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Donne e Uomini, femminicidio, Femminismo, questione maschile Ottobre 15, 2015

No gender = diventare tutti maschi

Su un quotidiano, la pubblicità di una casa di moda (qui sopra): ragazzo e ragazza, capelli corti, vestiti in modo identico, jeans e maglione. Slogan: “This ad is gender neutral” (questa pubblicità è di genere neutrale). Qualche pagina più avanti un’altra pubblicità, ancora modella e modello vestiti in modo molto simile (giacca maschile e pantaloni). Qui l’adesione al no-gender è meno esplicita, ma il messaggio è lo stesso.

Il no-gender è up to date: l’indifferenziazione sessuale è di moda, e la moda è sempre un indizio degli umori circolanti. Forse, più semplicemente, la pubblicità sfrutta l’attualità del dibattito rovente sul gender.

Qualche mese fa, in un evento organizzato da Stefano Boeri alla Diamond Tower di Milano, centinaia di ragazze e ragazzi disegnavano la loro città futura. Alcuni sostenevano che i documenti non dovrebbero indicare il genere sessuale dei loro titolari. Non era chiaro se la proposta nascesse da un autentico bisogno o esprimesse piuttosto un bisogno indotto e la volontà di mostrarsi moderni e progressisti.

Il fatto è che questo gender neutral somiglia quasi sempre a un maschio. Magari a un maschio dai caratteri sessuali secondari depotenziati, ma pur sempre maschio. Il modello unico, funzionale alla produzione, è maschile. Se si vuole essere modernamente neutri, si deve sacrificare la femmina molto più di quanto si sacrifichi il maschio.

Le cose stanno andando come avevo previsto in un mio libro del 2007, intitolato “La scomparsa delle donne”.Il cyborg, quando ho provato a immaginarmelo” scrivevo nell’introduzione “io l’ho sempre pensato più maschio che femmina. L’approdo di tanto girovagare tra corpi e identità non dovrebbe essere quello, un maschio, ma io non ho visto altro. Forse è la mia immaginazione che ha dei limiti, ma quello che mi pare di vedere è che ciò che si stacca dal corpo diventa quasi sempre maschio”.

Un numero sempre più ampio di notizie celebra festosamente la neutralizzazione del corpo femminile: per esempio, il fatto è che ormai il congedo di maternità è una roba per lavative retrograde. E le operaie di Melfi vengono fornite di magapannolone in modo che le mestruazioni non disturbino i ritmi produttivi.

Il Sacro Graal maschile è sempre quello, da millenni: la coppa dell’utero. Bene, ci siamo quasi, come vedete. Per ora la coppa si affitta.

Si sta dibattendo in questi giorni sulla sconfitta del femminismo. “L’Espresso” ha dedicato al tema la sua ultima copertina.

Io credo che la questione sia ben altra. Il femminicidio simbolico. La scomparsa delle donne. 

Donne e Uomini, economics, italia, TEMPI MODERNI Settembre 27, 2013

Le cento lire meglio spese della giornata

Chissà se Guido Barilla ha questo manifesto nei suoi archivi. Immagino di sì (grazie a Simona che me l’ha mandato).

A quel tempo -anni Cinquanta, a quanto vedo- la Pasta Barilla, come dice il claim, era proprio per tutti. La compravano le donne con i loro colli di pelliccia e anche gli uomini con il Borsalino. Come si dice con una gentilezza di cui si è persa ogni traccia, erano “le cento lire meglio spese della giornata”. Non c’era bisogno di galline né di star hollywoodiane. Tra l’altro Guido Barilla dovrebbe sapere che il suo supertestimonial Antonio Banderas è diventato famoso grazie al regista gay per definizione, Pedro Almodovar -che, si dice, era disperatamente innamorato di lui- interpretando con molta verosimiglianza scene d’amore omosessuale.

Ma lasciamo andare questa storia. Barilla sta cercando in qualche modo di arginare la valanga che si è tirato addosso, sembra che la cosa stia facendo gravi danni anche sul mercato americano dove con la sexual correctness non si scherza affatto. Insomma: un marketing disaster di proporzioni epiche, e la concorrenza che, beffardamente, si dichiara gay friendly e si affida proprio al claim che vediamo in questo antico manifesto: “A casa Buitoni c’è posto per tutti”.

Per non parlare poi del fatto che nella grande maggioranza dei casi sono le donne a fare la spesa e a comprare la pasta, e non perderanno certamente l’occasione per fare un dispettuccio a uno che scambia il loro “ruolo fondamentale nella famiglia” con la servitù obbligatoria (servire a tavola e pulire casa sono bellissimi gesti d’amore e di cura, se non ti toccano come un destino a causa del sesso di cui sei nata) e sceglieranno Voiello, De Cecco, Granoro e così via.

