 2011

Datemi la mia nemica

Questa cosa delle 3 donne in conflitto sul tema cruciale del lavoro (Fornero-Camusso-Marcegaglia), la trovo semplicemente esaltante, e volevo dire due parole in più.

Apro il Corriere e sono pazza di gioia, pp 2-3 con l’immagine di 3 donne che non sono lì per un caso di cronaca, come vittime di qualcosa, con la ramazza in mano o con le tette fuori. Sono 3 protagoniste della nostra vita politica. E questo è moltissimo.

Di più: sono in conflitto pesante tra loro -conflitto che naturalmente tutte e tutti speriamo trovi un punto di mediazione soddisfacente per il maggior numero. Chi invoca solidarietà dice una stupidaggine.

Io voglio una nemica. Ho bisogno di una nemica. Ho diritto ad averne una.

Forse non sembra, ma anche questo è un modo per riconoscere l’altra, e anche me stessa. Non intendo farmi schiacciare e limitare da un unanimismo solidale che impedisce le differenze e i conflitti. Questo è un modo maschile di guardare a noi stesse, come a un unicum indifferenziato.

Quello in cui sperare è molto diverso dalla solidarietà. E’ un patto tra donne. E’ una fedeltà al proprio genere che consenta di convenire su un valore comune -io direi: tenere la vita al primo posto– pur nella differenza assoluta delle posizioni.

E’ una fantastica prima volta.

AMARE GLI ALTRI, economics Luglio 5, 2010

UNA MANO, AMICI

solidarietà

Una mano a questo signore, se vi viene un’idea. Nel caso scrivete a me, e vi do il contatto:

Mi chiamo G. T. e mi scuso per l’intrusione, ma credo che capirà.

Sono alla ricerca di un lavoro, essendo disoccupato da più di tre anni (iscritto al centro per l’impiego della mia città), 48 anni, due figli a carico, moglie anch’essa inoccupata, laurea in economia e commercio, diploma di maturità tecnica industriale statale, corso di microsoft office, corso di lingua inglese, attestati vari, ecc…, ed ho urgenza di lavorare quanto prima. Ho inviato molte mail, per la ricerca di un lavoro, ad aziende, imprese, società, fondazioni, associazioni, studi professionali, gruppi bancari, ecc…, ma tutti, puntualmente, mi hanno detto “le faremo sapere…”, solo che, nel frattempo, la mia richiesta di aiuto per un lavoro finiva nel dimenticatoio. Ho anche spedito per lettera postale, ed inserito (alcuni anni fa, con aggiornamenti vari) nella sezione “Lavora con noi” di tanti siti web, il mio curriculum vitae, ma niente è successo. Quindi, ho deciso di inviare e-mail anche ad indirizzi che incontravo durante la ricerca, nel caso si presentasse una coincidenza di lavoro di chi leggeva. Certo ci vuole fortuna.

Non posso continuare a sperare, tanto di speranza non posso più vivere. Ho bisogno di una opportunità concreta. Esiste tanta indifferenza.

Pertanto, Le chiedo: è possibile sapere degli indirizzi e-mail di conoscenti/amici, suggerimenti, altro, (di Milano e/o Roma) a cui poter mandare il mio curriculum vitae?

Sono un padre di famiglia in difficoltà, potete aiutarmi?

Scusandomi per il disturbo e in attesa di una Sua risposta, Le mando i miei migliori saluti.

Buona giornata,

G. T.

Archivio Luglio 19, 2008

BASTA LAGNE

Credo che sia l’onda lunga del primo femminismo, quello dell’autocoscienza e del self help. Non si fa che sentire di gruppi, associazioni e club di donne che nascono in ogni luogo, aggregandosi sui temi più svariati: il lavoro, la menopausa, la beneficenza, le noiosissime pari opportunità. Di tutto. Vedersi fra donne in modo separato e con qualche cosa da fare è diventata una pratica di massa. Tre, quattro, dieci o più signore che provano a fare insieme, e si sentono finalmente politiche. E hanno ragione: sono di sicuro molto più politiche loro di gran parte della politica. Questa è società femminile, e non può che essere un bene, per le donne e per tutti.
In questi gruppi però si manifesta anche una diffusa tendenza alla recriminazione, al lamento, alla contemplazione delle proprie miserie. Donne che poi, dico, presa una a una sono abituali spostatrici di montagne. Ma una volta messe insieme, ecco che si risentono oppresse, cedono all’oscuro richiamo del vittimismo. E piangono.
Di certo pesa il fatto che per millenni le donne si sono radunate “politicamente” quasi soltanto in caso di disgrazia. Che hanno stretto legami tra loro quasi solo per darsi una mano e per sostenersi nei guai: la famosa solidarietà femminile, sapete? All’altro estremo, quello dell’“empowerment”, le emancipate che provano a mettere in piedi improbabili lobby, sul modello di quelle maschili, trascurando di essere donne. Proprio per questo l’operazione non gli riesce. E non smettono di farsi ferocemente guerra.
Se mai dovessi fondare un’associazione o un club di donne, le regole sarebbero molto chiare: 1. Asciugati gli occhi e soffiati il naso prima di entrare 2. Scordati di venirci in tuta da ginnastica 3. Parcheggia fuori il rimorchio dei tuoi problemi 4. Porta il meglio di te: la tua fiducia, le tue buone idee, il tuo garbo, e un po’ di sense of humour, se ne hai 5. Non provarci nemmeno, con il derelittismo.
Nei posti di donne deve andare in scena quella che qualcuna ha voluto chiamare “signoria” femminile: un training protetto, per poter poi esportare quell’autorità fuori di lì. Comportati da signora del mondo, e finirai per esserlo.
(pubblicato su “Io Donna” – “Corriere della Sera” il 19.07.08)