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AMARE GLI ALTRI, tv Marzo 10, 2011

SORELLA TV

La televisione ha fatto molto per noi. Negli anni Sessanta ci ha perfino alfabetizzato. Ci andavano i migliori, una volta. quelli che avevano studiato, quelli che avevano molto da dire e da dare. Ci ha fatto conoscere i classici, il grande teatro, il grande cinema. La musica. Lo swing. L’America, con i suoi grandiosi show del sabato sera, modello d’oltreoceano. Il gioco, i quiz, la bellezza, la politica. Piazzata sulla mensola in alto, nei bar. E poi l’apparecchio a casa, preziossimo, con il centrino sopra, i vicini che non l’avevano ancora che alle nove venivano a guardarla. Sistemata via via più in basso, sempre meno totem e sempre più focolare. Il b/n, quegli stranissimi filtri di plastica che davano l’illusione del colore (tutto virato sul rosso-verde) e poi la tv color sistema Pal (ricordo male?). La tv ha accompagnato il boom, lo sviluppo del paese, lo ha promosso e raccontato.

A un certo punto, una trentina d’anni fa, le cose hanno preso una piega diversa. E’ nata la tv commerciale. La pubblicità ha cominciato a dettare direttamente programmazione e palinsesti. Il servizio pubblico ha assunto il modello. Fare soldi è diventato il challenge universale. I risultati sono quelli che vediamo.

Oggi c’è il web. La tv deve riprogrammarsi tenendone conto. Ma credo che abbia ancora molto da dare. E credo che il suo futuro abbia molto a che vedere con la riassunzione del suo antico compito pedagogico e della responsabilità nei confronti del pubblico. Il che potrà capitare solo se tutti (operatori e telespettatori) faranno la loro parte. E grande parte di questa parte (scusate il bisticcio) oggi è destruens, e sta nella capacità di dire no: non collaborerò alla realizzazione di quel programma, lotterò per quella produzione edificante, non guarderò quella robaccia e contribuirò a diminuirne l’audience. Scelte individuali che possono molto, moltissimo.

Il discorso più grande è questo: sottrarre ciascuno quello che possiamo alla misura simbolica unica dei soldi. Mostrare che possono esserci anche altre misure, non scambiabili con soldi. Una persona a me molto cara l’altro giorno mi ha detto, in modo semiserio: se il problema di tutto sono i soldi, allora aboliamoli. Abolirli del tutto non possiamo (ci provò già Pol Pot, e non andò benissimo) ma abolirli un pezzettino sì. Sottrarre a questa misura almeno parte delle nostre scelte e della nostra vita è un obiettivo praticabilissimo. Già qui e fin d’ora.

esperienze, Politica Maggio 29, 2009

RESPONSABILITA' ILLIMITATA

Scrivevo per inciso, nell’ultimo topic, riguardo all’addetta del Tribunale che non ci poteva fare nulla: “il guaio è sempre questo, che tutti ritengono di non poter fare nulla, di essere irresponsabili rispetto al contesto in cui operano, e questo è altamente impolitico. Se ci sentissimo pienamente responsabili rispetto ai contesti in cui viviamo e operiamo, sarebbe una rivoluzione istantanea”.

Ora mi rendo conto che quell’inciso è ben più importante del resto. E’ una cosa che sperimentiamo tutti i giorni, e che la diffusione dei call center ha esasperato: parliamo quasi sempre con esseri umani a responsabilità limitata, con margini di manovra ridottissimi, che ti si presentano ermeticamente isolati dal contesto in cui agiscono, e possono giusto muoversi sulla sua sedia girevole. Dai call center il modello si è ampiamente diffuso nelle relazioni, anch’esse a responsabilità limitata, in cui non si può più confidare e nelle quali non ci si può spingere oltre un certo limite. Legami a scioglimento rapido i cui prevalgono gli opportunismi e l’utile reciproco, in cui non ci si fa mai carico dell’altro nella sua interezza, in cui oggi c’è tutto e domani niente, senza necessità di alcuna spiegazione, nel massimo cinismo.

