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movimento 5 stelle

Politica Maggio 26, 2014

Grillo: guai ad abbandonare la nave alla deriva

Le indimenticabili “consultazioni” tra Renzi e Grillo

La rabbia è un sentimento indispensabile alla sopravvivenza, tanto quanto la paura: rapida attivazione di tutte le risorse biochimiche necessarie a produrre una reazione in tempi brevi. Un supercarburante: ma se non lo usi per agire, ti ingolfi e ti avveleni.

L’errore del M5S, che ieri ha perso 2 milioni e mezzo di voti, è stato principalmente questo, e qui lo abbiamo detto e stradetto mille volte: non capire che alla rabbia doveva conseguire l’azione costruttiva, con relativo cambiamento di linguaggio. Che il ringhio, le minacce, gli eccessi verbali, l’arroganza del #noivinciamo e #velafaremovedere, il machismo e il sessismo, le sfumature fascistiche, le porte sbattute in faccia, l’ostinazione aventiniana, il manicheismo, la scarsa democrazia interna e tutto quello che abbiamo visto in dosi massicce in queste ultime settimane di campagna elettorale, non avrebbero pagato più.

“Siamo sicuri che urlare in faccia agli Italiani i loro problemi e la strada da perseguire per cambiare il nostro paese?“, twittava stamattina un grillino. Ecco, siamo sicuri?

Grillo non è stato un leader all’altezza dello straordinario patrimonio politico che si è trovato a gestire. L’inizio della débâcle, quelle consultazioni-farsa in streaming con il premier incaricato Matteo Renzi. La sua gente le aveva volute, lui ci era andato obtorto collo, perché “decide la rete”. In realtà ha continuato a decidere lui, e quelle consultazioni sono state solo un pessimo monologo alla Lenny Bruce.

Il silenzio di queste ore dà l’idea di un pugile suonato, di un Masaniello che nasconde la mano, e anche questo è un grave errore: nessuno che parli, né il leader né i parlamentari. Blog muto, pagine dei social network pietrificate. Ma non si lascia il proprio “popolo” nell’incertezza e nello smarrimento. La sconfitta durissima va ammessa -il nemico Renzi ha addirittura doppiato i 5 Stelle-, 2 milioni e mezzo di persone ti hanno detto che il tuo “no-no-e no” non basta più, una prima diagnosi va azzardata, una strada va indicata. Dare la colpa al popolo bue, come vedo già in molti commenti, sarebbe molto miope.

Probabilmente Grillo sta pensando se tenere fede alla promessa: “se non vinco me ne vado”. Ma senza di lui il M5S crollerebbe, e quella rabbia troverebbe altre strade, quasi certamente rischiose. La rabbia scatenata va responsabilmente gestita. La nave in difficoltà non può essere abbandonata.

Il 21.5 per cento dei consensi resta un patrimonio politico cospicuo, da amministrare oculatamente. Si tratta necessariamente di passare dalla furia destruens alla fase della costruzione, della proposta, del compromesso e delle alleanze.

Il primo round è finito.

Aggiornamento: al momento Beppe Grillo si limita a prendere il Maalox. Questo il suo commento

“Adesso ci state prendendo in giro. Vi capisco. Mettete proprio il coltello nella piaga. Abbiamo perso. Non è una sconfitta, siamo andati oltre la sconfitta. #vinciamopoi, sì #VinciamoPoi. Abbiamo il tempo dalla nostra, è ancora presto. Quest’Italia è formata da generazioni di pensionati che forse non hanno voglia di cambiare, di pensare un po’ ai loro nipoti, ai loro figli, ma preferiscono stare così. Son dei numeri che non si aspettava nessuno, però noi siamo lì, siamo il primo movimento italiano, il secondo partito. Abbiamo preso il 21-22%, abbiamo preso l’IVA, senza avere voti in nero e siamo lì senza aver promesso niente a nessuno, né dentiere né 80 euro. Io sarei anche ottimista, quindi: non scoraggiatevi. Vedo messaggi: “cosa facciamo? andiamo avanti?”, certo che andiamo avanti. Siamo la prima forza di opposizione, faremo opposizione sempre di più, sempre meglio e cercheremo di rallentare il dissanguamento, lo spolpamento di questo Paese, che ci sarà. Noi saremo precisi, puntuali, e ci saremo sempre, non preoccupatevi. Ora Casaleggio è in analisi per capire perché si è messo il cappellino e poi tutti insieme vedremo che cosa fare. State tranquilli, dai, vin… vinciam… Vincono loro. Vincono loro, ma è meraviglioso lo stesso. Intanto io mi prendo un maalox, non si sa mai. Casaleggio, c’è il maalox anche per te, vieni qua.” Beppe Grillo

altro aggiornamento: analizzando il fallimento, Casaleggio si è detto sicuro che il problema non risieda nei contenuti, ma dei toni con cui vengono declinati. Troppa rabbia, troppa aggressività, producono reazione indesiderate, come l’assuefazione, e la fuga di massa verso lidi più rassicuranti.

