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luca ricolfi

AMARE GLI ALTRI, Politica Febbraio 7, 2011

ANTIPATICI

Ne abbiamo parlato qui l’altro giorno, ma vale la pena di tornarci su, specie dopo il Palasharp e l’appello di Roberto Saviano a saper parlare all’Altro (l’altro-altro). Prima quello che diceva la mia adorata Etty Hillesum, di fronte, lei ragazza ebrea, dell’altro-altro-altro, l’aguzzino nazista:

Dobbiamo respingere la barbarie che è dentro di noi, e non dobbiamo riempirci di odio, perché altrimenti il mondo non sarà in grado di spostarsi di un centimetro dal fango in cui si trova“.

Leggere e meditare Etty, dunque, il Diario e le Lettere (Adelphi).

E poi un libro uscito nel 2005, a cui la gente di sinistra dovrebbe dare o ridare un’occhiata: Perché siamo antipatici? La sinistra e il complesso dei migliori, di Luca Ricolfi (Longanesi). Tema a cui accennavamo qui l’altro giorno. Ma vediamo con Ricolfi, sociologo di sinistra, che descrive il razzismo etico o il sentimento di superiorità morale e antropologica  del popolo di sinistra, dai vertici alla base più engagée. Questi i mali da combattere:

1) L’abuso di schemi secondari, ovvero le scappatoie contro l’evidenza. Le “scuse”, insomma, con cui giustificare i fallimenti delle proprie ideologie dinanzi agli altri e a se stessi. A destra «non esiste e non è mai esistito nulla di paragonabile all’immenso sforzo della cultura marxista di occultare i fatti – povertà, lavori forzati, repressione del dissenso – e di edulcorare le evidenze storiche dissonanti, dall’Unione sovietica alla Cina e a Cuba». Ci stanno arrivando anche loro, però (aggiungo io).

2) La paura delle parole, ovvero la dittatura del politicamente corretto che ha tabuizzato  parole come cieco (non vedente), vecchio (anziano), donna di servizio (colf), eccetera. Questo allontana dal senso comune della gente, che invece Berlusconi, con il suo linguaggio diretto, sa interpretare benissimo.

3) Un linguaggio «legnoso, infarcito di formule astratte». Berlusconi usa le parole per spiegare concetti,  la sinistra usa le parole per nasconderli anzitutto a se stessa. Si tratta di tenere insieme tutti gli alleati della coalizione, e troppa chiarezza non aiuta.

4) Il complesso di superiorità etica. L’idea dellele due Italie“: quella dei “giusti” contro l’Italia della barbarie. Veleno ancora in circolazione, l’altro giorno al Palasharp. L’idea di un elettorato, quello di centrodestra, che, «legge pochi quotidiani e pochissimi libri», pensa solo al calcio e al Grande Fratello.
Ecco, proviamo a ragionare un po’.
economics, TEMPI MODERNI Gennaio 14, 2010

UNA COSINA FINE

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Molto interessante, qualche giorno fa sulla Stampa, un bilancio degli effetti della crisi sull’occupazione a firma dell’economista Luca Ricolfi. Se vi era sfuggito, ve lo ripropongo in sintesi.

La perdita di 400 mila posti in due anni, dice Ricolfi, ha colpito i gruppi sociali più forti: “Per operai e impiegati i nuovi posti di lavoro hanno sostanzialmente eguagliato i posti di lavoro perduti… Per i lavoratori indipendenti, invece, le chiusure di attività hanno largamente superato le aperture, con un saldo negativo di 402 mila unità”. Quindi la crisi non ha colpito le fasce più deboli.

Ma la cosa sorprendente, nota Ricolfi, è questa: gli oltre 400 mila posti di lavoro perduti sono il saldo fra un crollo per gli italiani (quasi 800 mila posti di lavoro in meno) e un sensibile aumento per gli stranieri regolari (quasi 400 mila posti di lavoro in più)”. E  perché la crisi colpisce di più gli italiani? Spiega Ricolfi: “Il nostro sistema economico riesce a creare quasi esclusivamente posti di lavoro poco appetibili, che gli italiani rifiutano e gli stranieri accettano… Non per la ragione che molti immaginano, però, ossia a causa della bassa qualificazione degli stranieri. Il livello di istruzione degli stranieri è analogo a quello degli italiani (10,2 anni di studio contro 10,9). La differenza è che «loro» vivono in un altro tempo, che noi abbiamo dimenticato. Un tempo in cui l’importante era avere un lavoro, non importa quanto adeguato alla nostra immagine di noi stessi, un tempo in cui fare sacrifici era normale, un tempo in cui il benessere non era considerato un diritto”.

Bell’e che smontato l”argomento retorico e xenofobo secondo il quale “gli stranieri ci portano via il lavoro” -ammesso che ci lo usa ci abbia mai creduto davvero-. Quello che “ci portano via” è il lavoro che noi ci rifiutiamo di fare. Ed è su questo che vorrei riflettere con voi: dovremmo sentirci in colpa per le nostre “pretese”? Dovremmo ridimensionarci -downshifting, detto in modo chic- e scalare marcia?

Mi viene in mente la signorina snob di Franca Valeri: “Pronto, mamma? Ho deciso di cercarmi un lavoro. Ma una cosina fine…”.