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economics, lavoro Dicembre 19, 2011

I poveri che abbiamo in casa

Seguo il dibattito sull’art. 18 e provo a farmi un’opinione, senza pregiudizi.

Al momento dico solo che non è sopportabile che in uno stesso luogo di lavoro, a parità di mansioni, vi sia chi è garantito e non lo è -situazione che conosciamo bene tutti- e nemmeno che il sistema delle garanzie vada a esaurirsi con la progressiva uscita degli attuali assunti a tempo indeterminato, che nel prossimo futuro rischiano di diventare una vera rarità.

Dico che i poveri ce li abbiamo in casa, e sono i nostri figli, destinati, in assenza di nuove regole, a un precariato senza fine. Toccherà a noi doverli garantire, fargli da welfare, assicurargli un tetto, arrivare dove non arrivano, investire i nostri risparmi nella tutela delle loro famiglie. E poi?

Dico anche che non possiamo rinunciare, nemmeno in queste circostanze, a ragionare sulla qualità del lavoro e dell’esistenza. Che non possiamo sacrificare sull’altare delle garanzie il senso di un’intera vita. Conosco molti ragazzi che pur di non rassegnarsi all’alienazione di un lavoro deludente ancorché garantito, che non corrisponde affatto alle loro aspirazioni, riducono al minimo le loro pretese e rinunciano a perseguire l’idea del posto fisso. Una generazione di downshifter, nata e cresciuta nel relativo agio e pronta alla frugalità del molto-meno.

Si dovrebbe tenere conto anche di questo, nei ragionamenti. E ripensare tutta quanta la questione del welfare in questa prospettiva. Una parte consistente delle moltissime tasse che eroghiamo siano destinate a un sistema di garanzie che preservi il senso di ogni singola vita.

Anche questa è crescita.

 

AMARE GLI ALTRI, Corpo-anima, economics, esperienze, lavoro Dicembre 17, 2011

Lavoro a km zero: la soluzione quasi di tutto

coworking

Ieri a Milano sciopero dei mezzi e traffico impazzito. C’è vento di neve, per fortuna, che diminuisce gli inquinanti. Mentre litigavo con un tassista sulle liberalizzazioni, mezz’ora di viaggio a caro prezzo e sempre discutendo, ho pensato che il telelavoro, o lavoro a km zero sarebbe la soluzione di un sacco di problemi. Pensiamoci.

Oggi una parte notevole del lavoro può essere svolta “in remoto”, ovvero da casa o da dove si vuole, grazie alle nuove tecnologie di comunicazione, internet, skype e via dicendo, tutte a basso costo e pulite. Questo significa non esigere di detenere fisicamente i dipendenti, ma pretendere prestazioni valutabili quantitativamente e qualitativamente. Da questo discende un notevolissimo alleggerimento del traffico urbano nelle ore di punta, la spaventosa transumanza inquinante delle 8 del mattino e delle sei di sera, a cui possono esere aggiunte misure di limitazione del traffico, di potenziamento dei mezzi pubblici, oltre a piste ciclabili, car sharing eccetera, misure che da sole sono solo palliativi.

A ciò va aggiunto il risparmio di carburanti e in generale il risparmio energetico che si produce smantellando quegli enormi e costosissimi luoghi di detenzione che sono le aziende, che vanno riscaldate, refrigerate, illuminate, etc., oltre a una maggiore produttività: un sacco di gente passa molto tempo negli uffici a smanettare online in attesa di svolgere qualsivoglia compito, mentre si dovrebbe organizzare il lavoro sulla effettiva produttività e sulla qualità dei prodotti.

Un altro effetto virtuoso sarebbe un miglioramento della qualità della vita familiare e una rivitalizzazione dei quartieri, che non sarebbero più dormitori ma luoghi di vita. I bambini piccoli non dovrebbero più essere depositati nei nidi alle sette del mattino -altre auto sgasanti-, ci si potrebbe organizzare con servizi flessibili e modulari per il baby sitting e anche per la spesa e altre necessità, magari all’interno dello stesso condominio. Chi non può lavorare in casa potrebbe raggiungere a piedi o in bicicletta un “ufficio condiviso” o postazione di coworking, organizzando liberamente i suoi tempi. La comunità locale diventerebbe il baricentro di tutto, lavoro e vita non sarebbero più separati, le relazioni non si limiterebbero alla sterile colleganza, la condivisione sarebbe ben più estesa e feconda. Le città diventerebbero più belle, perché più curate e vissute. E si potrebbe continuare molto a lungo. Io lavoro da anni in questo modo e benissimo, ma siamo ancora troppo pochi.