Ecco, scusate amici del blog: da quanto li invitiamo a “toni gandhiani”?

Donne e Uomini, Politica, questione maschile Dicembre 7, 2013

Amiche 5 Stelle, avete un problema

Gogna a 5 Stelle per Maria Novella Oppo, giornalista de L’Unità

 

Ho sempre rispettato il Movimento 5 Stelle, i suoi eletti e i suoi 8 milioni di elettori -chi frequenta il blog lo sa-. Pur non condividendo completamente la scelta di tenersi fuori politicamente da ogni responsabilità di governo, ho sempre riconosciuto la spinta innovativa del Movimento, senza il quale anche quelle poche prospettive di cambiamento a mio parere sarebbero ancora sbarrate.

A occhio, quindi, non dovrebbe capitarmi di finire nella lista di proscrizione istituita da Beppe Grillo contro i giornalisti nemici del Movimento, né di sentirmi dare, come è capitato alla collega Maria Novella Oppo dell’Unità, della “cessa”, “baldracca”, “racchia”, “ammoscia cazzi”, “cagna”, “zoccola”, “carta da culo”, “troia”, “succhia cazzi” (traggo dalla pagina Facebook di Beppe Grillo). Ma sarei ben lieta che capitasse anche a me, se questo servisse a risvegliare le coscienze delle moltissime elette e militanti 5 Stelle, che non soltanto dovrebbero rivoltarsi di fronte all’idea di una lista di proscrizione dei giornalisti, armamentario classico dei fascismi e delle dittature, e su questo non si discute, ma anche riconoscere quello che è capitato alla mia collega come odio misogino e pura e ripugnante violenza sessista: e anche questo è fuori discussione.

Beppe Grillo non ha saputo e non ha voluto fare il passo che sarebbe stato necessario a consolidare il suo straordinario successo elettorale: dall’urlo alla mitezza gandhiana, dalla guitteria savonaroliana alla sobria e ferma denuncia delle moltissime cose che vanno denunciate. Nel merito di quello che dice ha molte ragioni, ma quel metodo, funzionale alla fase dell’attacco destruens, non gli consentirà di costruire granché. Di vaffa in vaffa, il Movimento rischia di perdere colpi.

Mi appello alle amiche 5 Stelle perché ricorrano a tutta la loro autorità femminile per costringere il leader a un rapido e deciso cambio di passo, stigmatizzando in ogni modo l’odio misogino espresso da un Movimento che paradossalmente gode della fiducia e del sostegno attivo di moltissime donne. Le avversarie politiche non sono “baldracche” (epiteto, vedo in quella stessa pagina, riservato anche alla Presidente della Camera Laura Boldrini), e qualunque maschio colga l’occasione del conflitto politico per esprimere la propria fragilità, la propria miseria e la propria violenza, andrebbe bannato in quanto stalker e allontanato con decisione.

Se la civiltà politica che i 5 Stelle hanno in mente contempla lo stupro “etnico” simbolico delle donne della parte avversa, be’, allora tanto vale che il Movimento si estingua, e al più presto.

aggiornamento delle ore 12.30: quanto a misoginia, Massimo D’Alema non è da meglio: vedere qui. Proprio non c’è limite. Che si vergogni.

 

esperienze, Politica Novembre 4, 2013

Politica-Bostik: incollati alla poltrona

 

Flavia Perina la chiama “nevrosi del parlamentare”. Lei che parlamentare lo è stata, e dalle ultime elezioni non lo è più a causa dell’evaporazione del suo partito (Fli), si è riassestata nella sua vita: fa la giornalista free lance, è alquanto tosta e continua ad amare e seguire la politica. Ma ha visto da vicino la sindrome di chi, eletto nelle istituzioni, vive nel terrore di perdere la poltrona, per dirla in modo pop. Terrore che oggi ha raggiunto i livelli di guardia e dal quale la politica è fortemente condizionata: quello che conta è che il governo duri il più a lungo possibile per evitare di andare a nuove elezioni, con il rischio di non venire ricandidati. Una quota considerevole di parlamentari che rinuncia alla propria autonomia di giudizio e a rappresentare il suo elettorato per evitare di indispettire la nomenclatura di partito, che potrebbe decidere di non ricandidarli. Le ragioni personali pesano sempre e ovunque. Ma nella politica di oggi sembrano pesare ben oltre il livello fisiologico: la rappresentanza democratica coincide sempre più strettamente con la rappresentazione del proprio utile.