Lasciamo stare. A questo punto sono solo fatti suoi e dei suoi bilanci. Ma certo, rivedendo la gentilezza di quel claim, la civiltà di quel vecchio manifesto, la sensazione acuta e dolorosa è quella di essere tornati indietro e di avere perso molto. A cominciare dalla semplicità e dalla cortesia di quel messaggio. E l’onestà, la fiducia, la capacità, il senso del bello… Ci è capitato di tutto, in questi ultimi vent’anni (ciao papà, che per tua fortuna non hai visto nulla). Viene voglia di voltarsi indietro per vedere dove eravamo rimasti, e cominciare pazientemente a ricostruire di lì.

Guardate come eravamo. Guardate quanta naturale eleganza (ho suggerito a Malika Ayane di regalarci una cover di questa canzone meravigliosa, e lei mi ha promesso che ci penserà: hey Malika, ci conto!).

 

aggiornamento ore 16.20:  dice Oscar Farinetti: “Tempo dieci anni, l’Italia non solo sarà fuori dal tunnel, ma Paese leader in Europa.Per dire: oggi esportiamo 31 miliardi di agroalimentare? Bene. Devono raddoppiare.
In tre anni. Si può”.

Quello che manca sono donne e uomini che sappiano guidare il cambiamento. Li troveremo

Corpo-anima, Donne e Uomini, TEMPI MODERNI, tv Marzo 13, 2012

Il corpo nudo di una donna

Il corpo nudo della donna è così bello. E’ la madre in cui siamo nati, è il giardino a cui tutt*, donne e uomini, vogliamo tornare.

Il profumo del seno, il tepore del grembo, la dolcezza della bocca.

Il corpo nudo bello e buono della ragazza che ci ha partorit* e nutrit*, ritratto ossessivamente dall’arte, fin dalle Dee madri e dalle Veneri primitive.

Quel corpo che le donne ritroveranno nel proprio, e gli uomini cercheranno e ricercheranno con struggimento.

Il senso di morte del corpo sacro esposto per alzare l’audience, per fare aumentare i fatturati, per fare crescere il desiderio e riempirlo di cose, automobili, schiume da barba. Ridotto a merce fra le merci, mortificato e depotenziato.

E’ la cosa più blasfema che si possa immaginare.

Altro che moralismo e bigottismo. Si dovrebbe avere paura dell’inferno.

(hey però, guardate qui -e fino alla fine, dura un minuto e mezzo-: sentite cosa dice questo giovane rapper!)

 

 

 

AMARE GLI ALTRI, economics, TEMPI MODERNI Agosto 22, 2011

Il corpo delle donnine

Quanti anni avranno queste bambine? Sette? Otto? Le vedete anche voi sulle spiagge queste bimbette precocemente sessualizzate per attirare e compiacere lo sguardo adulto, tutte ancheggiamenti, schiena inarcata, donnine che con un gesto sapiente fanno roteare le loro chiome? Perché hanno bisogno di ricorrere a questi mezzi, alla seduzione, per farsi amare?

Si fa tutto per vendere, tutto per i soldi. Bimbette truccate e scosciate, anoressiche porta-abiti.

C’è da chiedersi, oltre al resto, che cosa resterà a queste creature dell’esperienza di stare su un set, sotto i riflettori, circondate da adulti che dicono loro “brava!” “stupenda!” “così!” a ogni ammiccamento sexy. C’è da chiedersi come mai non scatta niente nella coscienza dei fotografi, degli addetti al casting, dei costumisti… Dei genitori poi non si può dire nulla.

AMARE GLI ALTRI, tv Marzo 10, 2011

SORELLA TV

La televisione ha fatto molto per noi. Negli anni Sessanta ci ha perfino alfabetizzato. Ci andavano i migliori, una volta. quelli che avevano studiato, quelli che avevano molto da dire e da dare. Ci ha fatto conoscere i classici, il grande teatro, il grande cinema. La musica. Lo swing. L’America, con i suoi grandiosi show del sabato sera, modello d’oltreoceano. Il gioco, i quiz, la bellezza, la politica. Piazzata sulla mensola in alto, nei bar. E poi l’apparecchio a casa, preziossimo, con il centrino sopra, i vicini che non l’avevano ancora che alle nove venivano a guardarla. Sistemata via via più in basso, sempre meno totem e sempre più focolare. Il b/n, quegli stranissimi filtri di plastica che davano l’illusione del colore (tutto virato sul rosso-verde) e poi la tv color sistema Pal (ricordo male?). La tv ha accompagnato il boom, lo sviluppo del paese, lo ha promosso e raccontato.