Durante la campagna elettorale avevo proposto che la grande macchina amministrativa comunale diventasse laboratorio trasparente di questa utopia concreta, modello sperimentale virtuoso ed epicentro di una vera rivoluzione urbana e metropolitana.

Siamo sempre in tempo.

Donne e Uomini, economics, Politica Novembre 15, 2011

Vendere la pelle dell'orsa

http://video.repubblica.it/dossier/crisi-italia-2011/consultazioni-ecco-le-rappresentanti-delle-donne/80841/79231

Come potete vedere qui,,

semplicemente orribile la consigliera di parità Alessandra Servidori
a colloquio con Monti.
Gli promette che saremo donnine di buon senso,
che non chiederemo misure a sostegno del lavoro,
che non chiederemo servizi,
che saremo carne da macello,
materia prima sempre disponibile.
E di rappresentanza non parla neanche di striscio.
Speriamo che Alessandra Servidori
vada a casa a presto a tirare lo spazzolone,
come lei augura a tutte noi.
Che si vergogni.

Ha venduto la pelle dell’orsa pro domo sua.

Not in my name.

AMARE GLI ALTRI, Donne e Uomini, lavoro Febbraio 22, 2011

GUERRA ALLE MAMME

Una storia che mi arriva via FB. Somiglia di sicuro a quella di tante.

Ciao, sono mamma da poco più di un anno, avevo un buon lavoro, e con buono intendo che lo stipendio era pagato con precisione ogni mese, dal 2007. Nel 2008 mi hanno chiesto se conoscessi qualcuno interessato al lavoro ed io proposi una mia cara amica che avrebbe accettato solo se le fosse stato concesso un part time, avendo già un figlio. E così fu.

Con il passare degli anni la vita, quella vera fuori dall’ufficio, scorreva: mi sono sposata e l’anno scorso è nata la dolcissima Lavinia. A novembre rientro al lavoro, con le due ore di permesso per l’allattamento, e a gennaio iniziano i problemi: mi impongono di entrare più tardi due volte a settimana (usando le 2h di allatamento prima) per uscire alle 18:00 e viene chiesto alla mia collega di sacrificarsi e allungare i suoi 2 giorni di part time più lunghi dalle 4 alle 6. Nel frattempo, a dicembre, avevo chiesto anche io il part time una volta che Lavinia avesse compiuto un anno. La “capa” sembrava disponibile e ci ha proposto di continuare con questi turni per sempre, anche se il mio part time era comunque di 35 h a settimana contro le 25 della mia collega. Ma a me sarebbe andato bene.
Insomma, la “Capa” aveva un piano: era convinta che la mia collega non avrebbe mai accettato questo cambiamento definitivo ma non aveva calcolato fattori quale l’amicizia e la gratitudine. Quando la mia collega le ha comunicato la sua decisione a mio favore la capa si è ammutolita, e, due giorni prima il compimento del primo anno di Lavinia mi telefona e, candidamente, mi dice di aver cambiato idea e che dal lunedì successivo sarei dovuta tornare al mio orario originario 9,00-18,00.

Ora sono a casa in malattia di Lavinia, e non ho intenzione di tornare, ho bisogno di lavorare e ho mandato decine e decine di cv con la richiesta di un lavoro part time, ma la cosa ancora più assurda è che non posso neanche licenziarmi altrimenti non avrei diritto all’indennità di disoccupazione. Mi tocca tenere duro, io che dura non lo sono, per il mio bene e di mia figlia. Ho anche pensato che in fondo ce la potrei fare a sopportare nove ore al giorno di silenzio e tensione ma poi penso che ora c’è Lavinia… e quindi sono costretta a stare a casa senza più lo stipendio.
Questo è uno sfogo sicuramente comune a tante mamme ma è anche una denuncia di quanto una donna di 50 anni senza figli e ancora piacente possa essere crudele verso un’altra donna.

esperienze, TEMPI MODERNI Dicembre 3, 2010

ITALIA 2010: INFELICITA' SENZA DESIDERI

Traggo in velocità da Libero.it.