“Il fatto è che ormai nei partiti è una roulette russa” dice Perina. “Nel Pd molti veterani non potranno godere di ulteriori deroghe, e poi ci sono i miracolati delle primarie di Capodanno, entrati con una manciata di voti, che rischiano di tornaresene per sempre a casa. Nel Pdl, il “padrone” che, come se gestisse una sua azienda, potrebbe decidere di nominare una qualunque soubrette al posto tuo, senza doverti alcuna spiegazione. Il terrore di non rientrare è trasversale alle larghe intese. E colpisce anche il Movimento 5 Stelle”.

Anche se questo fa in qualche modo parte del patto a 5 stelle: negli incarichi si ruota, sai che potresti durare giusto una legislatura…

“Sì. Ma anche per loro la carne è debole. Anche qui pesa l’istinto di autoconservazione. Sai che sei entrato con un consenso occasionale e contingente. Che non ci sarà il secondo giro e che non diventerai mai un professionista della politica”.

E questo è un male? Per loro sì, certo: ma per noi?

“Be’, alcuni cominciano a “studiare” da ragazzini per fare questa carriera: prima consiglieri di zona, poi in comune, poi tenti il salto regionale e nazionale. Una costruzione faticosa”.

Come per una carriera professionale. Salvo che poi in questo modo vengono eletti quelli che hanno “timbrato”, i padroncini delle tessere, piccoli funzionari, burocrati. E mai i talenti che magari non hanno frequentato circoli e sezioni, ma che servirebbero davvero al Paese. Raro che i due profili coincidano.

Qui c’entra la crisi dei partiti. Una volta c’era una forte attività di scouting nel senso nobile del termine: per riequilibrare l’eccesso di nomine interne e per evitare un andamento asfittico si cooptavano esterni talentuosi. Intellettuali, professionisti, imprenditori che portavano la loro visione e il loro valore aggiunto, e magari anche la scomodità di un po’ di eresia e di anticonformismo, che al partito facevano bene. Poi è intervenuto un mutamento genetico profondo, connesso al racconto berlusconiano-televisivo: pochi esterni e tutti mediatici, a destra come a sinistra. Per lo più gente passata in tv: le veline candidate in Europa, previo corso accelerato di politica, ma anche figure come quelle della sportiva Valentina Vezzali, deputata di Scelta Civica. La quale, mi dicono, alla Camera si vede molto poco…”.

Tornando al tema, un Parlamento in cui le logiche autoconservative sono prevalenti: che soluzioni vedi?

“Una legge elettorale basata su piccoli collegi e con doppio turno, sul modello della legge per i sindaci. Questo obbliga i partiti a candidare gente presentabile, con una biografia riconosciuta dalla comunità locale, bypassando le logiche mediatiche. Si tratta di rivalutare le reputazioni. Così oltretutto si potrebbe anche ridurre la nevrosi del parlamentare: se lavori bene, la tua comunità ti riconfermerà e un secondo giro lo farai”.

E stabilire un limite del numero di mandati? E magari pure degli emolumenti?

“Il limite dei mandati potrebbe anche essere un aiuto psicologico: sai che in ogni caso dopo il secondo vai a casa, e sei più libero. Quanto agli stipendi, sono meno d’accordo”.

Ricordaci quanto porta a casa un parlamentare.

9-10 mila euro netti. Lavoro ben pagato, certo. Ma se lo fai bene è molto impegnativo e comporta spese cospicue. E se guadagni abbastanza puoi permetterti di dedicarti solo a quello, evitando conflitti di interesse”.

Da europarlamentare Alex Langer non volle una lira in più rispetto al suo stipendio di insegnante.

“Scelta nobilissima. A Roma gli assessori prendono 2500 euro. Ma quale professionista di valore si sentirebbe di rinunciare ai suoi introiti e di mettere in discussione la sua reputazione per meno di quella cifra? Mentre per uno che per esempio fa l’impegato e prende 2000 euro il salto è enorme: proprio questa tipologia di parlamentari è la più soggetta a tentazioni, disponibile a ogni compromesso e salto della quaglia in cambio di una garanzia di permanenza”.