A un certo punto, una trentina d’anni fa, le cose hanno preso una piega diversa. E’ nata la tv commerciale. La pubblicità ha cominciato a dettare direttamente programmazione e palinsesti. Il servizio pubblico ha assunto il modello. Fare soldi è diventato il challenge universale. I risultati sono quelli che vediamo.

Oggi c’è il web. La tv deve riprogrammarsi tenendone conto. Ma credo che abbia ancora molto da dare. E credo che il suo futuro abbia molto a che vedere con la riassunzione del suo antico compito pedagogico e della responsabilità nei confronti del pubblico. Il che potrà capitare solo se tutti (operatori e telespettatori) faranno la loro parte. E grande parte di questa parte (scusate il bisticcio) oggi è destruens, e sta nella capacità di dire no: non collaborerò alla realizzazione di quel programma, lotterò per quella produzione edificante, non guarderò quella robaccia e contribuirò a diminuirne l’audience. Scelte individuali che possono molto, moltissimo.

Il discorso più grande è questo: sottrarre ciascuno quello che possiamo alla misura simbolica unica dei soldi. Mostrare che possono esserci anche altre misure, non scambiabili con soldi. Una persona a me molto cara l’altro giorno mi ha detto, in modo semiserio: se il problema di tutto sono i soldi, allora aboliamoli. Abolirli del tutto non possiamo (ci provò già Pol Pot, e non andò benissimo) ma abolirli un pezzettino sì. Sottrarre a questa misura almeno parte delle nostre scelte e della nostra vita è un obiettivo praticabilissimo. Già qui e fin d’ora.

Donne e Uomini, media Marzo 2, 2011

IL FIERO OLIVIERO

Gli facciamo una class action? Che cosa dite?

Oliviero Toscani al Secolo XIX:

Genio dell’immagine e della provocazione, Oliviero Toscani entra da par suo nella querelle sulle donne nude in pubblicità, scatenata a Milano (ma anche a Genova) da un gigantesco cartellone pubblicitario di Silvan Heach, dove, in una foto scattata da Terry Richardson, una modella mostra il sedere senza pudore: «Le prime a fare schifo sono le donne. Tutte».

Le donne fanno schifo?
«Fanno schifo. Preferiscono puntare sulla bellezza, anziché sull’intelligenza. Povere donne ».

Tutto qui?
«Le intelligenti non lo sono abbastanza. O non hanno abbastanza forza per opporsi. Per cambiare. Prenda un giornale femminile».

Non va?
«Incostituzionale sin dal genere. Diretto da donne, ovvio. Che ha in prima come “strillo”? Chirurgia estetica, sesso, orgasmo, diete. Siete bestie da sesso, ecco cosa siete».

Vabbé, la provocazione. Però…
«Mi fate schifo. Tutte tr…».

I pubblicitari, invece?
«Donne così io non le fotografo. Io documento le condizioni umane come l’anoressia. Volevo preparare degli scatti sulla chirurgia plastica. Nessuna ha voluto».

Insomma, colpa delle donne?
«Certo. Anche per la storia. Siamo un Paese dominato dagli uomini, ma le donne ci sguazzano. Siamo un Paese sottosviluppato. Ha mai visto una madre che non sia fiera del figlio “sciupafemmine”? Chi li alleva, così? È un pianto… E poi avete il coraggio di lamentarvi»?

Be’…
«Un pianto».

Come se ne esce?
«Per fortuna non ho mai avuto mogli italiane. Culi bassi, gambe corte e ascelle pelose. Mi state sulle palle. D’altronde, con un premier così, che cosa si aspetta? Il grande problema è la mancanza di una destra intelligente. Prendiamo esempio dalla Libia, piuttosto».

In che senso?
«Loro si sono ribellati.Una rivoluzione si dovrebbe fare anche qui».


N.B.: sono italiana, culo alto, gambe lunghe, ascelle depilate.

