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Politica Luglio 15, 2015

Milano è bella. La sua politica meno. E Del Debbio è un candidato temibile

A Milano la notizia politica del giorno sono due: le dimissioni della vicesindaca Ada Lucia De Cesaris e la possibile candidatura a sindaco per il centrodestra di Paolo Del Debbio, giornalista Mediaset già assessore della giunta Albertini. Candidato perfetto: precedente esperienza amministrativa e profilo televisivo e super-pop. Piace a tutte le componenti del centrodestra e chiede democraticamente le primarie, tanto sa che le vince.

Il fatto è che potrebbe vincere anche le elezioni: è piuttosto famoso, sa parlare alla pancia della gente, ha un’aria rassicurante, lontana dagli estremismi salviniani. Insomma, sembra fatto apposta. Ero sicura che la scelta del centrodestra sarebbe stata di questo tipo: ragionevole e televisionabile.

Ho incontrato per caso nel fine settimana il neoassessore all’ambiente della giunta Toti in Liguria, Giacomo Raul Giampedrone. Uomo giovane, fattivo, ambizioso, eccitato dal grande spirito unitario -anche solo tattico- che si respira in regione e che sta prendendo piede un po’ ovunque nel centrodestra, in preparazione delle nuove sfide elettorali.

Nel frattempo il centrosinistra è triturato, la prospettiva ventennale di Matteo Renzi -colpa solo sua- si è ridotta a un biennio, non ne imbrocca una neanche a piangere, manda i capataz al Nord a fare disastri -l’ex-sindaco di Lodi che dà ordini a Milano! Roba da Cinque Giornate-, e lo “spara a Renzi” potrebbe diventare la specialità delle prossime amministrative, stile Venezia. Le primarie si faranno, anzi no. Si faranno a dicembre o gennaio, anzi no, vanno fatte subito. I candidati saranno due, 18, 50. Il sindaco ha annunciato dimissioni un anno prima, e la giunta lavora con l’affanno da campagna. E la vicesindaca De Cesaris pensa bene di dimettersi: gesto non esattamente responsabile, se vogliamo, con un sindaco già dimissionario. Mezzo Pd le vota contro su un’area cani da 20 mila euro, lei si imbufalisce definitivamente e sbatte la porta. Un pezzo del Pd esulta, la dirigenza la supplica di restare, le reazioni in giunta sono tra l’indignato e il tiepido, dicono che lei voleva candidarsi sindaca ma non è stata sostenuta, e ora che cosa farà? Ci proverà lo stesso? oppure no? Quante liste civiche ci saranno? E quante liste civetta? Insomma, un vero rebelot, come si dice con un francesismo dialettale.

Amiche e amici romani, del Sud, di ogni dove, che mi dicono: Milano è bella. E’ la prima volta, in tanti anni, che me lo sento dire. Ieri sera sono stata a una festa dance nello spirito della storica discoteca Viridis. Un caldo atroce, tanti vecchi amici, una strepitosa vitalità. La città è in gran forma, nevrile, allegra, i motori al massimo, finalmente un ciclo positivo, clima anni Sessanta. Verrebbe voglia di passarci l’estate, come la si passa a Londra e NY, non c’è modo di annoiarsi, a parte il gran caldo spiace partire.

Basterebbe dire questo: Milano è bella, ora fateci finire il lavoro. Per farla diventare ancora più bella. Per dedicarci a quelle che cretinamente si continuano a chiamare periferie, valorizzando il bello che già c’è e portandocene di nuovo. Facendo di Milano una metropoli modello. Siamo sulla buona strada, è cominciato un nuovo ciclo virtuoso. Basterebbe questo, e una riduzione complessiva del tasso dei narcisismi, vera peste della politica.

Il tempo per cambiare musica è pochissimo.