Ma perché questa “addiction”? Perché non essere rieletti è talmente devastante? Ci sono molte cose da fare a questo mondo. Anche la politica, da non eletti.

“La droga dello stare in quei posti è lo status. Una cosa che può dare alla testa, specie se sei un neofita. Il 90 per cento dei parlamentari non vive nelle metropoli, non sta a Milano o a Roma, vive in piccole realtà. Ti chiamano onorevole, ti senti un principe. Ho visto neo-eletti rifarsi daccapo il guardaroba. E’ una nuova nascita nella casta”.

Fuoruscirne, quindi, è una pre-morte… Tu però sei ancora viva, mi pare.

“Dirigevo un giornale. Non ho perso solo il posto da parlamentare, ho perso anche quella direzione per volontà di Berlusconi, e la perdita più grande è stata questa. Ma continuo a seguire la politica e a farla, da un’altra posizione. Dicevo che è più che altro una questione di status, perché poi il potere del parlamentare è pressoché nullo. Sia il Pd sia il Pdl hanno rinunciato da tempo all’idea di vincere. L’idea definitivamente introiettata è quella di una politica che gestisca consociativamente gli interessi. Qualcuno l’ha chiamata la politica del Gps, ovvero del posizionamento: non sei lì per la polis, per portare temi, per rappresentare i cittadini. Il gioco è tutto interno, stretto sulle alleanze e sugli accomodamenti tra schieramenti. Il consociativismo al suo massimo livello“.

 

 

Donne e Uomini, femminicidio, Femminismo, Politica Ottobre 15, 2013

#Femminicidio: il decreto della discordia

 

Ho voglia di confrontarmi con un uomo su questo bruttissimo decreto anti-femminicidio -meglio: su questo decreto-sicurezza, che riguarda anche il tema del femminicidio. Ne parlo con Stefano Ciccone dell’associazione Maschile Plurale. E per almeno due ragioni: a) insieme ad altri uomini, Ciccone riflette da anni ed efficacemente sulla sessualità maschile e sulla violenza; b) la questione va ricondotta a una dialettica viva e politica tra donne e uomini, fuoruscendo dalla logica emergenziale che ha informato il decreto secondo il quale il problema riguarda solo alcuni soggetti “criminali” e non invece le relazioni tra i sessi tout court.

Il problema fondamentale del decreto” dice Ciccone “sta nel fatto di aver voluto individuare una soluzione semplice a un problema complesso, in una logica più comunicativa che politica: dare una risposta immediata e tranchant a un’emergenza. Prima di essere “dimessa” la ministra alle Pari Opportunità Josefa Idem sembrava aver scelto un approccio diverso: partire dalle associazioni che lavorano da anni sul campo, costruire un percorso politico. Il decreto invece sembra cancellare tutta questa esperienza. Quella che ne esce è una rappresentazione delle donne come soggette deboli e bisognose di tutela”.

La discussione sulla irrevocabilità della querela non accenna a placarsi (qui, tra gli ultimi interventi, quello di Elettra Deiana) Anche il gratuito patrocinio per tutte conferma questa impostazione protettiva. Ma la protezione è l’altra faccia del dominio: ti proteggo, però devi fare come ti dico io.

Da questo punto di vista il decreto non sposta nulla. Lo stato di ‘minorità’ che giustifica il dominio qui si ripropone in chiave di tutela“.

Le donne vanno difese e “messe in sicurezza” e la violenza maschile è assunta come dato di natura: l’uomo mena, e non ci si può fare nulla…

La violenza viene letta come fatto criminale e non come il prodotto di una cultura radicata, sulla quale si può e si deve lavorare. Più la enfatizzi come emergenza, più rimuovi il fatto che si tratta di una questione che attiene alle modalità di relazione tra i sessi. Si rafforza un approccio di delega: la società affida al criminologo, alle forze dell’ordine, al giudice la soluzione di una questione che invece riguarda tutti “.

Nessun cenno a terapie obbligatorie – eventualmente alternative alla pena- per i maltrattanti e i sex offender. Si  parla solo di informare chi viene ammonito della possibilità di rivolgersi a un terapeuta (qui un elenco dei centri).

“Su questo è bene chiarirsi. Il sostegno ai centri di ascolto e di terapia per gli uomini violenti non deve andare a scapito di quello, importantissimo, ai centri antiviolenza per le donne. Una lettura patologica della violenza maschile rischia di distrarre dalla necessità di un lavoro che sia fondamentalmente politico”.