Un’Italia “appiattita” che stenta a ripartire. E’ l’analisi del Censis, contenuta nel 44esimo Rapporto sulla situazione sociale del Paese 2010, presentato oggi a Roma dal presidente del centro studi, Giuseppe de Rita e dal direttore generale, Giuseppe Roma. Il Censis registra un “declino parallelo” della legge e del desiderio.

LE REGIONI – In alcune regioni a complicare la situazione è la presenza della criminalità organizzata, radicata specialmente nel Sud Italia (soprattutto in Sicilia, Puglia, Calabria e Campania). Molti dei provvedimenti varati negli ultimi anni, scrive il Censis, hanno avuto un modesto impatto reale. Da qui il venir meno della fiducia nelle lunghe derive e nell’efficacia delle classi dirigenti. Di là dai fenomeni congiunturali economici e politico-istituzionali dell’anno, suggerisce il Censis, “adesso occorre una verifica di cosa è diventata la società italiana nelle sue fibre più intime“.

LAVORO AUTONOMO IN DECLINO – Diminuisce il lavoro autonomo, notoriamente motore che allontana dalla crisi, difatti si puo notare un calo del 7,6%: dal 2004 al 2009 c’è stato un saldo negativo di 437 mila imprenditori e lavoratori in proprio. Cresce la disoccupazione nei primi due trimestri, pari al 5,9%, rispetto allo 0,9% della media europea. Nel nostro Paese sono 2.242.000 le persone tra i 15 e i 34 anni che non si dedicano allo studio, non lavorano e neppure cercano un impiego, anche perchè, come da loro dichiarato, alcuni lavori sono meno interessanti e appetibili.

ITALIA E L’EUROPA – I motivi della crisi economica vanno ricercati, secondo il Censis, anche in altri fattori e, soprattutto, nel confronto con quanto accade all’estero. Tra il 2000 e il 2009 il tasso di crescita economica italiana è stato più basso che in Germania, Francia e Regno Unito. Il made in Italy diminuito dello 0,3% su scala mondiale, attestandosi su una quota di mercato globale del 3,5%. A risentirne maggiormente sono stati i comparti a maggiore tasso di specializzazione, dalle calzature ai mobili, notoriamente orgoglio nazionale all’estero. E non è tutto: l’Italia non sfrutta a pieno una ripartizione flessibile degli orari lavorativi. Ed è inoltre,  in Europa, quella in cui meno si osservano modelli di partecipazione dei lavoratori agli utili dell’azienda: ciò avviene solo nel 3% del totale, contro una media europea del 14%..

MATTONE BENE RIFUGIO – Secondo italica tradizione, il 40% degli intervistati dice di non avere risparmi a disposizione, ma i nuclei familiari che possono investire nutrono eterna fiducia nel mattone. Nel 2010, dopo tre anni di recessione, è in leggero progresso la compravendita di case, in salita d el 3,4 per cento. Per il 22,7% degli italiani, investire nel mattone è il miglior canale per investire dei capitali.

IL DESIDERIO – Sono evidenti manifestazioni di fragilità sia personali sia di massa: comportamenti e atteggiamenti spaesati, indifferenti, cinici, passivamente adattativi, prigionieri delle influenze mediatiche, condannati al presente senza profondità di memoria e futuro. E una società appiattita “fa franare verso il basso anche il vigore dei soggetti presenti in essa”. Così all’inconscio, ammonisce il Censis, manca oggi la materia prima su cui lavorare: il desiderio. “Tornare a desiderare è la virtù civile necessaria per riattivare la dinamica di una società troppo appagata e appiattita”, è la ricetta proposta.

Aggiungo io: noi donne siamo piene di desideri. Lasciateci fare.

lavoro, WOMENOMICS Ottobre 23, 2010

MINIMI VITALI

Leggo da qualche parte che un buon clima aziendale non solo fa bene alla salute dei dipendenti, ma incrementa anche i profitti dell’azienda. Il dipendente meno stressato è più produttivo. Grande scoperta. Ci volevano degli studi. Anche le mucche felici fanno più latte. Ma la muccologia è più avanti della lavorologia.