 

16 luglio: ottimo commento dell’amico Ivan Berni, La Repubblica

DE CESARIS, L’IRRESPONSABILITA’ DELL’AMBIZIONE

Da Repubblica, Milano, 16 luglio 2015

Le dimissioni della vicesindaco e assessore all’urbanistica Ada Lucia De Cesaris sono un guaio molto serio. Lo sono per la forma, i tempi e la sostanza, tuttora misteriosa, a meno di considerare una ragione seria il voto del Pd su un’area per i cani a Santa Giulia, alla quale De Cesaris era contraria. Sono un guaio per il centrosinistra milanese, per Il credito del sindaco uscente Giuliano Pisapia e lo sono per una città che deve fare i conti con il dopo Expo, la grande partita delle aree Fs, la destinazione dell’ex trotto a San Siro, i docks della Stazione centrale, i progetti sulle aree ex Enel al Monumentale. Una città che fra dieci mesi dovrà votare per la nuova amministrazione di Palazzo Marino. Pisapia deve metterci una pezza rapidamente, aprendo un confronto aperto con la città sui grandi nodi irrisolti dell’urbanistica e dando un segnale di saldezza. Ma sia che il sindaco riesca a convincere De Cesaris a tornare sui suoi passi sia che nomini un nuovo responsabile dell’Urbanistica, un danno enorme è già stato fatto. L’uscita di scena della vicesindaco ha infatti incrinato pesantemente la credibilità dell’amministrazione su due punti chiave: l’affidabilità e la responsabilità. La destra se n’è accorta e infatti brinda. Sul primo punto vale poco o nulla dire, come è stato fatto, che sull’urbanistica “il lavoro è stato completato”. Non è così, con tutta evidenza, considerando non solo le urgenze come il dopo Expo, (che scatta dal 31 ottobre di quest’anno, non nella prossima legislatura) ma anche la quantità di progetti che attendono scelte definite e di problemi tuttora aperti. Quanto alla responsabilità c’è da rimanere attoniti di fronte alle motivazioni fornite da De Cesaris sulle dimissioni. Sarebbe venuto a “mancare il rapporto di fiducia” con una parte della maggioranza. Per l’area cani a Santa Giulia? Ma se si tratta di questo c’è da domandarsi di cosa sia fatta la fiducia di cui lamenta il crollo l’ex vicesindaco. Chi governa con responsabilità di primissimo piano una città come Milano non può (non dovrebbe, si intende) abbandonare l’incarico per una quisquilia simile. E se lo fa vuol dire, banalmente, che si tratta della persona sbagliata al posto sbagliato. Ma se c’è dell’altro occorrono spiegazioni pubbliche. Senza reticenze o titubanze di sorta. Dica l’avvocato De Cesaris a proposito di cosa, quando e in che circostanze sarebbe crollata la fiducia. Lo dica subito, bloccando la spirale dei sospetti e anche una grottesca corsa alla solidarietà che si sta sviluppando in questi giorni sui social network, per cui c’è chi la rimpiange aggiungendo che senz’altro ci sarà una buona ragione per andarsene, che tuttavia rimane oscura.
In realtà trapela in controluce un’altra spiegazione di questo vero e proprio colpo di teatro. De Cesaris, che ha lavorato moltissimo in questi anni prendendosi sulle spalle anche responsabilità istituzionali, avrebbe voluto, in qualche modo, una sorta di benedizione da parte di Pisapia come naturale erede per la prossima legislatura. Avrebbe voluto partecipare alle primarie con questa investitura. Ma la benedizione non è arrivata e, di settimana in settimana, la convivenza in giunta con l’assessore-candidato Majorino si è fatta sempre più tesa. Di qui l’escalation dell’insofferenza. Fino alle clamorose dimissioni di martedì. Dimissioni che equivalgono a un’uscita di scena dal proscenio politico milanese, dato che a questo punto riesce difficile immaginare De Cesaris candidata a qualsiasi incarico elettivo dopo una simile sceneggiata. Ma del resto l’avvocato De Cesaris eletta non lo è stata mai: in giunta entrò da assessore “tecnico” per scelta del sindaco. Forse, se avesse dovuto rendere conto ai propri elettori, sarebbe andata diversamente.