Il decreto è stato accolto come un passo avanti da molte donne…

Si è pur sempre trattato di un riconoscimento della centralità del fenomeno. Se ti metti nella logica delle risposte istituzionali, il decreto può essere inteso come un buon risultato. C’è questo clima creato dall’indignazione, che spesso si accontenta di una scarica motoria, purché sia. Ma credo che ci sia ampio spazio per tenere aperta la discussione. Nel femminismo paritario di Se Non Ora Quando c’è chi ritiene, come la deputata Fabrizia Giuliani, che l’obiettivo sia “mettere in sicurezza le donne”, in una logica emergenziale e non politica, stile “larghe intese”; ma c’è anche chi crede che la logica securitaria sia sbagliata, come la vicepresidente del Senato Valeria Fedeli. Quanto al femminismo della differenza, credo che ci sia stata una certa esitazione a prendere in considerazione questi temi. Lì si sta lavorando su questioni come la politica della cura e l’autorità femminile: probabilmente tornare a parlare di violenza appariva come un ritorno indietro. Forse solo Lea Melandri, pur senza cedere al femminismo paritario, non ha mai smesso di interrogarsi sulla complessità delle relazioni d’amore”.

Sel e Movimento 5 Stelle non hanno votato il decreto perché veicolava contenuti che con la violenza sessista non avevano niente a che vedere: dall’esercito contro i NoTav al furto di rame.

“In effetti la sensazione è che si siano voluti rubricare sotto l’etichetta “femminicidio” provvedimenti che avrebbero suscitato molte discussioni se proposti in separata sede. Insomma, o mangi questa minestra… o niente decreto “a favore” delle donne”.

A parte Michela Marzano, Pippo Civati e pochi altri che hanno espresso le loro perplessità, il Pd, donne comprese, ha votato compatto. Te lo aspettavi?

“Francamente no. Abbiamo detto di Valeria Fedeli, c’erano anche altre parlamentari piddine che aveva espresso riserve. Forse il fatto di aver ottenuto finanziamenti per i centri antiviolenza è stato ritenuto un compromesso accettabile”.

Che cosa si dovrebba fare, a questo punto?

“Io partirei dai pochi elementi positivi. Nel decreto si parla anche di formazione e prevenzione: potrebbe essere utile una legge quadro che sposti il più possibile l’approccio: dal securitario-emergenziale al lavoro politico e culturale. Questo forse è anche il modo migliore anche per evitare una lacerazione tra le donne”.

 

Aggiornamento di domenica 20 ottobre, mezzanotte: 
la Cassazione ritiene che la querela debba essere SEMPRE irrevocabile.
Di male in peggio. Non denuncerà più nessuna.

 

Politica Settembre 14, 2013

Decadenza: voto segreto o palese?

Il voto segreto rende possibili le peggiori nefandezze: l’agguato dei 101 non sarebbe stato possibile diversamente. Il voto palese non impedisce certo di votare contro gli ordini di scuderia, ma impone di assumersi fino in fondo la responsabilità politica dei propri convincimenti.

Secondo una lettura piuttosto verosimile, la lotta per il rinvio del voto in Giunta sulla decadenza di Berlusconi è servita per provare a raccattare fuori dal recinto del Pdl quei 43 franchi tiratori che servono a salvare B. nell’aula del Senato -dopo i 101, avremmo da lambiccarci sui 43-. Che l’operazione sia riuscita o meno, il M5Stelle propone invece che il voto sia palese: «Chi non ha nulla da nascondere voti la nostra proposta», scrive, garantendo che «il M5s in Giunta e in Aula compatto voterà per la decadenza». Voto palese che, al 99.9 per cento, autorizzerebbe la decadenza di B., e a cui con quasi altrettanta certezza seguirebbe la crisi di governo.

Con triplo salto mortale qualcuno accusa i 5 stelle di una macchinazione infernale: ovvero l’auspicio che la proposta di voto palese venga respinta, e nel segreto dell’urna garantire il numero di franchi tiratori necessario a salvare B., per dare poi la colpa al Pd e avvantaggiarsene elettoralmente. Tutto può essere, ma mi pare fantascientifico. Quel che è certo, il voto palese manderebbe gambe all’aria le macchinazioni di chiunque.

Sempre che al voto in aula si arrivi: il Pdl minaccia di staccare la spina subito il voto della Giunta.

