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Donne e Uomini, tv Maggio 11, 2011

IL CORPO DI ANTONIO RICCI

Ieri sera ho condotto una conversazione con Lorella Zanardo alla Libreria delle Donne di Milano: un bilancio dell’esperienza del Corpo delle Donne, due anni di intenso lavoro su un docufilm che è stato visto da quasi 4 milioni di persone nel mondo, è oggetto di analisi, di studi e perfino di progetti artistici, ed è in qualche modo scappato dalle mani dei suoi autori, Lorella per prima, travolgendone la vita. Lorella ci ha spiegato che ormai il suo lavoro, che si svolge soprattutto nelle scuole, è un’analisi del linguaggio televisivo tout court, un’educazione alla lettura delle immagini.

Poco prima delle 23 ci salutiamo, io faccio una corsa alla Stazione Centrale per dare un’occhiata al grande concerto per Pisapia, e lì mi raggiunge una telefonata angosciata di Lorella. Il resoconto di quello che è capitato lo fa lei stessa questa notte sul suo blog:

“... esco, tolgo la catena alla bici, sono le 11 di sera, in giro non c’è nessuno. Le porte dell’auto parcheggiata davanti a me si spalancano di colpo, alzo la testa e 3 persone e una luce fortissima mi vengono incontro. E’ la troupe di Strisica la Notizia.
Chiedo alla ragazza che mi investe con una serie di domande come si chiama, lei esita, poi veloce  mi risponde “Elena”,  ha 26 anni, dice che è contenta di avere fatto la velina, che nessuno l’ha obbligata e che io la offendo con il nostro documentario, dice così o qualcosa di simile.

Io sono sulla bici, e mi invade una tristezza infinita: Striscia usa quella violenza che io condanno. Prima il plagio del documentario, ora questo agguato notturno, da ore mi aspettavano fuori dalla porta della Libreria. Dico ad Elena ciò  che chi mi segue sa bene, e che sa anche lei presumibilmente, e gli autori: il nostro documentario è una critica all’uso del corpo delle donne nelle immagini tv, non alle donne che fanno tv. Di Striscia passano poche immagini nel nostro video. La reazione di Striscia è spropositata: noi con un doc fatto in casa e loro con i milioni di euro a disposizione e 7 milioni di persone tutte le sere.

Elena non mi lascia parlare, so che si usa così in tv. La guardo, voglio entrare in relazione ma lei non può, si vede che usa il metodo televisivo, parla veloce, accusa e non da tempo per la replica. Nemmeno per un attimo provo fastidio verso di lei, per i mandanti sì, per la loro codardia. perchè non sono venuti loro? Uomini senza coraggio, così come si usa ora.

Io non mi occuperò di questa diatriba miserabile, ho altro da fare. Però credo che chi mi legge potrebbe reagire. Se 3 milioni e mezzo hanno visto il documentario Il Corpo delle Donne e se continuate a chiederci di proiettarlo e se a migliaia dite che vi è servito, ora è il momento di dire voi cosa pensate. Anche quelle giornaliste, quei gruppi di donne che il video lo hanno visto, che lo hanno lodato, apprezzato ma che spesso tacciono. La protervia di questi autori corrisponde al clima di prevaricazione e di impunità che si respira oggi.

E comunque sì, ha ragione mio figlio tredicenne. Siamo stati veramente efficaci, con zero euro investiti, a dare così fastidio a quei milionari di Striscia, Mediaset.

Sono veramente sbigottita per l’accanimento di Antonio Ricci, signore maturo e d’esperienza, protagonista della tv degli ultimi trent’anni, ma che evidentemente non tollera il libero esercizio della critica. Se l’è presa con Lorella, con “Newsweek”, con “El Paìs”, ha realizzato un apocrifo del docufilm utilizzando il volto e i testi di Zanardo. Per la quale, tra l’altro -posso assicurarlo- Striscia è davvero l’ultima delle preoccupazioni, come del resto per noi tutti. Usa mezzi potenti contro una donna che fa lavoro volontario, manda i suoi ragazzi e le sue ragazze a tendere agguati notturni -Lorella si è molto spaventata, prima di capire che era una troupe di Striscia-, insiste con una protervia e un’aggressività degna di miglior causa a indicarla come una nemica assoluta, la sbeffeggia, la ridicolizza, cerca di spaventarla.

Direi che può bastare. Siamo qui, Lorella, io e tutte, disponibilissime a un chiarimento definitivo, se Ricci lo riterrà opportuno, con lui, le Veline, gli autori, e anche con il Gabibbo, dove e quando vorrà. Che la smetta con le molestie, non è un ragazzino né uno stalker, e accetti di confrontarsi civilmente.

