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precariato

bambini, Donne e Uomini, economics Giugno 3, 2014

Il Papa, i cani, i gatti e i bambini

Se avessi il numero di Papa Francesco, al quale voglio bene, gli telefonerei per dirgli che la sua battuta sui cani e sui gatti non mi è piaciuta affatto.

Può anche essere che ci sia qualche coppia Dink (double income no kids) che a un bambino preferisce un soriano o un bulldog francese. Ma io conosco soprattutto un sacco ragazze che appuntano sulle loro bacheche di impiegate precarie foto di nipotini o di bimbi della pubblicità. Che osservano con angoscia il ticchettare del loro orologio biologico. E che alla fine prendono un cucciolo per riempire il vuoto, anche perché un cane o un gatto non fa scattare il licenziamento.

Da Papa Francesco, sempre così attento alle sofferenze umane, più che un’esortazione a fare bambini –suppongo che si sia spaventato di fronte ai numeri che illustrano la nostra natalità quasi-zero- mi sarei aspettata un severo monito a tutti coloro, a qualunque titolo, contribuiscono a dare vita a una società antimaterna. E il più delle volte per ragioni di profitto.

“Il demonio che attacca la famiglia”, come lui ha voluto dirlo, si chiama profitto.

Da Papa Francesco mi sarei aspettato una dura reprimenda contro i datori di lavoro che costringono le giovani donne alla sterilità, facendo loro firmare lettere di dimissioni in bianco, e contro quelli che le condannano, loro e i loro mariti o compagni, al precariato permanente, condizione che disincentiva ogni progetto genitoriale. Contro le banche che non concedono mutui. Contro uno Stato che, a differenza di quasi tutti gli altri Stati europei, non dà alcuna mano alle giovani madri e ai giovani padri, lasciandoli soli a godersi il “lusso” del figlio forzatamente unico.

Nessuna vera politica sulla famiglia, scarsissimo welfare, aiuti quasi-zero, sostegno economico idem.

La spesa media dei Paesi Ocse per la famiglia è del 2,2 per cento, con notevoli differenze. Francia, Gran Bretagna e Svezia sono i Paesi nei quali la spesa per le famiglie è più elevata (3,7 per cento in Francia, 3,5 in Gran Bretagna, oltre il 3 anche in Svezia). Tutti questi Paesi sono vicino ai 2 figli per donna. L’Italia spende per le sue famiglie l’1,4 per cento del Pil.

Leggo che il Sinodo del prossimo autunno sarà dedicato proprio al tema della famiglia. Mi auguro che Francesco colga l’occasione per aprire un vero e proprio conflitto con lo Stato Italiano e con la sua cultura anti-materna.

 

 

bambini, Donne e Uomini, italia, lavoro Maggio 5, 2014

Il Paese più vecchio del mondo (+precari = -bambini)

In mezzo ai tanti commenti su Genny ‘a Carogna e la débâcle dello stato democratico a cui abbiamo assistito sabato all’Olimpico, leggo sul Corriere, a firma Margherita De Bac, un’altra notizia molto sconfortante sul nostro Paese : i nostri tassi di natalità, già tra i più bassi del mondo, si stanno ulteriormente  riducendo a causa della grande crisi: -7.4 per cento tra il 2008 e il 2012, a cui si aggiungerebbe, secondo i primi dati provvisori, un altro calo pari al -4.3 nel 2013.

In parole povere, una catastrofe demografica. Siamo già il Paese più vecchio d’Europa, diventeremo un Paese vecchissimo. A ciò si aggiunga l’anzianità delle primipare italiane- record europeo pure questo: 4 su 10 mettono al mondo il primo figlio dopo i 35, con il bio-orologio già in fase di declino.

La natalità italiana tendente a zero va posta in correlazione diretta con la scarsa occupazione femminile –ancora non si è capito, o si finge di non capire, che le donne fanno tanti più figli quanto più lavorano- oltre che con la mancanza di servizi alle famiglie.

Osserva la sociologa Chiara Saraceno che “anche il tipo di contratto di lavoro conta ai fini delle scelte di fecondità… Nel 2013 aveva già un figlio il 34.1 per cento delle donne con un rapporto di lavoro stabile, a fronte del 23.8 per cento di chi ne aveva uno a tempo determinato”.

Il precariato, correlato a una bassa protezione sociale, aumenta la denatalità. Se a questo si aggiungono i servizi che mancano, i conti sono presto fatti.

Non la metterei sul piano dei numeri, delle statistiche e della demografia. Preferisco dirla così: tra i compiti del governo di un Paese c’è anche quello di non impedire alle cittadine quel “doppio sì” (sì al lavoro, sì alla maternità) che per moltissime –la gran parte?- qualifica il senso dell’essere donna. Direi di più: mettere al centro delle politiche questo “doppio sì” farebbe il bene di tutti.

Purtroppo la mancanza di misure davvero efficaci a favore dell’occupazione femminile, il consolidamento del precariato e l’assenza di vere politiche sulla famiglia vanno in tutt’altra direzione.

 

Donne e Uomini Maggio 24, 2013

Un figlio? Troppo lusso, siamo in Italia

Ricevo e pubblico la lettera di una collega, C.M.