Anyway, il voto palese mi pare auspicabile, pur con tutte le sue conseguenze. O no?

p.s. I franchi tiratori potrebbero essere ben più di 43. Tanta di quella gente entrata fortunosamente in Senato con le Parlamentarie di Capodanno, tutti quelli che per eccesso di anzianità non rientrerebbero più, hanno tutto l’interesse ad andare al voto più tardi possibile…

 

Aggiornamento ore 16.3o: cresce il fronte per il voto palese. Vedi qui

Politica Maggio 27, 2013

Politica? No grazie. Meglio il fai-da-te

La scheda elettorale a Roma: alta un metro e 20

Il freddo di maggio ha gelato anche le urne. Dimmi tu, si sarà detto l’astensionista medio, perché devo rompermi le p…e e andare al seggio, con questo vento cane, se poi tanto fanno sempre quello che vogliono, e quello che vogliono è solo salvare il loro c..o.

Dopo l‘inciucio detto anche larghe intese, tanti elettori del Pd l’hanno dichiarato ad alta voce: stavolta non mi beccano più. E le salamelle se le friggano loro. Quel -25 per cento nella Pisa del premier Letta fa tremare i polsi. Potrebbe essere proprio il Pd a pagare il prezzo più alto. Il Pdl non dovrebbe soffrire altrettanto. Il Movimento 5 Stelle potrebbe perdere da un lato, punito per il suo integralismo, ma dall’altro recuperare ancora un po’ di voto “antipolitico”: il risultato potrebbe non essere rovinoso. Tendenze che si declinerebbero localmente, secondo la credibilità dei candidati.

Stiamo a vedere. Al momento le certezze sono poche, ma lampanti:

1. A vincere è il partito dell’astensione, e il partito dell’astensione dice che che gran parte del Paese della politica non si fida più, nemmeno un po’. Sono tutti uguali, inutile scomodarsi. Tanto non cambia niente. Meglio che facciamo da noi, perché questi fanno solo danni. Che almeno ci lascino lavorare. Proprio ieri, nella mia rubrica “Maschilefemminile”, scrivevo questo: “Quello che la politica può fare per noi, quando funziona al suo massimo, è attivarsi come un sistema neuronale complesso in grado di cogliere, decodificare e interpretare segnali deboli e processi promettenti che sono già in atto nella “nostra” politica, quella vera, quella della nostra convivenza quotidiana. E quindi rimuovere gli ostacoli, porsi come facilitatore, agevolare questi processi e renderli più fluidi, stabilendo le priorità, amministrando il meglio di ciò che capita.E districarsi il più possibile dal potere, perché dove la politica si intende come sinonimo di potere gli interessi di pochi stanno in cima, contro quelli del maggior numero. Sarebbe fantastico, da una politica che ha paura perfino di Twitter“.

2. A perdere,  è il governo a larghe intese, che dovrebbe trarne rapidamente le conseguenze. Il che significa: decidere sulle questioni economiche più urgenti, confezionare la legge elettorale e chiudere l’esperienza. Anche se già si stanno mettendo le mani avanti -il voto amministrativo non è sugnificativo per la politica nazionale, e così via-, e si continua a non voler sentire e a non voler vedere.

3. Il Pd è nei guai fino al collo, ma questo lo sapevamo già. La tentazione strisciante di rinviare il congresso racconta la sua debolezza meglio di tutto il resto.

Politica Aprile 26, 2013

5 Stelle, ultima chiamata

Incontro Enrico Letta- Movimento 5 Stelle

Per carità, non voleva dire quello, ma quell’altro: affermando che il 25 aprile è morto, Beppe Grillo non intendeva dire che la festa della Liberazione è ormai una celebrazione retorica e priva di significato, ma che oggi, di fronte a questo sistema dei partiti che la usurpa, “i partigiani piangerebbero”. Sta di fatto che tutti hanno capito quell’altro, bell’autogoal, e la colpa non si può dare ai riceventi, ma è tutta dell’emittente.

Poi quellincontro in streaming con il presidente incaricato Enrico Letta, “Pd-M5S, il Ritorno”. Una cosa stanca, film bruttino che ti rivedi in tv giusto perché non hai altro da fare, Crimi-Lombardi & C fiaccati dalla seduttività pacata e un po’ ipnotica del “giovane” Letta. Lui che li incoraggia a discutere, ad abbattere i muri, a scongelarsi, e li mette di fronte ai risultati dei loro “niet”. Lombardi che a un certo punto, disorientata, se ne esce totalmente fuori contesto con la questione dei doppi incarichi: suggestiva, per carità, ma che nulla aveva a che vedere con il tema in oggetto, governo e programmi.