In Italia il 27 per cento dei lavoratori, uno su quattro, soffre di stress legato alla propria attività, causa di oltre la metà delle giornate di lavoro perse in un anno. In altre parole, per così dire più foucaultiane, i corpi detenuti soffrono. Specialmente se detenuti inutilmente 8 ore, quando con le nuove tecnologie, in un paio d’ore in remoto e senza il patimento dei tempi morti, nelle loro case o dove pare a loro e non in quegli orridi open spaceIl sadismo non fa profitti. –che Dio riservi un girone dell’inferno a chi li ha inventati- potrebbero sbrigare tutto il lavoro della giornata.

In particolare, secondo lo “studio”, sembra che il nido aziendale migliori molto l’umore dei lavoratori, soprattutto quello delle lavoratrici, e corrisponda a un tot per cento di aumento della produttività. E ti credo. A) hai un nido, il che è già un miracolo; b) non ti devi sbattere alle otto del mattino nel traffico con il piccolo ancora caldo di sonno legato nel seggiolino per portarlo nel suo “deposito” diurno; c) hai il bambino lì, a pochi metri, puoi scendere ad allattarlo o a dargli il biberon, a fargli una coccola, a sentire se scotta. E’ moltissimo. Ma, dico io, è anche molto poco.

Non si tratta di portare i bambini in azienda. Semmai dovrebbe essere il contrario: portare l’azienda dove sono i bambini. Spostare il lavoro più vicino alla vita. Riorganizzarlo in modo che la vita non sia un ingombro, ma il centro di ogni logica produttiva. In modo che la forbice tra produzione e riproduzione si riduca il più possibile. Ripensare l’ordine delle priorità.

La femminilizzazione del lavoro è soprattutto questo: quantità che diventa qualità, e a vantaggio di tutti. Delle donne, dei bambini, e anche degli uomini, ormai molti, che sono stanchi di vivere in questo modo.

Il minimo vitale è sempre una pessima misura.

pubblicato su Io donna-Corriere della sera il 23 ottobre 2010

Donne e Uomini, TEMPI MODERNI Luglio 17, 2010

ATTENTI A QUEI DUE

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Spesso delle cose cogliamo solo l’aspetto più triviale. Per esempio questa faccenda delle donne mature che si accoppiano con ragazzini. E non per ragioni di apprendistato, come da antica tradizione –le rinomate navi-scuola– ma proprio per averci una storia organizzata, baracca e burattini. Cougar Town, per farla breve. Dicono che sia la perfezione: l’impeto di lui, l’esperienza di lei. La sapienza e il vigore.

Bene, inorridisco solo al pensiero. Non giudico, ma non fa per me. E nemmeno per le mie amiche, spero: non ho alcuna intenzione di dover stare lì a raccogliere cocci di tardona abbandonata dal pollastro che a un certo punto prende il largo con una squinzietta coetanea. Nove su dieci finisce così, potete scommetterci. Con gli ormoni e con i geni non si scherza. Ma perché gli uomini sì e le donne no? –sento già il rombo della sexual correctness-. Loro possono, con le ragazze: e allora noi? Non credo alla parità, su nessun fronte. Figuriamoci su questo. E non chiedetemi particolari. Ho poco spazio, e vorrei dire altro.

Quel rapporto che dicevo, lei matura e lui ragazzino, da un certo punto di vista invece mi convince molto. Quello sessuale è solo il volgare epifenomeno: c’è ben altro. Una complicità, un’alleanza naturale. Il fatto di intendersi su un punto: la necessità di un maschio nuovo, post-patriarcale.
Lo cerca lei, sfinita dai conflitti, dalle difficoltà di relazione, dal mancato rispetto, dai soffitti di cristallo. Ma lo cerca anche lui, impossibilitato a identificarsi con quel vecchio prepotente-sedicente signore del creato che non lascia spazio a nessuno, si pappa tutte le risorse, pretende di continuare a decidere da solo, taglia fuori le donne e, saturnino com’è, sbrana i giovani pretendenti alla successione.
Sul lavoro, tanto per dirne una, la coppia cougar va a meraviglia: lui che le riconosce autorità senza sentirsi diminuito, lei corroborata dal suo sguardo grato. Entrambi in cerca di un modo nuovo di intendere il lavoro, finalmente non separato dalla vita, contro il management ancien régime.
Altro che sesso: questo sì, che è un pericolo per l’establishment. Attenti a quei due.

