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scuola

Donne e Uomini, media, scuola Febbraio 26, 2011

BIMBI E SEDERI

Mamme e maestre della scuola elementare di via delle Puglie, Milano zona Corvetto, si sono ribellate per un maxi-cartellone con una foto di Terry Richardson, la solita ragazza con i glutei seminudi, affisso sulla fiancata di un palazzo confinante con il cortile, e hanno chiesto l’ immediata rimozione. “Non per moralismo,” hanno precisato “ma per questioni di opportunità”.

In qualunque altro momento la protesta si sarebbe potuta giudicare eccessiva. Ma oggi segnala un’allerta che ha le sue ragioni. Un mutamento profondo e diffuso della sensibilità, e l’assunzione capillare di un progetto educativo che pone il rispetto della donna al suo centro.

Il che ha le sue ottime ragioni.

AMARE GLI ALTRI, Politica Luglio 28, 2009

ENTRARE NEL MERITO

La fine dei finanziamenti a pioggia delle università è un’ottima cosa. Non si può pretendere che i ragazzi diano il loro meglio a scuola e che i meritevoli siano premiati se gli stessi criteri non vengono applicati anche fra gli insegnanti. Ricordo al Liceo Parini di Milano una professora assenteista e inetta, e il preside che allargava le braccia: non ci si poteva fare nulla, quel posto era garantito a vita.

Il criterio del merito non può essere assoluto, e va temperato con principi solidaristici. La scuola non può essere solo agonistica, dev’essere anche un luogo di socializzazione, in cui si sperimenta la gratuità del sapere. Ma i meritevoli non possono più essere penalizzati.

E’ lecito domandarsi per quale ragione la sinistra abbia sempre difeso la scuola degli inetti e la pubblica amministrazione dei burocrati e degli assenteisti. Perché su questo fronte abbia predicato tanto bene e razzolato malissimo. E’ lecito rispondersi: perché quelli sono preziosi bacini elettorali. E’ lecito immalinconirsi, per questo.

scuola Marzo 3, 2009

IL PROFESSOR G.

Dev’essere il periodo delle coincidenze. Proprio un paio di giorni fa pensavo a Giorgio Gaber: l’avevo conosciuto, era un uomo intensamente schivo e gentile, molto attento e aperto ai giovani, alla loro energia e la loro innocenza, con uno sguardo acutissimo, capace di profezie. Pensavo al fatto che quello che ha detto si è realizzato, e pensavo che mi manca. I suoi spettacoli al Lirico sono stati probabilmente l’ultimo saggio di quel teatro civile che ha dato tanto a Milano e al paese. Pensavo a lui, dicevo, ed ecco: leggo che su iniziativa della ministra Maria Stella Gelmini, il signor G si studierà a scuola. Un concorso, “Giorgio Gaber, parole per pensare”: agli studenti saranno proposti 12 brani di Gaber, di cui rielaborare il contenuto attraverso varie forme espressive (testo, audio, grafica etc.). E poi studiosi ed artisti che terranno lezioni nelle scuole.

La ministra dice: “Sono convinta che il signor G. abbia tantissimo da insegnare a questi giovani. Portare l’arte di Giorgio Gaber nelle scuole ha la funzione di insegnare a pensare al di là degli schemi e delle ideologie. Gaber è l’esempio più illuminato di libero pensatore che ha saputo fornire una lettura, con chiave non scontata, sulla nostra società. È uno stimolo per le nuove generazioni. Gaber era allo stesso tempo libertà e rigore: anticonformista sì, ma non trasgressivo per forza”. Be’ è una bella cosa. Sono proprio contenta.

