La mia maestra -ottima maestra, prealtro- ci obbligava ai codini e alle trecce, e alla bisogna ce li tirava. Metodo educativo opinabile, ma allora in voga.

Ho amici inglesi tirati su nei college a bagni ghiacciati: non credo che funzioni, tendenzialmente perverte. Ma tant’è.

Ma quello che stiamo vedendo da qualche tempo -bambini piccoli terrorizzati, schiaffeggiati, umiliati dalle educatrici, fino a quest’ultimo straziante episodio nel Vicentino del ragazzo disabile di 15 anni insultato e strapazzato dalla maestra di sostegno e dall’assistente sociale, entrambe ultracinquantenni: guardate qui, se ce la fate– impone una riflessione generale.

Può essere che la principale differenza tra oggi e ieri, a parte una mutata sensibilità, sia la possibilità di filmare questi episodi. Ma non si può non chiedersi -e soprattutto non chiedere a maestre ed educatrici- che cosa sta succedendo nel chiuso delle aule, e da che cosa si origina una simile insopportabile crudeltà. Ben sapendo che la stragrande maggioranza delle maestre e prof fanno parte a pieno titolo della categoria delle eroine, vista la dedizione con cui prestano il loro compito in cambio di stipendi imbarazzanti, in condizioni spesso difficili, senza alcun riconoscimento sociale e a volte facendo molto di più per i loro ragazzi di quanto le loro mansioni chiederebbero. Onore alla categoria, quindi.

Ma non si può fingere di non vedere, di fronte al moltiplicarsi di episodi come questi.

Di che cosa si tratta? Di mancata “vocazione”? Di frustrazione? O di franca propensione al sadismo? C’è qualcosa che sta capitando, nel mondo della scuola, e che dovremmo sapere? C’è sufficiente vigilanza? E’ frequente l’omertà, a coprire casi come questi?

Mentre vedevo il filmato delle maestre venete, picchiavo il pugno sul tavolo per la rabbia. Le avrei sbranate, se avessi potuto. Ma l’odio non porta da nessuna parte.

Pietà e compassione per la maestra cattiva: che sia punita com’è giusto. E che sia capito quello che le è capitato, perché non capiti mai più.