Ivan Berni

 

Politica, TEMPI MODERNI Giugno 9, 2013

Delusione arancione: lettere da Milano

Cara Paola,

mentre contemplavo la buca che ho da anni davanti a casa –mi ci sono affezionata, le voglio bene, guai a chi me la aggiusta!- pensavo che questa cosa di Milano degelatizzata ci sta dando la misura esatta della diffusa delusione nei confronti di questa giunta, per la quale molte e molti di noi hanno lottato tanto. Gente di Napoli che chiama amici e parenti emigrati qui: “Maro’! Manco o’ gelato!”. Poi il sindaco è costretto a precisare: ma no, c’è un equivoco… Tant’è.

La festa, l’arancione, il doppio arcobaleno… sì, ciao. Mia mamma, che di sindaci ne ha visti tanti, lo dice in una sintesi efficace: “Par che el sindich el gh’è no”. “Pare che il sindaco non ci sia neanche”: traduco per te, ragazza sarda flamboyant che vivi a Milano, e perciò milanese perfettissima come me che sono il solito miscuglio imbarazzante, dalla Germania al profondo Sud con deviazione a Pittsburgh-Pa.

Cara Paola, io vivo in una dead zone con potenziale grandissimo: c’è quel meraviglioso naviglio leonardesco, “la” Martesana, popolato di anatre, aironi, pseudo-castori (le nutrie), cani scodinzolanti, e umani corridori che si fanno al trotto o in bici tutta l’alzaia: si arriva fino all’Adda. Con lo skyline metafisico delle ferrovie e dei treni, circondato da parchi stupendi (l’ex Trotter, Villa Finzi e il Parco Martesana che via via sta venendo su).

Salvo un progetto per l’ex-Trotter, l’abbandono di questa zona -5 minuti 5 di linea rossa da Piazza Duomo-, è assoluto e incomprensibile. Be’, spostati di lì, diranno tanti: vai a vivere in centro, rinuncia ai tuoi pomodori sul terrazzo, al basilico e alla bicicletta.

Vorrei che tu vedessi i meravigliosi magazzini delle ferrovie in via Sammartini, attualmente in dotazione a Grandi Stazioni: una cosa per la quale qualunque sindaco dovrebbe leccarsi i baffi. Potrebbero diventare i nostri docks e configurare una perfetta zona da movida, visto che lì non ci sono case e non dai noia a nessuno, con la “riviera” del Naviglio a pochi metri, e il gelato te lo potresti fare anche alle tre di notte.

I magazzini delle Ferrovie in via Sammartini, meraviglia abbandonata al degrado

Recuperi del genere sono stati già realizzati a Berlino e a Parigi, ça va sans dire. E invece qui non si muove foglia, se non associazioni di volonterosi cittadini che lo scorso we hanno organizzato una festa per vivificare la zona morta. Segnalo anche, se posso, nell’adrianesca via Gluck che fa parte del comprensorio, uno stupendo Museo del Manifesto Cinematografico –ovviamente privato- dove si possono anche organizzare feste ed eventi, con un barettino delizioso dedicato ad Adriano (vai a vederlo, è al numero 45).

I magazzini ferroviari di Parigi, molto simili a quelli di Milano, dopo la ristrutturazione

Faccio questo esempio ma potrei farne mille altri a dimostrazione di un procedere svogliato, stentato e areaC-centrico. E che palle questo centro storico! Che noia, che dead zone, quella sì. Il prossimo sindaco lo vorrei abitante ad Affori, a Turro o all’Ortica, così lo sguardo finalmente cambierebbe. Guidato dal desiderio di portare la bellezza anche a casa sua. Perché la bellezza cambia tutto, è il vettore ed il motore principale di tutto, nel nostro Paese.