pubblicato su Io donna-Corriere della Sera il 17 luglio 2010

AMARE GLI ALTRI, economics Luglio 5, 2010

UNA MANO, AMICI

solidarietà

Una mano a questo signore, se vi viene un’idea. Nel caso scrivete a me, e vi do il contatto:

Mi chiamo G. T. e mi scuso per l’intrusione, ma credo che capirà.

Sono alla ricerca di un lavoro, essendo disoccupato da più di tre anni (iscritto al centro per l’impiego della mia città), 48 anni, due figli a carico, moglie anch’essa inoccupata, laurea in economia e commercio, diploma di maturità tecnica industriale statale, corso di microsoft office, corso di lingua inglese, attestati vari, ecc…, ed ho urgenza di lavorare quanto prima. Ho inviato molte mail, per la ricerca di un lavoro, ad aziende, imprese, società, fondazioni, associazioni, studi professionali, gruppi bancari, ecc…, ma tutti, puntualmente, mi hanno detto “le faremo sapere…”, solo che, nel frattempo, la mia richiesta di aiuto per un lavoro finiva nel dimenticatoio. Ho anche spedito per lettera postale, ed inserito (alcuni anni fa, con aggiornamenti vari) nella sezione “Lavora con noi” di tanti siti web, il mio curriculum vitae, ma niente è successo. Quindi, ho deciso di inviare e-mail anche ad indirizzi che incontravo durante la ricerca, nel caso si presentasse una coincidenza di lavoro di chi leggeva. Certo ci vuole fortuna.

Non posso continuare a sperare, tanto di speranza non posso più vivere. Ho bisogno di una opportunità concreta. Esiste tanta indifferenza.

Pertanto, Le chiedo: è possibile sapere degli indirizzi e-mail di conoscenti/amici, suggerimenti, altro, (di Milano e/o Roma) a cui poter mandare il mio curriculum vitae?

Sono un padre di famiglia in difficoltà, potete aiutarmi?

Scusandomi per il disturbo e in attesa di una Sua risposta, Le mando i miei migliori saluti.

Buona giornata,

G. T.

Donne e Uomini, esperienze Giugno 5, 2010

UN PO’ DI TEMPO PER ME

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Che cosa vi fa venire in mente l’espressione “un po’ di tempo per me”? A me un massaggio. Non si capisce perché. Io massaggi non ne faccio mai. Detesto avere addosso mani che non conosco. Ma c’è questo stereotipo della donna che trova “un po’ di tempo per sé” e allora beata si concede un massaggio, una seduta dal parrucchiere –noia mortale-, o una di quelle corsette idiote sul tapis rulant. Ma quello non è affatto tempo per me. Piuttosto faccio i vetri. Mentre tiro la carta di giornale e scruto gli aloni in controluce, lo spirito si libera e va dove vuole.
C’è quest’idea che il tempo per te è quello che sottrai agli altri: finalmente per i fatti tuoi, coiffeur a parte. Ritorno a un’omeostatica solitudine. Sarà perché la vita femminile è sempre un crocevia per le vite altrui: dal tuo corpo passa di tutto. E non nego che di tanto in tanto un bel filmetto senza che nessuno ti interrompa per chiederti “dove hai messo le mie mutande?”, un sorso di vino da meditazione in cucina, in pace, mentre i barbari sono allo stadio… be’, ci sta. Ma quelle sono semplici pause. Del “tempo per me” ho un concetto più alto. Il tempo per me è quello in cui ci sono tutta, per quella che sono. Tempo non alienato, marxianamente parlando. Ed è tutto da dimostrare che più stai per i fatti tuoi e meno alienata sei.
Gli altri fanno parte fin dal principio del misterioso ente che chiamiamo “io”. Non è che stanno solo lì fuori –non-io- a disegnarne i confini e a limitarne i movimenti. Ci passano attraverso, sono il nostro scheletro spirituale, senza il quale ci afflosciamo e dissecchiamo come meduse spiaggiate. Alle spalle di ogni individuo c’è una relazione, e il panorama davanti è tale e quale. Il tempo per me, in cui ci sono tutta per quello che sono, è pieno di gente, di pensieri per gli altri.
Il lavoro da fare, allora, non è semplicemente quello di prendersi qualche pausa, che pure può servire. Si tratta piuttosto di fare diventare gran parte della nostra vita tempo per noi, in cui ci siamo tutte e tutti, interi, per quello che siamo. A casa, sul lavoro, in qualunque circostanza. E’ trasformare le nostre vite in tempo da vivere pienamente, e non in apnea, nell’attesa di tempi migliori. Il tempo migliore è adesso.