Corpo-anima, Donne e Uomini, Politica Ottobre 19, 2009

PRETENDI DI PIU'

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La ragazza è tondetta, in slip e reggiseno, e si guarda il sedere allo specchio, sovrapponendovi l’immagine di due glutei più piccoli e più sodi, con culotte di pizzo come si deve. Claim: “Pretendi di più”. E’ il manifesto pubblicitario della palestra GetFit. Sul corpo delle donne si è visto ben di peggio. Ma stavolta scatta qualcosa.
Qualcuno disegna un fumetto: “Voglio fare la velina”, e poi, sul seno della ragazza: “Grazie Presidente”. Un’altra mano scrive: “Sì, pretendiamo di più. Di riprenderci il nostro corpo: femminile, maschile, ma non commerciale. Che la “creatività” dei pubblicitari abbandoni queste banalità. Che nessuno si lamenti se imbratto con il pennarello qualcosa che imbratta la nostra dignità”. Seguono spontanee decine di firme: Tiziana, Beatrice, Claudia, Elena, Alice; ma anche, novità assoluta, Marco, Davide, Matteo.
Parte anche un dibattito online: complesse analisi del messaggio pubblicitario, ma anche proteste schiette: “Fa schifo. Ma proprio schifo, dico”. “Il vero messaggio è questo: tu grassa non meriti niente di più che una pubblicità demenziale”. “Se le mettevano un burqa in testa e nello specchio si vedeva la faccia pigliavano due piccioni con una fava”. “E’ troppo offensivo, perché la ragazza è pietosa, mostra una scena che non auguro a nessuno di vivere ma tante vivono”.
Di colpo, la misura è colma. Ragazze e ragazzi che passano di lì, e dicono con semplicità che il corpo è loro. Sembra nulla, ma si tratta di biopolitica. In Italia le ultime proteste contro l’abuso dell’immagine del corpo femminile risalgono a metà anni Settanta. Ma lì era contro la pornografia. Qui è diverso. Qui non è in questione la nudità della ragazza, ma la dittatura della forma fisica. E’ la ribellione contro l’immagine al centro dell’identità. Contro gli scheletri che si continuano a vedere in passerella. E’ un sussulto di dignità contro le indegnità e i mercimoni che hanno infangato la politica nel nostro paese. E accanto alle ragazze, per la prima volta,
ci sono anche i ragazzi: ci vorrebbe la penna di Michel Foucault, per raccontare questa storia.
Qui c’è una generazione che smette di essere acquiescente e fa sentire la sua voce. Ricominciando dal corpo. E spesso quello che conta ricomincia di lì. Roba da far tremare i polsi a tutti i nostri vecchioni, e alle loro compiacenti Susanne.

(pubblicato su Io donna-Corriere della Sera il 17 ottobre 2009)

Archivio Luglio 26, 2008

CORPI ASIMMETRICI

Leggo sul “Sunday Telegraph” che da qualche tempo in qua le foto di modelle e attrici vengono ritoccate “al rialzo”: a Keira Knightley, nella locandina per “King Arthur”, una ripulita alle occhiaie e il seno aumentato di un paio di taglie. C’è anche un’immagine di Cameron Diaz prima e dopo la “cura”: braccia più tonde, via quella cresta iliaca che buca i jeans, guancia meno incavata. Meglio così. Digitate “anorexia” su Youtube, guardatevi i filmati di certe sfilate con casting a Bergen-Belsen. Vertebre in rilievo, gambe da uccello: perché nessuna tra le giornaliste di moda presenti è salita in passerella per gridare all’orrore?
Intanto anche in Svezia, Eden della parità, si sta cedendo alla pubblicità sessualmente scorretta, quella che utilizza nudi o semi-nudi di donne per vendere prodotti –un’automobile, una birra- che con le donne nude o vestite non c’entrano niente.
A quanto pare intorno al corpo femminile gira un sacco di roba, business eccetera. Che cosa si va cercando, lì? Il più delle volte, suppongo, una frettolosa scarica onanistica. Cosa che non mi scandalizza più di tanto: ci vedo una specie di stralunata cerimonia maschile, l’ossessivo ritorno a un’origine in cui trovare un po’ di requie, movimento di ritorno in cui risuona un’eco sacra. Ho letto di Jacques Lacan che per un certo periodo ha posseduto la celebre “Origine del mondo” di Courbet, e si dilettava a osservare le espressioni dei suoi ospiti di fronte all’oscenità archetipica.
L’immagine del corpo della donna è per tutti –uomini e donne- l’immagine assoluta. Quel corpo come luogo a cui tornare ciclicamente per una ri-creazione. Qualcosa che le donne possono contemplare e ritrovare in loro stesse, se lo vogliono –tante non lo vogliono e distolgono lo sguardo-, ma che per gli uomini resterà per sempre l’irriducibile altro da possedere, da prendere e continuare a perdere, una lotta che non ha mai fine. L’altrove a cui non si arriva mai. Per gli uomini è il corpo che non hanno, il corpo tout court.
Questo per dire che gridare allo scandalo serve a poco o niente. Si tratta di ben altro. Si tratta del fondamento dell’illusorietà di ogni simmetria paritaria.

(pubblicato su “io donna”- “Corriere della Sera” il 26 luglio 2008)