Decine di migliaia di giovani donne sono in questa situazione, e anche peggio. Se questa genrazione è perduta, la prossima non verrà nemmeno al mondo.

 

Trentesima settimana di gravidanza: giunge il tempo anche per me, trentatreenne libera professionista nel campo della comunicazione e iscritta alla gestione separata INPS dal 2006, di fare domanda di maternità. Dopo una settimana dedicata a raccogliere documenti, tentare di caricarli sul sito inps.it e quattro ore di interminabile fila in due giorni per entrare nell’ufficio del mio municipio a Roma, scopro che il mio congedo di maternità non ha i requisiti per essere riscattato.

Verso i contributi alla gestione separata da quando avevo 27 anni e lavoro dall’età di 18. Come mai, ora che per legge non posso lavorare, non ho diritto alla maternità? I versamenti da libera professione per l’anno 2012 – mi spiegano- si effettuano dal mese di settembre del 2013, quindi l’istituto di previdenza non può pagarmi la maternità (la data del parto è agosto). Certo potevano dirmelo prima, che non dovevo concepire mia figlia a novembre 2012.

Il meglio deve ancora arrivare. Chiedo spiegazioni all’operatrice Inps che si occupa della mia pratica e la signora, con estremo candore, mi risponde: “Anche solo un contratto a tempo determinato rende le cose più facili, in questi casi”. “SOLO?! Grazie!”. Non soddisfatta continua: “La libera professione è una scelta. I liberi professionisti sanno che si devono accollare dei rischi”.

Quindi è giusto non ricevere la maternità, dopo anni di contributi versati, solo perchè in Italia dobbiamo sottostare a contratti precari o aprire posizioni a partita IVA per poter lavorare. Ed io sono tra i più fortunati, perché svolgo una professione che amo e che ogni giorno mi dà grandi soddisfazioni.

Mi sono sentita presa in giro. Sono uscita da quell’ufficio ridendo, ma con un groppo in gola.

Inutile spiegare all’impiegata inps, che dall’ultimo “Rapporto UIL sulla cassa integrazione” del 2012, sono oltre 520.000 i lavoratori in cassa integrazione, per un totale di 8.000 euro a testa persi e i disoccupati italiani, a febbraio 2013, sfioravano quota 3 milioni. Che stupida sono, perché mi dovrei lamentare? Io che sono libero professionista e lavoro dai tempi della maturità.

Non ho mai deriso il mio Paese e a chiunque mi abbia detto che ero pazza a volermi costruire una famiglia in Italia ho sempre risposto che dobbiamo cambiare le cose dall’interno, se vogliamo che davvero la situazione si evolva.

Oggi, però, avrei tanta voglia di deporre le armi”.

Donne e Uomini, lavoro Febbraio 2, 2012

La fissa del fisso

Ok, voglio farmi del male, stamattina.

Il Presidente del Consiglio Mario Monti, intervistato a Matrix, avverte i giovani che “il posto fisso non esiste più. E poi, diciamolo: che monotonia…”. Ti si accappona la pelle, se hai dei figli. Poi ti guardi intorno, e vedi che il premier sta descrivendo una realtà che ha già corso.

E poi ripenso quello che ho sentito dire in una pubblica discussione a Milano, indetta dall’Agorà del lavoro, che si incontra periodicamente per parlare di questi temi.

Le giovani generazioni che subiscono la precarizzazione ma anche la agiscono, a vantaggio del primato della vita: «Io sono il lavoro liquido dell’oggi, non minacciarmi con la cancellazione del precariato» ha detto, sorprendendo tutte, una giovane donna. «Io voglio trovare il mio senso in questa liquidità». E un’altra: «Non demoralizzate i giovani: il lavoro fisso non è tutto!».

Figlie di «garantiti» workaholic, gente condannata alle 8 ore per 11 mesi per 40 anni nello stesso posto, gente che ha smarrito il senso di che cosa sia semplicemente «vivere». E dicono cose scandalose come queste. Dicono che per loro la vita conta di più.

Proviamo a ragionarci su.

 

AMARE GLI ALTRI, Corpo-anima, Donne e Uomini, lavoro Settembre 25, 2011

L'ingiustizia più feroce

madonna di giovanni bellini, particolare

Una giovane segretaria. Foto di cuccioli e di bambini appese sulla sua bacheca. Un bambino biondo, bellissimo. Le somiglia un po’.

“E’ il tuo?” le chiedo

“Eh no, magari…”. Le brillano gli occhi. “E’ di una mia amica. Io vorrei, ma come si fa?

“Quanti anni hai?”

“Trenta”.

“Be’, l’età è giusta… E’ il tuo ragazzo che non vuole?”

“No no, lui vorrebbe. Il fatto è che sono interinale

“E quindi?”

“Se resto incinta ho diritto alla maternità pagata, ma poi mi lasciano a casa…

“Sei sicura?”

“Di solito va così”

“Diventi fissa a 40 anni se va bene” interviene la collega “e poi è un casino. I bambini non ti vengono più

Di tutte le ingiustizie questa è di sicuro la più feroce. Non vedo mai editoriali su questo in prima pagina. Ci siamo abituati al fatto che le cose vanno così, e questo è ancora più feroce. Intanto la natalità, già molto bassa nel nostro paese, è calata ulteriormente.