Così, sempre contemplando la mia amata buca e le sue compagne -oltre le quali si estende un giardinetto comunale anche lui abbandonato da anni, e se non bastasse circondato da una atroce retazza di plastica arancione forse per farci soffrire di più, o forse perché è arancione- mi pare che a questo sindaco e alla sua giunta oltre ai soldi manchi la potenza del sogno e della visione, manchi l’entusiasmo –come se fossero stati condannati a essere lì-, manchi il progetto politico, che poi significa perseguire la minore infelicità per il maggior numero e immaginare la città in cui questo sia possibile, avere un’idea di città. Ovvero dire definirne l’identità all’orizzonte e perseguirla usque ad sanguinis effusionem. Tutto questo che sta mancando rende la compagine governativa nostrana molto esangue e a tratti perfino un po’ torva: tu prova a fare una critica su come stanno lavorando e vieni automaticamente rubricata tra i nemici del popolo. Come se non fossero all’ascolto, ma in difensiva perenne. Se poi menzioni la cacciata biblica di Stefano Boeri, attivissimo assessore alla Cultura defenestrato senza che ancora ce ne sia stata data spiegazione plausibile a parte il suo caratterino, be’, allora cerchi proprio guai.

Cara Paola, non sono nata borghese. Sono cresciuta in un milieu operaio. La mia infanzia è stata tra le tute blu, rivediti “Romanzo Popolare”: il mio mondo era precisamente quello, le Vincenzine, i manufatti, sveglia alle sette con le sirene della Breda e della Falck e tutto il resto. Un’infanzia in cortile, per strada, al bar, dura e molto felice. Io amo il popolo, so esattamente com’è e che cosa vuole. E non ti dico la noia di ritrovarmi costantemente a colluttare con tanti di questi borghesi “comunisti” e talora guerriglieri del centro storico, che invece di godersi beati i loro molti privilegi –ne ho conosciuti alcuni che volevano andare a lavorare in fabbrica, alla catena, quella dalla quale io e tanti altri abbiamo voluto fuggire, traditori del popolo! e giustamente i genitori li hanno sbattuti in analisi dal professor Musatti-, hanno sempre preteso di insegnare alla sinistra che cos’è la sinistra, e al popolo com’è il popolo e che cosa è giusto per lui: la periferia, le bibliotechine sfigate, i mercati miserabili, le slot machine, i centri massaggi cinesi, i giardinetti spelacchiati con lo scivolo giallo rosso e blu. Mai la bellezza, mai il glamour, eh no, per carità! Perché se no il popolo non è più il popolo come lo pensano loro, se no la periferia non è più la periferia come deve essere. Gli si spostano gli stereotipi e gli viene una labirintite ideologica.

Tu pensa la vecchiezza di ragionare ancora in termini di centro-e-periferia, e non invece in una prospettiva policentrica, in cui ogni zona abbia la sua propria vocazione, il suo proprio centro vivo e pulsante.  Che fine ha fatto, a proposito, il progetto dei Municipi?

Che tristezza, Paola. Che delusione. Che mediocrità. Che provincialismo: con il low cost anche il popolo viaggia, in classe economica, e fa i confronti con il resto del mondo.

Almeno tu ogni tanto nella tua Sardegna ci puoi tornare. Quando ci vai, salutamela.

(questa lettera da-milanese-a-milanese è per Paola Bacchiddu, “giovane” collega che stimo molto e a cui auguro un grande futuro. Paola mi risponde)

 

Cara Marina, innanzitutto ricambio la stima.