pubblicato su Io donna-Corriere della Sera il 5 giugno 2010

Donne e Uomini, WOMENOMICS Marzo 27, 2010

PRETENDIAMO CHE SIA FEMMINA

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Speriamo, anzi pretendiamo che sia femmina. Quando fanno un bambino con fecondazione assistita, 2 coppie americane su 3 scelgono rosa. Se in Cina mancano all’appello per aborto selettivo 100-200 milioni di bambine, nel nostro West femmina=prosperità, meno problemi, sonni tranquilli. “Beata te che hai una ragazza”, è la litania delle madri di maschi. Determinate, idee chiare, brave a scuola: 6 laureate su 10. Fra vent’anni saranno il 70 per cento delle matricole. Vere guerriere. Le uniche a poter competere con i giovani lupi in arrivo dall’ex-terzo mondo. “Dimenticate la Cina, l’India e Internet: la crescita economica sarà trainata dalle donne”. Saranno loro a portarci fuori dalla man-cession, scrive The Economist, che all’onda Womenomics sta dedicando grande attenzione.
Eccolo, il nuovo mainstream. Un mondo sempre più women friendly per Giulia, Martina ed Emma che avranno vent’anni nel 2016. Le nostre bambine terranno le briglie della loro vita, e a quanto pare anche del mondo. Più ricche dei loro partner: tempo 20 anni e guadagneranno più degli uomini.
Quanto ai consumi, sono già leader. In America l’80 per cento degli acquisti è deciso dalle donne -qui siamo sul 60-. 53 auto su 100 le comprano loro, tanto che “i designer hanno cambiato perfino la forma delle maniglie delle portiere perché si adattassero alle nostre unghie più lunghe”, informano Claire Shipman e Katty Kay in Womenomics-Scrivi le regole per il tuo successo (Cairoeditore). Giulia, Martina ed Emma le vorranno più sicure e capienti, con il posto per spesa, bambini e cani. Ma anche più convenienti ed ecosostenibili. Le nostre bambine saranno consumatrici accorte, consapevoli, interattive. Non sarà facile prenderle in giro. Vorranno emozioni, non solo cose. Sempre meno fashion-oriented, orientate a una neo-frugalità. E acquisteranno online: secondo Forrester Research fra 5 anni un italiano su 3 comprerà in rete. Anche la tecnologia dovrà tenere conto delle “native digitali”: le donne comprano già metà dei computer. Dice il neocommendatore Roberta Cocco, direttore Marketing Centrale di Microsoft Italia, e responsabile di futuro@lfemminile che “se i ragazzi usano le tecnologie anche per giocare, le ragazze le utilizzano soprattutto per socialità e amicizia”. Sono l’80 per cento, sui social network. Il design dovrà essere meno freddo, più empatico.iodonna_V
E’ per fare profitti, e non in omaggio alla parità, che il mercato dovrà diventare womenomics. Il malloppo sarà in questa metà del cielo. Per capire che cosa vogliono le donne dovrà ascoltare Giulia, Martina ed Emma, e chiamarle a decidere nei board e nelle stanze dei bottoni. Ma lì le nostre ragazze vorranno starci a modo loro, non come uomini, ridisegnando organizzazione del lavoro, processi decisionali, idea di leadership. Cucendosi addosso il potere come un vestito su misura. Le imprese dovranno darsi una mossa per non restare fuori dal giro. Come spiegano Avivah Wittenberg-Cox e Alison Maitland in Rivoluzione Womenomics (Sole24ore), già oggi quelle con 3 o più direttori donne segnano +83 per cento del capitale netto, +73 per cento di utili sulle vendite, +112 per cento di rendimento del capitale investito.
Anche la politica dovrà essere women friendly. Le nostre bambine hanno uno spiccato senso civico, sono meno portate al “bowling alone” dei maschi. Se il mondo, come proclama il Fondo delle Nazioni unite per la popolazione, si aspetta di essere salvato da loro, dovrà aprire le orecchie e stare a sentirle.
