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AMARE GLI ALTRI, Corpo-anima, esperienze Novembre 13, 2010

ENERGIA PURA

Marina Abramovic The Artist Is Present Moma NY 2010

Vi capita mai, sentendo qualcuno che dice qualcosa, di restarne folgorati ed esultare: “E’ proprio quello che avrei voluto dire io”? Mi è successo di recente leggendo su “Repubblica” un’intervista alla straordinaria artista Marina Abramovic: “Credo che l’arte giungerà al punto in cui non ci saranno più oggetti, né quadri né sculture” ha detto. “Ci sarà soltanto una propagazione di energia”.

Lo scambio di energia è sempre stato al centro di tutte le sue performance, ma via via le mediazioni materiali si vanno riducendo. Ormai non le serve quasi più nulla. In una delle sue ultime opere, la primavera scorsa al Moma di New York (The Artist Is Present), Abramovic stava semplicemente seduta a un tavolo, immobile. Chiunque poteva sedersi di fronte a lei, sguardo nello sguardo, e per tutto il tempo che desiderava. Una corrente formidabile, prodotta semplicemente dalla sua disponibilità umana.

Questa è arte, perché offre un senso immediato per la vita. A me, solo a sentirne parlare –non sono stata a NY, ma a pensarci bene forse non mi sarei seduta lì, non avrei mai avuto il coraggio di un’emozione così nuda e intensa- dice qualcosa di decisivo. Cioè che il nostro essere è pura luce momentaneamente opacizzata dall’illusione della materia –il corpo-, a cui sovrapponiamo altri strati e strati: le cose, che non ci bastano mai. Le cose che produciamo e ci procacciamo, sempre di più, estensioni e protesi corporee, per trattenerci in quella illusione materica destinata fatalmente a finire.

Tutto questo mi provoca un’infinita compassione per noi stessi. E la certezza che il movimento dovrebbe essere uguale e contrario, come indicato da Abramovic: spogliarsi, liberarsi, abbandonare le zavorre, perdere per strada i nostri pezzi, essere fin da vivi il più possibile quell’energia sottile, quella sostanza di sogno, la pura luce che siamo. Tuffarsi nel suo flusso. Questo lo sanno fare solo i santi, i mistici e quelli che, appunto, chiamiamo illuminati, i quali arrivano a fare a meno perfino delle parole.

Ma ovunque, anche tra noi non-santi, vedo segni del mainstream: il diffuso desiderio di consapevolezza; il ritorno agli elementi, a materiali essenziali, come appena formati; la comunicazione veloce, semplice e incorporea del web, così vicina al puro pensiero.

pubblicato su Io donna – Corriere della Sera il 13 novembre 2010

AMARE GLI ALTRI, esperienze Ottobre 9, 2010

E NESSUNA PAURA

Ho pensato a quando rivedrò i miei morti. Ho visto quell’istante, se sarà un istante. E prima, se ci sarà un prima, mi parrà di vederli uno a uno, ma poi, se ci sarà un poi, saranno un indistinto d’amore. Tutto l’amore che ciascuno mi ha dato messo insieme a quello degli altri, un urto d’amore così forte che non lo saprò reggere e mi travolgerà, e mi scioglierò anch’io in Amore, risucchiata nel vortice di luce. E nessuna paura.

esperienze Luglio 11, 2010

QUANDO MORI’ MIO PADRE

Quando morì mio padre era un solstizio d’estate. Le sette di sera. Le rondini impazzivano, come fanno ora, nel cielo fuori dalle mie finestre. Le loro grida di felicità roteante. Io le odiavo. Loro erano vive, mio padre si accingeva a diventare un ricordo, le sue dita lunghe ed eleganti erano blu. Loro, le rondini fottute, inutilmente vive, nella loro serialità, una uguale all’altra, un garrito uguale all’altro. Anche le formiche erano vive, quelle emerite cretine, nel mio giardinetto. Mio padre era un pezzo di carne morta, e mio padre mi serviva, invece. Era molto utile alla mia vita, e se n’era andato con un ridicolo singhiozzo mentre io stavo guidando la macchina dalle parti di piazza Aspromonte, a Milano. Era rimasto lì, con gli occhi aperti e la cintura allacciata, di fianco a me. Mio padre. Quell’uomo così mite e comico. Il mio amore dalla bella bocca.

Adesso risento queste pazze delle rondini, e le amo. Mio padre sta roteando con loro in questa bellissima luce, e deve essere per questo che sono così felici, e io con loro. Quello che doveva compiersi si è compiuto.

esperienze Giugno 22, 2009

NOTTE DI SAN GIOVANNI (IL MIO PAPI)

Il 23 giugno di 15 anni fa il mio papà se n’è andato. Certe volte lo sogno, sogno che vive solo, un po’ sciupato, come lo sono gli uomini soli, da qualche parte del mondo. Io lo incontro e provo molta pena per lui: come farà a stare senza di me, senza di noi? E chi ha voluto allontanarlo dalla nostra vita? Gli dico: “Ma dove sei, papà? Come te la passi, tutto solo?”. E spero perfino che trovi qualcuno, una donna, che gli possa fare un po’ di compagnia.