scuola Novembre 2, 2008

LETTERA DA UNA MAESTRA

La furia devastatrice della politica della maggioranza ha avuto il suo epilogo in una giornata di pioggia. Il decreto “contro la scuola” è passato al Senato. La cosa non va chiusa.
Io che sono maestra di scuola dell’infanzia e madre di una bimba di nove anni e di un ragazzino di tredici, in merito ho molto da dire. La scuola infatti fa parte della mia vita. Ci ho investito tempo, energie, desideri, relazioni. E sono vent’anni che lo faccio.
Il decreto e il piano programmatico l’ho letto molto attentamente, ho letto le parole che vi sono scritte, una dopo l’altra. Non sono disinformata. Non ho frainteso. So leggere e so capire. E non ci sto. E’ troppo.
La scuola, materna ed elementare, non è né di destra né di sinistra: nei fatti è tenuta in piedi con straordinaria signoria dalle donne. Alla scuola dell’infanzia ci lavorano il 98% di donne. Alla scuola elementare una percentuale lievemente più bassa. Ci vanno i figli e le figlie che le donne hanno messo al mondo. Le madri e i padri, ma soprattutto le madri, ci hanno investito tempo, impegno, interesse.
Un’opera ammirata in tutto il mondo. Un’opera tutta femminile. Capace fino ad oggi, se pur con molti dolori, di reggere tutte le disposizioni, di ministri, di tecnici, di burocrati, calate dall’altro. Disposizioni che hanno sempre ignorano cosa in realtà significa fare scuola. Abbiamo comunque retto.
Oggi le nostre spalle non possono più portare niente, sono spiattellate per terra.
Un ministro, non ci siamo accorti che è donna, pertanto possiamo continuare a chiamarla ministro, sostenuta da altri politici eletti secondo la politica della rappresentanza, ignari della politica delle relazioni, hanno creduto di essere legittimati a fare tutto ciò che credevano giusto.
E no cari miei! C’è un’altra politica, quella delle donne che ha il suo centro attorno alle relazioni, al desiderio di metterci del proprio affinché il luogo dove lavoriamo, dove mandiamo i figli a crescere, possa essere un luogo intelligente, sapiente, accogliente, di incontro, di messa in circolo di nuove esperienze e di nuovi saperi. Ci siamo riuscite. Tutto il mondo ce lo riconosce, eccetto Voi !
Oggi abbiamo classi di 25/28 bambini, arriveremo a 30. Quante ore di scuola? Si sottolinea l’orario antimeridiano. Dunque 25 ore. In questa organizzazione saremmo una maestra, da sola, per ogni sezione.
E nelle sezioni ci saranno anche i bambini e le bambine di due anni. Se suddividessimo le  25 ore settimanali per trenta bambini, immaginando di quantificare quanto tempo potrò dedicare individualmente a ciascun bambino, scopriremmo che il risultato è di circa 50 minuti per bambino. Alla settimana, non al giorno.
La finanziaria taglia anche i bidelli, già ampliamenti tagliati negli anni precedenti.
I bambini piccoli hanno il pannolino. Con trenta, con sempre meno bidelle, li terremo bagnati fino all’ora di andare a casa? Li cambieranno i genitori a casa? Il pomeriggio nel piano programmatico viene contemplato ma solo a richiesta. A pagamento? Chi pagherà? Chi saranno le maestre del mattino e quelle del pomeriggio? Ci sarà una turnazione, o come un tempo quando c’era la maestra che faceva scuola alla mattina ci sarà quella, di serie B, che farà  assistenza al pomeriggio? Se il pomeriggio sarà a richiesta, ci sarà una decurtazione del personale? Chi si fermerà al pomeriggio? Quelli che hanno i genitori che lavorano? Quelli che hanno genitori che comprendono che alla scuola materna si impara, si cresce e si sta bene?
Oggi alla scuola materna accogliamo bambini, dai tre ai sei anni, le sezioni possono arrivare fino a 28. Siamo due insegnanti per classe. Ci turniamo per coprire mattino e pomeriggio. Tra le due maestre c’è una compresenza oraria di 10 ore. La scuola è aperta per quaranta ore settimanali. E’ previsto il prolungamento orario per i genitori che lavorano.