Sono arrivata a Milano nel settembre del 1991. Avevo 16 anni. Ricordo ancora gli acquazzoni di quell’autunno – io, che arrivavo da Cagliari – e mio padre che, durante un pranzo, convocò me e le mie sorelle per spiegarci che Milano era “altra cosa” dalle città in cui avevamo abitato finora.
“In che senso?”, chiesi. “Nel senso che non è paragonabile a nessun’altra città”, mi rispose lui.
Ci penso spesso a quella frase che allora non capii. All’epoca, l’ultima coda di quella “Milano da bere” – amministrata dal socialista Paolo Pillitteri – stava per essere spazzata via dalla stagione di Mani Pulite, dopo l’arresto di Mario Chiesa nel febbraio dell’anno successivo. L’immagine di quegli anni sono i lampeggianti azzurri delle volanti che attraversano di corsa la città. Sono gli arresti, continui. E una parola, pronunciata come un mantra liturgico: tangenti. Ricordo anche il primo sindaco leghista, Marco Formentini, dopo la parentesi socialista di Giampiero Borghini e del commissario prefettizio Claudio Gelati. Bossi, il suo leader, urlava “terùn”, dalla piazza prospiciente Palazzo Reale. E mi chiedevo dove fossi precipitata.

Non ho percorso questo amarcord a caso. Quando penso a Formentini, oggi, a vent’anni di distanza, mi ritrovo a esprimerne un giudizio tutto sommato positivo. E questo mi sorprende. Due anni fa, l’ondata arancione dell’attuale sindaco Pisapia si guadagnò nove circoscrizioni su nove. La città era stanca dei dieci anni di gestione di centro-destra, con Albertini e Moratti. Gli associazionismi, i comitati germinati spontaneamente, i partiti politici, gli elettori stessi si erano stretti in un grumo fiducioso attorno a chi prometteva – per la vecchia capitale morale d’Italia – “la grande visione”. Nel suo primo discorso, al teatro Litta, come candidato premier del centro-sinistra, Pisapia parlò di “buche sulle strade”. E io pensai, con scarsa lungimiranza, che un sindaco che intende conquistarsi una città come Milano deve promettere molto più di questo: deve regalarci il sogno o, quantomeno, un orizzonte.

Due anni dopo, invece, con rammarico e uno strano senso del paradosso, noi, che a quel sogno ci avevamo creduto, ci troviamo a lagnarci proprio di quelle buche che la giunta non riesce a riparare, neppure in un’ordinaria amministrazione. Quelle a cui tu sei affezionata, e che io cerco di schivare, a bordo dello scooter, per non spezzarmi il collo in un Corso Sempione non proprio secondario, quanto a viabilità.
Che è successo? L’assessore Majorino risponde attribuendo la responsabilità al patto di stabilità, alla spending review, ai tagli attuati dal Governo centrale, al buco in bilancio lasciato da Letizia Moratti. Il suo collega D’Alfonso risponde alle legittime obiezioni di Marco Vitale (“”manca il progetto, non c’è la visione”), gettando benzina sullo scontento: “La macchina comunale si è rivelata essere un imbarazzante trabiccolo e in due anni siamo riusciti a cambiare poco o nulla”.
La città sembra aver perso tutti gli appuntamenti di gestione ordinaria che si era prefissato di risolvere: la sicurezza, la sporcizia, il traffico, la qualità dei servizi. L’ultima miccia che tu ricordi – un’altra puntuale ordinanza restrittiva per vietare il consumo dei gelati oltre la mezzanotte, allo scopo di evitare “gli assembramenti” nella zona della movida – ha deflagrato lo scontento. Con intempestivi comunicati di smentita che confermano il già deciso e accendono un riflettore su una giunta tesa, nervosa, divisa (ormai, dopo la cacciata di Boeri, non si contano più le tensioni intestine).