Da 15 anni non sono più la bambina di nessuno, niente mi sarà più perdonato incondizionatamente. Domani andrò al cimitero, comprerò rose rosse e bacerò e ribacerò quella foto di ceramica, un po’ sbiadita dal sole, dove lui ride perché era una creatura ridente, sentendomi sempre più bambina a ogni bacio. Gli parlerò, ci proverò: al momento giusto mi mancano sempre le parole. Di solito dico solo “Ciao, papà”, e mi sembra di dire l’essenziale, mi sembra che lui non pretenda altro da me. Almeno lui. Poi me ne andrò di lì, compiacendomi per la mia forza e il mio coraggio, ma chissà mai che per una volta non mi sia fatta la grazia di qualche lacrima, dolente tra i dolenti che mi vedono mormorare davanti a un loculo, e accostare la bocca a una lastra intiepidita dal sole, e mi lasciano fare, senza giudicare.

15 anni, già 15 anni, e tutta la luce della notte di San Giovanni, la stessa di allora. Lui si chiama Giovanni, e andarsene al colmo della luce gli avrà reso più agevole il cammino verso la Luce.

AMARE GLI ALTRI, ANIMALI, esperienze Dicembre 21, 2008

IL BENE CHE RITORNA

Qualcuno l’ha stampato come biglietto di Natale, da mandare gli amici. Mi fa molto piacere! Nel caso vi servisse…

Il mio vecchio cane Tom è pieno di artrosi. Gli massaggio le spalle e la colonna, gli muovo le articolazioni arrugginite, sperando di dargli sollievo. Lui ricambia le mie energiche carezze con sguardo dolcemente grato. Si capisce che quanto meno non gli dispiace. E ogni volta, alla fine del massaggio, le mie spalle sempre contratte sono un po’ più sciolte, la mia colonna meno indolenzita. Come se qualcuno avesse massaggiato me, e proprio in quegli stessi punti.
L’ho provato anche con gli umani: un’“impastata” al trapezio di un amico, e anche il mio trapezio si è sentito meglio. Non so esattamente come capiti. Deve avere a che fare con il meraviglioso e misterioso meccanismo dei neuroni specchio, che evidentemente funziona anche tra specie diverse. Tu vedi qualcuno che ha due occhi, un naso, una bocca come la tua: o anche tratti diversi, da vivente di altra specie, ma antropomorfizzato dal tuo amore. Cogli sul suo viso espressioni di gioia, di paura, di dolore. E nel tuo cervello si attivano gli stessi circuiti neuronali- della gioia, della paura, del dolore- che presiedono alle emozioni manifestate dall’altro. Senti quello che sente lui, o quasi. Su questo meccanismo stupefacente si basa la possibilità di empatia tra soggetti diversi, e quindi l’esperienza del legame.
Così, stiracchiando il ginocchio del mio Tom, ho pensato che così come fargli del bene mi fa stare bene, fargli del male mi farebbe stare male. E che ogni volta che auguriamo il male a qualcuno, o gliene facciamo, credendo di trarne soddisfazione -per rabbia, per vendetta, per antagonismo-, l’urto del male investe anche noi. Il male che fai, come dice la saggezza popolare, “ti ritorna”. L’odio che provi ti infesta. L’invidia ti corrode. Al contrario, disarmarsi e astenersi dai cattivi sentimenti –non è poi così difficile: si tratta di cominciare, e pian piano ci si abitua-, o addirittura, scandalosamente, “amare il tuo nemico” e provare compassione per lui, lo lascia stupefatto e lo disarma a sua volta, spalancando il suo cuore all’unisono con il tuo.

Ho pensato a un regalo da farvi a Natale, cari lettrici e lettori, e ho scelto questo. Tanta felicità per la luce che ritorna.

(pubblicato su Io donna-Corriere della Sera il 20 dicembre 2008)