Abbiamo creato l’accoglienza, le attività di routine (c’è la merenda, il tempo per andare in bagno, e con le piccole creature per queste cose di tempo ce ne vuole, il ritrovarsi insieme e iniziare una nuova giornata, c’è il pranzo, il commiato), ci sono i progetti di sezione che variano a seconda delle scuole, c’è chi come me pratica la didattica laboratoriale, c’è l’attività motoria, la biblioteca, i progetti di intersezione mirati per fasce d’età omogenea, c’è il tempo del riposo pomeridiano per i più piccoli. C’è il tempo del grande gruppo, del piccolo gruppo, del rapporto individuale. Ci sono le uscite didattiche. C’è il tempo del gioco all’aperto quando il tempo lo consente. Dell’imparare dal più grande, del confronto, della soluzione dei conflitti, dell’aiutare l’amico in difficoltà. Il tempo di attesa che qualcosa accada. C’è il tempo mio, tuo, che poi diventa nostro. Il tempo della nostre soggettività, della ricerca e della scoperta e il tempo dell’errore. E anche quello di potere guardarsi con generosità.
Siamo in due per sezione, ma alla scuola materna abbiamo costruito una scuola senza porte chiuse. Ci confrontiamo, ci sosteniamo nelle emergenze per esempio quando una bambino si fa male. Magari anche niente di grave, una botta, una ferita. C’è bisogno di curare, di disinfettare, di mettere del ghiaccio, di avvertire i genitori. Siamo in due, c’è ancora la bidella, c’è la collega dell’altra classe.
Anche così è difficile. Nel frattempo magari le tempere sono state versate tutte per terra, il bagno è stato allagato, due bambini si sono azzuffati. A volte ringrazio il cielo che alla fine, per fortuna, sono cose che si possono rimediare. E domani?
Forse si pensa che i bambini abbiano bisogno di poco. Non è così. I bambini chiedono tantissimo. Noi maestre cerchiamo di rispondere, di esserci con tutta la nostra passione. Torno a casa che le gambe non me le sento più. Il lavoro di maestra è un lavoro che ci vede sempre esposte. Spesso mi porto a casa i bambini nei pensieri. A casa leggo, studio, mi preparo le proposte, chiamo la mia collega per parlarle del bambino che non tocca cibo, della bambina che dopo due mesi di scuola non ci ha ancora fatto sentire la sua voce, del nuovo inserimento in corso d’anno, della difficile situazione famigliare della bimba dagli occhi marroni. Ci parliamo, ci confrontiamo, cerchiamo delle strade da intraprendere. Condividiamo la fatica. A scuola ci sono le riunioni, ma il tempo per parlarci non è mai abbastanza. A scuola stiamo, con consapevolezza, in presenza dei bambini. Non ci assentiamo, a volte neanche per andare in bagno.
C’è l’aiuto delle mamme, per aggiustare il libri della biblioteca, per raccogliere i fondi per la macchina fotografica, per il registratore rotto. Ci portano la carta, fanno a spese loro le fotocopie,  cuciono le tende per le finestre. Alle feste ci sono le loro torte. Si aiutano tra loro, si parlano, si raccontano, si passano i vestiti dei loro figli.
Nella scuola materna, e anche nella scuola elementare, si muove a tutto tondo un mondo di gesti e di parole che appartengono a un modo di essere e di agire delle donne. Qui le donne hanno fatto mondo. Purtroppo poche sono le maestre che scrivono. Purtroppo poco lo spazio che le buone pratiche della scuola hanno trovato sui giornali, tolti quelli di settore. Fa più notizia il bullismo. Eppure chi lavora in una scuola materna o elementare, sa che le cose le sappiamo far funzionare, lo sappiamo noi maestre, lo sanno le madri e anche i padri, lo sanno i bambini e le bambine. Non è che non ci siano problemi, anzi, è difficile lavorare con la “carne” viva delle creature. Si arriva a giugno sfinite. Chi sta nella scuola o vicino alla scuola lo sa. Conosce le gioie e le fatiche. Chi non lo sa  è prima di tutto questo ministro e poi tutti gli altri della maggioranza. Forse non tutti. Molti, diciamo così, non sanno guardare alla politica che fa chi è nelle istituzioni come la scuola, quella cioè delle donne, migliaia di donne, che agiscono tutti i giorni con dedizione e impegno verso l’infanzia; quella politica che è fatta dei gesti della cura, dei gesti dell’educare, che permette di integrare le diversità, di conoscersi mano a mano tra gli altri e con gli altri, che è capace di produrre dei cambiamenti importanti per tutti, soprattutto per le bambine e i bambini, esseri che stanno crescendo, che stanno scoprendo sé stessi e il mondo. Per concludere non ho parole più vere di quelle di  Luisa Muraro quando scrive:  “C’è tanto da indagare ancora, da inventare e da innovare in questo mondo, ma oggi finalmente abbiamo capito che niente sarà veramente guadagnato e tutto potrebbe perfino voltarsi in peggio di prima, se non avremo imparato a riconoscere, rispettare e custodire quello che di buono già esiste, già si offre a noi come un regalo quotidiano del cielo o della terra”.