Donne e Uomini, lavoro, Politica Marzo 12, 2011

TU QUOQUE, EMMA?

Indignez-vous, care amiche. Ma sul serio. Quanto a me sono furibonda, e di sciarpe bianche al collo oggi ne metterei una decina tutte insieme per quello che ci sta facendo Emma Bonino. La quale, unica italiana celebrata da “Newsweek” tra le 150 donne che hanno scosso il pianeta, categoria “donne combattenti nel Terzo Mondo” –tra cui l’Italia-, ha ritenuto di onorare il riconoscimento concionando di oppressione femminile insieme a un’egiziana, a un’iraniana e a una saudita, tutte oppresse a pari merito, alla conferenza internazionale “Women in the World 2011” di New York.

Ora, tutto questo è molto pittoresco. Come quella volta che in un fumoso e fetido pub di Berlino-Kreuzberg, primi anni ’80, mi capitò di vedere un manifesto che chiedeva “libertà per i 40 mila prigionieri politici italiani”. “Non sono un po’ troppini?” chiesi ai miei amici. “Ma ai compagni tedeschi” mi spiegarono “piace”.

Può essere che questa cosa dell’oppressione femminile aggiunga nuova fragranza al nostro esotismo. Sbarreranno gli occhi, i giovani yankee in Grand Tour, quando vedranno che talune di noi guidano la macchina e le più fortunate hanno anche la lavapiatti.

E’ un periodo che farei class action a tutti, e mi verrebbe da farne una anche alla nostra vicepresidente del Senato, che ci disonora –scuorno!- davanti a una platea internazionale con patrocinio dell’Onu e della Casa Bianca, ricordando nostalgica “la grande stagione delle nostre conquiste degli anni ’70, il divorzio, l’aborto (le conquiste “tristi”, ndr)… e poi il lungo sonno degli anni ’80 e ’90, ricacciate in casa, private delle strutture sociali più elementari”.

Si potrebbe ricordare a Emma che proprio nei formidabili anni ’70, con la fine dell’agricoltura nel nostro paese si registrò uno dei tassi più bassi di occupazione femminile, e che la crescita tumultuosa cominciò verso la fine degli anni ’80. Che da un certo punto degli anni ’90 in poi l’unica occupazione che cresceva era quella femminile. Che le donne ormai costituiscono la maggioranza in molte professioni: siamo pieni di avvocate, magistrate, mediche. Che dove si accede per concorso si va alla grande, il problema è l’accesso per cooptazione, come in politica e nelle aziende. Che nel Nord e in Emilia gli obiettivi di Lisbona sono raggiunti e la Lombardia non ha niente da invidiare al Baden-Wurttemberg, mentre al Sud c’è una marea di lavoro nero.

Dettagli, per carità -se Emma ne vuole altri provi a contattare le amiche del gruppo lavoro alla Libreria delle Donne di Milano-: alle “compagne” paritarie americane piacciamo così, tutte ex-segnorine chiuse in cucina a tirare la pasta, in guepiere e piene di lividi.

I numeri sono una cosa strana. Mi dice un’amica: “In Rwanda hanno il 50/50 in politica. Ok, vacci a stare tu in Rwanda”. Qui la pillola non va giù, eppure gli aborti diminuiscono, se possiamo i vecchi ce li teniamo in casa anziché mandarli negli ospizi, per i bambini cuciniamo invece che sbatterli al Mac, i nostri uomini sono egoisti e infantili ma i maschi maghrebini che vengono a stare qui li prendono in giro perché si fanno comandare dalle donne.

Il nostro è uno strano paese, normale non lo sarà mai, bello e sghembo come le sue piazze, la Brianza è il posto più ricco d’Europa e la Calabria povera come la Grecia. Ma bisogna amarlo e rispettarlo per capirlo e per farlo fiorire.

Il vittimismo e il pariopportunismo possono fare danni assai più seri di qualunque mediaticissimo velinismo, come dice l’amica e maestra Luisa Muraro nel suo ultimo “Non è da tutti – L’indicibile fortuna di nascere donna” (Carocci), mettendoci in guardia di fronte della “posizione falsamente femminista di considerare il sesso femminile come la grande vittima di una grande ingiustizia maschile. Questa semplificazione è tipica della politica dei diritti che porta a sopravvalutare quello che si può ottenere in nome dei diritti e a sottovalutare le persone con le loro risorse”.

Quasi quasi lo regalo a Emma.