Con tutti questi pesi sulle spalle, le nostre bambine saranno stressate. Tenderanno a fumare, a bere, a mangiare male. Bisognerà insegnare loro a prevenire. Meditazione e yoga, per restare in equilibrio. Uno stress aggiuntivo verrà dal nostro connaturato maschilismo. “Il modello globale, nordico e anglosassone, si scontrerà con le resistenze italiane” dice Francesca Sartori, docente di sociologia generale a Trento. “La tensione fra le aspettative e la realtà potrebbe farsi insopportabile”. Conferma Carmen Leccardi, docente di Sociologia della Cultura a Milano-Bicocca, da sempre attenta ai giovani: “Le ragazze vivono con grande slancio, si sentono pari, protagoniste. Il rischio è che non trovino nella società quello che si aspettano. Bisogna insegnare loro un maggiore realismo”.
Qualcuna sente già odore di bruciato. Negli Usa molte studentesse brillanti fuggono dalle facoltà di Economia.
Anche da noi ci sono ragazze che “si bloccano negli studi” dice Marisa Fiumanò, psicoanalista che anima “Edipo all’Università”, consultorio psicologico della Bicocca “come schiacciate dal carico di aspettative”. Il prezzo del protagonismo potrebbe essere alto. Anche sul fronte della vita personale.
“Sono deluso dalle ragazze di oggi” scrive su un blog un giovane maschio. “Acide, nevrotiche, perfide, fredde, egoiste, arroganti, strafottenti... fredde robot senza sentimento, stronzette orgogliose. Si sentono superiori, e a te che le guardi ti fanno sentire un idiota”.
Ogni autoaffermazione femminile riduce le capacità di seduzione”, avvertiva nonna Simone de Beauvoir. Gli uomini non ci trovano affatto adorabili per i nostri successi. L’ambizione femminile affatica le relazioni. Per Giulia, Martina, Emma potrebbero essere faticosissime. How To Be The Best At Everything, Come essere meglio in tutto: titola un manuale americano per fanciulle. Ma sul fronte corpo-sessualità-sentimenti le stiamo lasciando sole. Ed ecco certi strani acting-out.
Meno di due anni fa in un liceo di Gloucester, Massachusetts, 17 ragazzine si sono fatte mettere incinte in simultanea per “crescere i bambini insieme”. Sul Corriere una prof milanese racconta di una decina di ragazze in attesa nella sua scuola. Ogni cento bambini che nascono alla Mangiagalli di Milano, 10 non hanno papà: di questi, almeno 5 per scelta delle mamme. In Italia ci sono 10 mila teen-mother, con tendenza ad aumento. Negli Stati Uniti sono 800 mila l’anno. La fantasia fai-da-te è piuttosto diffusa. Realizzabile, avendo soldi in tasca. Quel che è certo, la maternità si è riposizionata al centro, enorme novità rispetto alle prime emancipate. Se la coppia con il partner è eventuale, il nucleo madre-bambino è essenziale.
Le nostre bambine perfette usciranno di casa prima dei maschi. Faranno sesso senza inibizioni: “La frigidità non esiste più” dice Marisa Fiumanò “i problemi semmai si pongono sul legame”. A intermittenza, sogneranno l’amore: “Sono più addestrate al sogno infranto” dice Chiara Gamberale, che ha scelto una ragazzina sui 15 come protagonista del suo nuovo romanzo. Ma la solitudine, vista l’esperienza delle madri, sarà messa nel conto. Per questo le amiche saranno sempre più importanti. Fare network, e non solo per la carriera. La rete ti protegge, ti fa sentire a casa. L’invidia tra donne diventerà un vecchio arnese.

pubblicato su Io donna-Corriere della Sera il 27 marzo 2010