Cara Marina, Milano e chi la ama – come te e come me che non ci sono nata ma ho imparato a non poterne più fare a meno – non si meritano, forse, qualcosa di meglio? Mancano 24 mesi ad Expo e io ricordo, ancora con sgomento, le pattuglie di vigili urbani a multare le auto, anche straniere, parcheggiate attorno alla zona di via Savona, durante il salone del Mobile di quest’anno.
Ma perché? Perché trasmettere l’identità di una città che respinge? Perché, come tu ricordi, la Martesana non può essere un fiore all’occhiello che brilla nel cuore di un capoluogo ostaggio di luoghi comuni spesso ingiustificati? A Milano non si lavora, solo. Non si produce, solo. A Milano si vive, si lotta, e ci s’innamora. Milano è forte: nel suo spirito civico, nel suo apparato associazionistico, nelle sue strutture sanitarie (scandali a parte), in quella capacità – in fondo ancora ne è rimasta, anche se siamo in Italia – di consentire una possibilità di successo a chi qui viene ad abitare, e a scommettere sul futuro.
Uno scrittore che amo molto, Sandrone Dazieri, ha scritto in un suo romanzo una cosa che io condivido e che forse non molti comprendono: “Milano non è una città, ma un grumo di lava che ha subito tutte le furie. Che è sterile, come il deserto, e per starci bisogna essere attrezzati. Che non è adatta ai dilettanti. Per questo la amo”.

E allora, Marina cara, perché dovremmo accontentarci di una gestione dilettantistica?

Donne e Uomini, Politica Marzo 16, 2012

Vendita Sea: giunta in diretta, per favore

in coda a palazzo marino per stringere la mano al neoletto pisapia

A nome di tutti que* cittadin* che hanno messo faccia, energie, desideri, fiducia, tempo, lavoro, passione, amor mundi, lotta, allegria, dico che sulla vicenda di una possibile turbativa d’asta per la vendita di Sea, azienda che gestisce gli aeroporti milanesi, al fondo F21 di Vito Gamberale (vedi L’Espresso in edicola oggi) va fatta in tempi rapidi la massima chiarezza, e con la massima trasparenza.

Perché il disinganno sarebbe feroce, e il danno irreparabile: al patrimonio morale dei/le milanesi che ci hanno creduto, prima ancora che a quello pecuniario. A tutta quella gente che si è messa in fila per andare a stringere la mano al nuovo sindaco, subito dopo la sua elezione. Gesto simbolico e commovente, che dice la fiducia tra due esseri umani.

Se qualcuno dentro la giunta ha garantito illegittimamente interessi privati, traendone un suo vantaggio, anziché il bene pubblico, insomma, se qualcuno ha rubato, perché l’essenza della faccenda è questa, che sia cacciato con ignominia e tempestività.

Domenica è indetta una riunione di giunta: che la discussione sia pubblica. Si monti uno schermo davanti a Palazzo Marino, o in piazza San Fedele, come si fece al debutto della nuova amministrazione, in modo che * cittadini possano sentire, vedere, capire.

Corpo-anima, Politica Gennaio 16, 2012

Abbiamo lottato per questo

L’amica Maria Berrini, presidente di Amat, comunica che  sono stati elaborati i dati del primo giorno di limitazione del traffico a Milano fino alle 19.30.
“Si conferma il successo di Area C. Meno 32,5% di traffico in accesso, pari a 40.000 auto in meno. Domani vi diamo altri dati, ma questi sono ottimi. Benvenuta Area C. E’ stata una faticata arrivarci, ma ora possiamo concentrarci sul resto, e realizzare aree pedonali, bike sharing e percorsi ciclabili, corsie preferenziali e parcheggi interscambio fuori dal centro…..e tanto altro”.

Se questo decremento del traffico si confermerà nel corso della settimana, sarà un risultato storico. Straordinario! L’inizio di una rivoluzione urbana, a partire dall’elemento aria. Dopo decenni di palliativi, la città guarirà da molti malanni.

40 mila auto in meno: basterebbe questo per dire che è valsa la pena di lottare.

Sono molto molto felice (e tengo le dita incrociate).

AMARE GLI ALTRI, Donne e Uomini, esperienze, Politica Settembre 27, 2011

Guardate Milano!

L’altra sera vengo intervistata da una radio romana, e il conduttore fa riferimento alla rivoluzione maghrebina, a quello che succede nel Nordeuropa… “Guardate Milano!“, gli dico. Non riusciamo mai a vedere quello che abbiamo sotto il naso.