Insomma: brutta giornata per il M5S. Una delle peggiori, forse, da quando il Movimento è entrato nelle istituzioni rappresentative, a conferma di quell’arietta che ha cominciato a spirare in Friuli Venezia Giulia, con il deludente risultato del candidato di Grillo alla presidenza della Regione. La sensazione è che Grillo sia un ottimo leader di lotta, ma non altrettanto di governo. Confermata da tutti quelli/e (e sono tanti/e, anche tra i giovani, il loro principale bacino elettorale) vanno dicendo che “la prossima volta non li voto più”.

Questi sono tempi strani: oggi porti un milione di persone in piazza, domani ti ci ritrovi solo con i parenti stretti. Pensate a quello che è capitato con Se Non Ora Quando: l’enorme potenziale del 13 febbraio sperperato per assoluta incapacità politica, e ridotto a ufficio romano di collocamento di 4 candidate 4. Potrebbe capitare anche ai 5 Stelle: cosa che spiacerebbe ad alcuni -per esempio a me, che attribuisco allo scossone benefico della loro presenza quel poco di innovazione che stiamo portando a casa- e invece piacerebbe ad altri.

Al di là di ogni valutazione, è ora che il M5S cambi registro, e anche in fretta. Da tempo suggerisco meno rabbia e un po’ di mitezza gandhiana. Ora mi permetto di suggerire anche una logica di maggiore efficacia qui-e-ora. Che consenta di dire: questo risultato lo abbiamo portato a casa noi, e anche questo e quest’altro.

In caso contrario, i successi del Movimento resteranno affidati unicamente agli insuccessi, agli errori -e alle malefatte- dei partiti.

E tutti continueremo a ballare al ritmo battuto da quel signore che ieri, dal Texas, telefonava a Roma per dettare le sue condizioni, questo sì e questo no, e che resta, al momento, il principale protagonista della politica italiana.

Politica Aprile 20, 2013

“A congresso subito”: parla Puppato

Laura Puppato in treno, sta rientrando in Veneto per una domenica in famiglia. La segreteria del Pd si è appena dimessa in blocco.

La prima cosa che le chiedo è come ha votato nell’ultimo scrutinio.

Ho tentato in tutti i modi di portare il Pd su Rodotà. Anche dopo che il nome di Prodi è stato bruciato, ed è stato un grave errore, perché il profilo internazionale della sua candidatura era molto interessante. Non ci sono riuscita. Alla fine ho votato Napolitano“.

Chi ha affossato Prodi?

I dalemiani, in blocco. Una parte di mariniani, per senso di rivalsa. Quanto ai renziani, Matteo Renzi dice di aver dato un’indicazione chiara e univoca, ma probabilmente alcuni tra loro hanno colto l’0ccasione per dare la scossa definitiva a Bersani“.

Qual è stato il vero ostacolo alla candidatura Rodotà?

Proprio l’atteggiamento oltranzista dei 5 Stelle. Anzi, di Grillo. Rodotà era disponibile a ritirarsi per far convergere i voti su Prodi, molti dei 5 Stelle la valutavano come un’ipotesi ragionevole, ma poi è arrivato il niet di Grillo. Il suo vero obiettivo è la distruzione del Pd. Credo che oggi Rodotà sia dispiaciuto del fatto di non aver ritirato la sua candidatura. Il nome di Prodi era l’unica possibilità per evitare il governo a larghe intese. E invece, purtroppo, il bene del Paese è scivolato il secondo piano. Ognuno ha condotto la sua battaglia. Hanno vinto i personalismi, lo sfascimo, il tanto peggio-tanto meglio“.

Che cosa capiterà al Pd?

Nichi Vendola dice che sarebbe bene anticipare i congressi di partito a maggio. Credo abbia ragione. Non possiamo aspettare. Ma la cosa prioritaria è definire in modo chiaro punti di programma e principi condivisi. Non possiamo più permetterci di ridiscutere ogni volta daccapo su qualunque questione. Il segretario andrà scelto sulla base di intenti chiari e condivisi“.

Ha già in mente un nome per la segreteria?

Onestamente non ci ho ancora pensato“.

Pensa che ci sia un rischio concreto di scissione?