Credo che il movimento dovrebbe essere inverso. Che dovrebbe essere la pienezza di una relazione responsabile a costituire il modello anche per i rapporti formali e anonimi tra noi e “il pubblico”. Non ho mai dimenticato, in una circostanza dolorosissima per me, il conforto che mi ha dato un anonimo impiegato comunale, capace di un’empatia che travalicava il suo ruolo. Mio padre era morto all’improvviso, e un paio di giorni dopo giravo stordita per gli uffici del comune, servizi funerari, alla ricerca di un loculo dove farlo riposare. Non c’era posto nel cimitero di famiglia, stavano costruendo un nuovo “reparto”, e mio padre aveva avuto l’improvvida idea di andarsene a lavori non ancora ultimati. Ero poco più di una ragazza, il dolore era devastante, di loculi e di faccende del genere non mi ero mai occupata, non sapevo dove sbattere la testa. E questo signore di mezza età, palesemente omosessuale, aveva sentito il mio disorientamento e la mia sofferenza, aveva allungato la mano oltre le scartoffie della scrivania per stringere la mia, aveva balbettato due parole per dirmi che lui era lì, vicino a me, come poteva, e che sperava ardentemente di potermi aiutare. Nessuno lo pagava per fare anche questo, e di gente nelle mie condizioni probabilmente ne vedeva ogni giorno, eppure quell’uomo si era messo in gioco interamente, senza nemmeno immaginare quanto mi stava dando.

La mediazione personale non è solo raccomandazione, mafia o familismo. C’è una parte luminosa di questa nostra scarsa vocazione all’impersonalità, e purtroppo sta andando perduta. Dire “io sono qui, come un essere umano tutto intero, non sopraffatto dal ruolo che ricopro”, è un fatto politico perché produce dei cambiamenti straordinari nei contesti concreti, e quindi nella polis. La legge, le norme e i regolamenti, e i diritti che rappresentano, sostituti spesso imperfetti delle relazioni, possono ben poco contro la forza dell’umanità dispiegata, in grado di spostare le montagne.

Ognuno di noi dovrebbe sempre fare tutto quel che può, e anzi un poco di più, in ogni luogo in cui si trova. E’ quel di più, che trasforma. Le donne hanno saputo spostare il mondo, in questo modo.

Su questo topic mi aspetto il massimo, da voi.

Politica, TEMPI MODERNI Maggio 28, 2009

I FIGLI, LA ZIA E LA MULTA

Apro i giornali, stamattina, vedo i titoli: “I figli di Berlusconi“, “La zia di Noemi” e no, anche oggi non ce la posso fare. Oggi vorrei parlare di politica. Vedo anche tra i titoli che a Milano le multe sono aumentate dell’80 per cento, e allora vi racconto questa.

Poco più di un anno fa, una sera, mi sento piuttosto male. Dolori addominali fortissimi e “strani”. Intorno a mezzanotte decido di andare al pronto soccorso del Policlinico, pieno centro di Milano. Dove accertano, per mia fortuna, che non è nulla di serio. Qualche mese dopo mi arriva una multa per quella notte: avevo imboccato la corsia riservata ai taxi. Stavo male, non me ne sono resa conto. Tento un ricorso, inviando al Giudice di pace copia della documentazione dell’ospedale: foglio di accettazione, referti, etc.

Un paio di mesi fa mi arriva la comunicazione dell’udienza, fissata in piena estate, in un periodo in cui presumibilmente non sarò in città. Il mio ricorso non è stato accettato né respinto. Si dovrà vedere. Telefono in Tribunale, spiego la situazione, mi consigliano di inviare un fax dove si spieghi che sarò assente e si richieda di rinviare la data dell’udienza, o in alternativa -la più ragionevole- di procedere in mia assenza: nel ricorso è spiegato tutto, cartelle cliniche comprese. Non ho molto da dire di più.

Un mese dopo mi arriva, sempre a casa con ufficiale giudiziario, una seconda comunicazione con nuova data di udienza.

Dunque: per recuperare un’ottantina di euro alle casse comunali sfiancate dalla perdita dell’Ici si mette in piedi una macchina infernale che costa decine di migliaia di euro (ufficiali giudiziari, giudici, addetti del Tribunale, eccetera). Poiché quei soldi così malamente investiti sono anche miei, e vostri, e dato che mi spiace far perdere tanti soldi a tutti voi, e se l’avessi saputo non avrei mai fatto ricorso, me ne lamento al telefono con un’addetta del Tribunale. Le do del tu e le dico: “Scusa, ma ti pare che l’operazione abbia senso? Sono soldi nostri buttati via”: Lei mi dice di sì, che ho ragione, ma che lei non ci può fare nulla: il guaio è sempre questo, che tutti ritengono di non poter fare nulla, di essere irresponsabili rispetto al contesto in cui operano, e questo è altamente impolitico. Se ci sentissimo pienamente responsabili rispetto ai contesti in cui viviamo e operiamo, sarebbe una rivoluzione istantanea.

Ora sto pensando che fare: se presentarmi all’udienza, Comune di Milano versus Terragni (fissatami oltretutto in un’altra giornata problematica), o rinunciare al ricorso e pagare la multa, evitando altri sperperi. Ma non so se a questo punto sia possibile fermare la macchina in corsa.