Qui si sta facendo la politica nuova. Qui, con enorme fatica, nella penuria ma anche con fiducia, stiamo davvero spingendo tutti insieme. La città resta stra-mobilitata, le occasioni di “partecipazione” -parola che non mi è mai piaciuta molto- si moltiplicano. Ieri sera, a una riunione dell’Agorà del lavoro c’era anche la giovane assessora Cristina Tajani, che aveva offerto la sede per l’iniziativa: “Non siamo noi che diamo a voi” ha precisato. “Sono le istituzioni che chiedono a voi spunti e suggestioni per nuove pratiche politiche”.

E’ questo il segno più grande di cambiamento. Questo sporgersi di chi sta dentro verso “fuori”, verso la città, ad ascoltare, a chiedere, a riconoscerne il primato. Questo mostrarsi bisognosi: gli assessori, il sindaco, e perfino il nuovo arcivescovo Scola (“Sosteniamoci, vi scongiuro“: così ha concluso l’omelia del suo solenne insediamento) che chiedono aiuto, che si mettono in posizione di secondi, di amministratori di una politica prima a cui finalmente si dà il nome di politica, e che fino a pochi mesi fa veniva liquidata come “volontariato” e tenuta ai margini. Quella è invece la politica di cui oggi i rappresentanti eletti si pongono al servizio. E’ un cambio di sguardo radicale. E’ il doppio sguardo, anche qui.

Tra i cittadini il desiderio di fare è talmente grande da non trovare canali sufficienti, e bisognerà inventarseli. Guardate Milano! E’ un laboratorio politico in atto, merita tutta l’attenzione. Perché quello che si sta facendo qui presto si farà nel Paese.

Donne e Uomini, Politica Giugno 10, 2011

FIDUCIA!

27 maggio 2011, l'arcobaleno beneaugurante su Milano

Se la giunta milanese è questa, lo sapremo ufficialmente oggi, siamo a cavallo. Hanno lavorato fino alle 3 di stanotte. E ora il laboratorio Milano può partire davvero.

Maria Grazia Guida vicesindaco con delega all’Istruzione.

Bruno Tabacci al Bilancio.

Stefano Boeri alla Cultura con delega all’Expo, Moda e Design.

In Giunta il cattolico del Pd Marco Granelli.

Al giovane del Pd Pierfrancesco Maran Ambiente e Mobilità.

Al Welfare il capogruppo uscente Pierfrancesco Majorino.

La direttrice del carcere di Bollate, Lucia Castellano si occuperà di Sicurezza.

Tra le new entry Chiara Bisconti, dirigente delle Risorse umane della San Pellegrino, che si occuperà di Benessere. 

Franco D’Alfonso, coordinatore della lista “Milano civica”, alle Attività produttive.

La giovane funzionaria Cgil vicina a Sel Cristina Tajani al Lavoro.

Per Sinistra Ecologia e Libertà anche il Decentramento che va a Daniela Benelli.

L’avvocato Ada Lucia De Cesaris, presidente del collegio dei Garanti del Comune, all’Urbanistica.

Alla Federazione della Sinistra andrà molto probabilmente la presidenza dell’aula di Palazzo Marino (con il decano dei consiglieri, Basilio Rizzo)

Molte donne in giunta, come promesso, e donne capaci (e adesso tutti quelli e tutte quelle che mi hanno detestata per aver rotto l’anima a Pisapia sul 50/50 vengano a Canossa: pardon, nota personale).

L’età media si è decisamente abbassata. La necessaria mediazione con i partiti non è andata a scapito delle competenze. Insomma, c’è motivo di avere molta fiducia. Fiducia, fiducia, fiducia! Stiamo attorno alle nostre ragazze e ai nostri ragazzi, tutte e tutti pronti a dare loro una mano.

Un vivissimo buon lavoro a tutti, ma permettetemi di abbracciare in particolare Maria Grazia Guida, Stefano Boeri, Lucia Castellano, Chiara Bisconti, e i due Pier! Vi voglio bene!

eccole/i qui!