Archivio Agosto 30, 2008

UN FILO DI LUCE

Più che il caldo, l’estate per me è luce. Datemi un raggio di sole e io mi ci piazzerò sotto perpendicolarmente. Al mare, in città, nevrotizzata da ogni nube di passaggio che ne smorzi momentaneamente lo splendore, fuggendo l’ombra come uno spreco inammissibile. Patisco molto agosto, le giornate che si accorciano nonostante la mia strenua resistenza, i nidi lasciati vuoti dalle rondini, la mancanza del loro garrito gioioso, luce impazzita che canta.
Be’, sei depressa, mi direte. Soffri di SAD, Seasonal Affective Disorder. Curati. Comprati una di quelle lampade terapeutiche e piazzatici sotto. Ingurgita un po’ di melatonina, trasferisciti all’Equatore. E finiamola lì.
Come si fa a guadagnare un po’ di luce anche per la lunga teoria di mesi oscuri che ci si prepara davanti? Il crudele colpo di coda del caldo settembrino. L’illusione di certe splendenti giornate di ottobre. Quei tre giorni striminziti a San Martino, o Indian Summer -chiamatela come volete- e poi giù a precipizio nel lungo e tetro mese dei morti, giorno dopo giorno, verso le interminabili notti del solstizio. Io dico che il momento più duro è lì, tra metà novembre e Santa Lucia. E a questo punto non c’è che accettare. E possibilmente dormire, dopo l’ebbrezza della veglia estiva.
Ma c’è modo, mi domando, di tenere vivo e teso quel filo di luce che ci ricondurrà allo sfolgorio di giugno? Come si fa a tenere viva la vita –le domande si equivalgono- pur sapendo che si muore?
Si deve essere un poco visionari, io credo. Sentire l’estate anche in certe luminose mattinate di dicembre, quando favonio o tramontana spazzano il pulviscolo cittadino. Condividere l’ostinata fiducia del sempreverde, dispensato dalla spoliazione stagionale. Seminare fin d’ora certe pianticine –il Cedrino, per esempio, o Capsicum annuum- che con qualche accortezza daranno fiori a Capodanno, piccoli commoventi corolle bianche. Prepararsi quotidianamente al nuovo giro della luce, quei luminosi tramonti di gennaio. Salutare il sole ogni giorno, dargli una mano, specialmente quando non riesce a spuntarla sulla copertura nuvolosa.
E’ cercare la luce che illumina. Il viaggio è la meta.

(pubblicato su “Io donna” – “Corriere della Sera”  il 30 agosto 2008)

Archivio Giugno 24, 2008

BENVENUTI!

Bene, grazie ai primi che mi hanno scritto, benvenute e benvenuti a tutti.

Come vedete il blog è essenziale e al momento non ricchissimo di percorsi, privo di illustrazioni, filmati e così via. Fatto in casa, e dunque un po’ di pazienza. Si arricchirà strada facendo, spero, anche se non vorrei affollarlo a scapito dei contenuti.

Un appuntamento che vorrei quotidiano, se possibile, come il caffè e la luce del mattino.

A presto e di nuovo grazie per la velocità del feedback.

Archivio Maggio 29, 2008

UN POSTO MAGICO

C’è un punto preciso della mia casa, non più di un metro quadro di parquet -ci si sta a malapena in piedi- dove mi sono capitate diverse cose speciali. Lì ho carezzato per la prima volta la creatura non umana che più ho amato nella mia vita, un cucciolo biondo e dispettoso; lì una musica mi ha portato via; lì ho vissuto e sentito cose le cui conseguenze sarebbero durate negli anni a venire. L’ho scoperto per caso e di tanto in tanto mi ci fermo, d’istinto, senza programmarlo. E mi metto in ascolto.
C’è un mudra dello yoga, un gesto che ricorre in posture di preghiera comuni a molte tradizioni religiose – anche nel Padre Nostro cristiano, per esempio-, che favorisce l’ascolto e l’accoglimento di quello che deve venire: le mani lasciate morbide, il palmo rivolto verso l’alto, come in chi attende un dono o si dispone a un’attiva passività.
Non saprei dare una spiegazione di questo fenomeno, che un metro quadro del mio living sia il posto dove capitano certe strane cose. Il meraviglioso, mi verrebbe da dire. E del resto non è questione di spiegare, forse non tutto si aspetta di essere spiegato. Mi capita di trovarmi lì, tra una delle librerie e una portafinestra che accede al terrazzo, il viso a est e le spalle a ovest, gli occhi socchiusi, e la sensazione precisa di essere in un raggio di energia, qualcosa di luminoso che dal più profondo della terra sale in cielo, e mi permette di partecipare a questa unione. Il tempo si fa sferico, come un grembo, e non corre più. Non succede nulla, eppure capita tutto, e quando vuole lui.
Se fossi una donna primitiva lì probabilmente costruirei un piccolo recinto sacro, un tempietto sottratto alla legge dell’utile, alla fretta, alla violenza della ragione, alla paura. Ci metterei qualche oggetto a contrassegnarlo, mi inventerei qualche piccolo rituale di purificazione prima di entrarci. Le stesse cose antiche che fino dalla notte dei tempi gli uomini e le donne hanno fatto quando hanno sentito che in un certo luogo non erano più soli, e tutto era luminoso.
Ma non si può. Di lì ci passiamo frettolosamente tutti. Il cane ci galoppa con la sua pallina. C’è un’enorme tv al plasma a qualche metro. Resterà un segreto tra me e la luce.
(pubblicato su “Io donna”-“Corriere della Sera”)