LAURA FORLIN, Lugagnano (Vr)

Archivio Ottobre 16, 2008

GIRA CHE TI RIGIRA

L’idea di classi differenziali per stranieri è una soluzione sbagliata e inaccettabile a un problema che però esiste, ed è notevole. Sul Corriere di oggi Sandro Veronesi descrive molto bene la situazione di Prato, io potrei dire con altrettanta consapevolezza di Milano. Dove, oltretutto, i piccoli sono delle etnie più varie, non come lì, prevalentemente cinesi, quindi la gestione è molto complicata. Nei fatti le povere maestre -se ne parla sempre al maschile, ma sono in stragrande maggioranza donne- e più avanti le professoresse si ritrovano a tirare una coperta troppo corta. Per non lasciare indietro nessuno, rischiano di abbassare il livello per tutti, sacrificando lo svolgimento del programma alle inevitabili lentezze di chi non parla la nostra lingua ed è affaticato dall’inserimento. I genitori italiani si difendono andando a caccia di scuole senza stranieri, che qui a Milano sono quasi tutte in centro città.

E’ vero anche, tuttavia, che frequentare una classe multietnica è un’esperienza potenzialmente molto ricca e direi perfino irrinunciabile, perché insegna lo strumento preziosissimo della relazione a un grande livello di complessità. Si tratta quindi di saper trarre il meglio da questa contingenza, e lo si può fare soltanto, nessun dubbio, investendo energie e risorse, dotando le maestre di tutti i sostegni necessari, di counselor, di corsi d’appoggio d’italiano, e così via. E anche di una relativa autonomia nell’organizzazione del lavoro, perché ogni situazione fa caso a sé. Con l’idea di portare tutti verso l’alto, anziché abbassare gli standard. C’è da spendere oggi per risparmiare domani: tutto ciò che favorisce e velocizza l’integrazione è un ottimo investimento. Per tutti.

Ma alla nostra politica miope manca la capacità di guardare oltre il proprio naso. Ci si accontenta di un mediocre e immediato ritorno di consenso, accarezzando il pelo agli istinti più elementari.

Gira che ti rigira, siamo sempre lì, a questa politica insufficiente.

Archivio Luglio 5, 2008

PREZIOSISSIMO TEMPO PERSO

Riproduco qui la lettera di un sacerdote che dice una piccola cosa di buon senso.

“Gentile signora Terragni, ho letto, e condivido, quanto scrive ultimamente circa gli asili-nido.
Sono un sacerdote che opera nella città di Milano e vorrei se mi concede due minuti, provare a presentare alla sua attenzione un‘altra questione riguardante questa volta i bambini un po’ più grandi (anche se non so sia un problema reale o solo da me immaginato).
Ovunque il mese di maggio – e mi sembra in modo più accentuato a Milano – per i bambini e famiglie è ricco di appuntamenti non poco gravosi. Per questo ho cercato di anticipare ad Aprile le Prime Comunioni e posticipare ad ottobre le Cresime, anche se ovviamente non basta…
Ciò che mi colpisce, però, è vedere questi bambini che arrivano alla fine dell’anno scolastico stanchissimi e il lunedì successivo iniziare le attività estive (Grest in oratorio, campus nelle scuole e chi più ne ha più ne metta…).
Lei scrive che “l’interesse del bambino è sempre prioritario rispetto a quello di mamma, papà, datori di lavoro, educatori e così via”. In questo senso credo che i bambini hanno bisogno e dovrebbero, almeno per qualche giorno, svegliarsi più tardi, perdere tempo, “dimenticare” i ritmi frenetici e organizzati dell’anno e soprattutto dell’ultimo mese di scuola; invece alle otto di mattina eccoli lì pronti per nuove attività…(spesso appesantite dalla canicola estiva).
Capisco che quando i genitori lavorano – e oggi più che mai tale possibilità è una benedizione – i bambini non possono stare a casa da soli (non tutti hanno la fortuna di avere i nonni…); resta tuttavia il fatto che li vedo stanchissimi e hanno bisogno di riposo, di tirare un po’ il fiato.
Se bastasse sognare e un po’ di fantasia, mi piacerebbe pensare che in un mondo dove i genitori lavorano, fosse possibile spostare l’inizio del lavoro di un paio d’ore. Ma è una fantasia.
Come vede quindi non ho soluzioni, sollevo solo la questione che mi pare sia inerente “l’interesse del bambino”, felice poi di essere anche eventualmente smentito.
E chissà, magari parlandone qualche piccola soluzione si può escogitare.
Un cordiale saluto,

don Federico

Archivio Giugno 23, 2008

ANNULLARE LA MATURITA’ 2008

E’ all’esame del Tar la richiesta di Codacons e altre associazioni di non tenere conto dell’esito delle prove scritte agli esami di maturità 2008, dati i gravissimi errori che ne avrebbero compromesso lo svolgimento. L’idea sarebbe di basare la valutazione unicamente sulla prova orale.