Sarei disonesta se dicessi di no. Ma credo che quella che giudico la parte migliore del Pd tenga molto al fatto che il partito non si divida. L’altro giorno, per consolarmi, pensavo che la Chiesa è riuscita nel rinnovamento, partendo da problemi non meno gravi dei nostri. Perché non dovremmo farcela noi? Io mi sento un po’ come Don Milani, che la Chiesa non l’ha mai lasciata. Pur con tutti i problemi, con tutte le criticità, voglio continuare a far parte del Pd“.

ambiente, economics, Politica Aprile 16, 2013

Il partito che non c’è

Le bombe interrompono ogni filo, ti impediscono di pensare ad altro, ti costringono a tenere gli occhi fissi sul sangue e sulla morte. E’ difficile distogliere lo sguardo da Boston, stamattina.

Ma una cosa provo a dirla lo stesso, vediamo se mi riesce, sulla nostra assurda situazione politica (la deflagrazione in diretta del Pd è uno spettacolo inguardabile, che traccia una distanza definitiva tra la “politica” e cittadini, siamo tutti tremendamente stanchi, se almeno si trattasse di un conflitto sui contenuti…).

Mitezza. Manca, nell’offerta politica, quella mitezza che si accompagna al saldo buon senso, alla buona fede, manca quell’allegria che si prova quando in queste belle mattine di primavera spalanchi le finestre e ti guardi intorno: “Vediamo che cosa c’è da fare”, e cominci di buona lena a lavorare.

Sempre riflettendo sulla diatriba Vandana Shiva-Davide Serra e alla grande impressione che ha prodotto,  ho pensato che manca nel nostro Paese un “partito” che dica cose come queste (è Vandana che parla):

Occupate le terre così come occupate le piazze” ….

“Il sistema agricolo industriale consuma una quantità di energia 10 volte superiore rispetto a quanta ne produce sottoforma di alimenti”.   

 Il nuovo Rinascimento sarà consumare di meno

“Sono almeno 250 mila i contadini che in India sono morti suicidi a causa del cambiamento dei sistemi agro-alimentari imposti dalle multinazionali dell’agro-chimica attraverso i brevetti sul materiale vivente (vedere qui) ed in particolar modo sulle sementi”.

“Le economie che apportano vita si fondano sulle economie locali. Il miglior modo di provvedere con efficienza, attenzione e creatività alla conservazione delle risorse terrene e alla creazione di condizioni di vita soddisfacenti e sostenibili è quello di operare all’interno delle realtà locali. Localizzare l’economia deve diventare un imperativo ecologico e sociale”. 

Manca una forza che faccia diventare azione politica, o almeno che non ostacoli queste consapevolezze ormai ampiamente diffuse (vedi qui). Il Partito democratico, con l’importante eccezione di alcuni tra i suoi rappresentanti (mi riferisco, per esempio, a Laura Puppato e a Pippo Civati) è lontanissimo di qui, e non ha ancora riflettuto abbastanza sulle proprie responsabilità nella devastazione del territorio. Il Movimento 5 Stelle porta ottimi contenuti, ma manca di quella mitezza che dicevo, non confida in una forza tranquilla, è intrappolato in un involucro di rabbia che rischia di farlo implodere.

Questo vuoto politico chiede urgentemente di essere riempito, siamo in moltissimi e soprattutto in moltissime a volere andare in questa direzione, a guardare a questa stella polare.

 

 

Politica Aprile 8, 2013

#OccupyCamera?

Detto così, occupazione della Camera, fa un po’ impressione. Magari non lo faranno o sarà un’azione solo simbolica, un presidio o cose del genere, ma rinnovamento significa anche cambiare creativamente le forme della politica, inventarsi qualcosa che stressa le regole del gioco e fa prevalere la volontà politica. E del resto quando si dice “mandare lì tante donne”, e il discorso vale anche per il ringiovanimento della rappresentanza, si sta dicendo fare entrare nelle istituzioni ousider capaci di scaravoltare non soltanto le agende e le priorità, ma anche le forme della politica.

Il Movimento 5 Stelle minaccia un’azione clamorosa e irrituale per far partire le Commissioni parlamentari, ma anche Sel e un buon numero di parlamentari del Pd, tra cui Pippo Civati e Laura Puppato,  ritengono che non si possa più aspettare e che ci si debba mettere al lavoro da subito, senza attendere la soluzione del rebus del governo. La presidente della Camera Laura Boldrini è di questa opinione. Il presidente del Senato Piero Grasso, invece, parrebbe intenzionato ad attendere il nuovo governo. Quel che è certo, le cose da fare subito, i temi su cui legiferare non mancano, dopo un mese e mezzo di paralisi: per esempio la nuova legge elettorale.

Stiamo a vedere. Ma certo questo stallo non si può più sopportare.

Vedere un Parlamento finalmente al lavoro ci darebbe un po’ di ossigeno psicologico.