Mi spingerei più in là: fino a richiedere la nullità dell’intero esame maturità 2008, orale compreso, per evidente inadeguatezza al compito del Ministero della Pubblica Istruzione -per quanto l’attuale ministro sia in carica solo da poco, ed abbia ereditato buona parte dei guai-. Tale incapacità di chi sarebbe chiamato a giudicare inficia infatti nel suo complesso la possibilità di esprimere un giudizio.

E poi rivedrei tutta quanta a questione: serve davvero questo rito di iniziazione, o non basterebbe piuttosto un rigoroso giudizio finale su tutte le materie, a cura dei professori interni, ed eventualmente un serio elaborato su un tema a scelta degli studenti? E’ il caso di tenere in vita questo costoso e imbarazzante carrozzone?

Archivio Giugno 19, 2008

Prof immaturi

La ministra della Pubblica Istruzione Mariastella Gelmini è ancora abbastanza giovane da conservare certamente un ricordo vivo del suo liceo, che non corrisponderà di certo alla retorica smaltata espressa nelle tracce per i temi di maturità. Più che l’orribile gaffe su Montale e quella sul Galata morente, cose che meriterebbero dei ricorsi, e non è escluso che ve ne saranno, mesi e mesi di commissioni al lavoro senza che nessuno si accorgesse degli imbarazzanti svarioni, colpisce la lontananza tra la realtà della scuola  e la rappresentazione che ne viene data nella circostanza della maturità, come se i professori incaricati di selezionare le “tracce” avessero più a cuore l’esibizione delle loro frustrate competenze – e che competenze!- più che la serena valutazione degli studenti giunti al termine del loro corso di studi.

Certamente la ministra  comincerà di qui ad applicare quel criterio meritocratico a cui dichiara di ispirarsi, levandosi di torno certi burocrati incapaci. Ma già che c’è, non varrebbe la pena di riconsiderare tutta quanta  la questione,  aggiornando, riformando o eliminando tout court  l’esame di maturità, la cui unica funzione certa  è  quella di garantirci materia per incubi ricorrenti anche in età ben più che matura?

Archivio Maggio 26, 2008

MENO MASTER, PIU’ ESPERIENZA

Certi ci nascono, con la vocazione dell’ortopedico, o dell’istruttore di vela, o del criminologo, o del veterinario, passioni che li divorano fin dalla scuola materna. Con un po’ di buona sorte riusciranno a diventarlo. Poco versatili, ma di sicuro fortunati. I più, nel frattempo, la stragrande maggioranza, brancoleranno nel buio, tentando qua e là. Il test d’ammissione a medicina, dove, come a “Chi vuol essere milionario”, cadranno sulla capitale dello Zimbabwe (quanti Fleming ci perderemo, in questo modo?). O la decisione shock per Scienze politiche, essendo che la più carina della classe ha avuto l’improvvida idea di iscriversi lì.
Mai visti sondaggi a riguardo, ma con buona approssimazione si può azzardare che la scelta degli studi è casuale 5 volte su 10, e forse siamo ottimisti. Se tutto andrà bene il nostro ragazzo casual si infilerà in un tunnel di formazione permanente che lo impegnerà per un’imprecisabile quantità di anni, fino alla laurea e ai master di svariato livello, con prospettive di inserimento nel lavoro inversamente proporzionali alla lungaggine del percorso scolastico.
Sbaglierò, ma ho sempre pensato invece che a lavorare si deve cominciare presto: per capire com’è, che cosa succede lì, di quali dotazioni si deve essere muniti, in che cosa si è bravi e in che cosa no, come si lavora in gruppo e come da soli, che sapore ha il pane che ti sei guadagnato. In più magari, provandoti sul campo, capisci meglio per che cosa sei tagliato, e corri meno rischi di condannarti all’inferno di un mestiere che non ti piace, che è quasi peggio di un matrimonio sbagliato. Per questo mi domando se per molti ragazzi non sarebbe opportuno un annetto di riflessione post-diploma, una specie di sabbatico per guardarsi in giro, fare un viaggio, lavorare qua e là, e maturare qualche convincimento: il cosiddetto gap year, da qualche parte nel mondo si fa. Magari un master in meno, ma qualche esperienza in più, in qualche azienda, in qualche bottega, per dare subito un morso alla vita vera. Ditemi se sto sbagliando. E comunque, mentre sono lì a sudare sugli Alpha test, non dimenticate che gli stiamo guastando i più begli anni della loro vita.
(pubblicato il 24.05.08 su “Io donna” – “Corriere della Sera”)