Per i “progressisti”, chiamiamoli così, è molto difficile criticare l’Islam: anche solo ammettere che costringere le donne a nascondere il loro corpo, del tutto o in parte, per non eccitare gli uomini è una pratica profondamente misogina. Ci sarà sempre qualcuno e anche qualcuna che ti riconduce all’ordine dicendoti che quelle sono usanze e vanno rispettate. Importa molto meno che quelle “usanze”, e altre anche più violente, come i matrimoni combinati, la poligamia, le spose bambine, o peggio, hanno come comun denominatore una gravissima limitazione della libertà di creature nate libere come tu stessa pretendi di essere.

Un altro argomento è che quegli usi brutali non appartengono all’Islam, ma alla cultura arcaica e tribale di quei popoli, e che usi e costumi simili fanno parte del nostro passato: resta però il fatto che la grande parte dell’Islam non si oppone a quei costumi e anzi, a quanto pare, la cosiddetta islamizzazione va di pari passo con l’imposizione di quegli usi, la maggioranza dei quali ha a che vedere con la limitazione della libertà femminile. Un’esigua minoranza dell’Islam legge e rilegge i testi per trovarvi fondamenti di libertà a vantaggio delle donne e di tutti, ma a giudicare da come stanno andando le cose l’operazione non sta dando i risultati sperati. La morsa dell’Islam fondamentalista è sempre più feroce, sempre più vicina, e forse sarebbe il momento di cambiare strategia.

Altro argomento ricorrente è che quelle donne scelgono liberamente di velarsi, di vivere segregate o altro: qui l’ipocrisia è lampante. Diciamo piuttosto che quelle donne scelgono di vivere, o almeno di sopravvivere. L’unica alternativa alle condizioni imposte sarebbe la fuga –le più ricche spesso riescono a espatriare- oppure la morte, quanto meno la morte civile.

Il nuovo romanzo di Michel Houellebecq, “Sottomissione” (in libreria per Bompiani il prossimo 15 gennaio) parla della Francia del prossimo decennio, con un presidente musulmano, l’Islam che ha trionfato sull’Illuminismo, le donne che rinunciano all’emancipazione, l’introduzione della poligamia: la perdita di libertà delle donne è il perno del cambiamento. Un’Europa debole e sfinita che ha ceduto alla forza di quel credo. La destra, a cui Michel Houellebecq fa riferimento, ha costruito da tempo una narrazione piuttosto dura ma inequivoca contro l’islamizzazione: i musulmani sono nemici che vanno combattuti,  in caso diverso soccomberemo. La narrazione della sinistra è più incerta e di maniera: dialogo con l’Islam moderato, tolleranza, convivenza. Ai confini con l’indifferenza. Il monopolio della critica è ceduto alla destra. Una political correctness che secondo intellettuali femministe musulmane come Irshad Manji e Ayaan Hirsi Ali (tra l’altro cofirmatarie del Manifesto dei dodici che parla dell’islamismo come di un nuovo totalitarismo) l’Islam fondamentalista legge come debolezza. Ma la maggioranza delle femministe occidentali, legate storicamente e culturalmente ai movimenti di sinistra, condivide questa impostazione dialogante e tollerante. E parlando di quelle donne maltrattate, vessate e segregate, osserva che tocca a loro decidere di lottare in prima persona per la propria libertà.

In questo atteggiamento del femminismo occidentale io vedo un notevole grado di ignavia “borghese”, una ritrosia culturale e politica a fronte di problemi di difficilissima soluzione. Vero che io non posso sostituirmi a un’altra nella sua ricerca di libertà, anche quando sento tutta la sua sofferenza, ma in questo silenzio di grande parte del femminismo io vedo un problema per la mia stessa libertà. Non posso più a lungo tacere –in verità non ho mai taciuto- di fronte alla violenza misogina di una cultura con cui mi tocca convivere in modo sempre più stretto. Non posso non constatare che questa “tolleranza”, questo “rispetto” e questo silenzio non stanno impedendo l’islamizzazione di aree sempre più vaste del mondo. Accanto alla sofferenza di quelle donne io ci vivo, nel mio quartiere.

La prima cosa che farei, quindi, è rompere il silenzio “tollerante-indifferente”, guardare in faccia la realtà, nominare la misoginia di quella cultura, riconoscere questa misoginia come costitutiva dell’islamismo e non come un fatto occasionale o collaterale. Vorrei poterlo fare senza che ciò significhi necessariamente ed automaticamente una difesa acritica e compatta dell’Occidente e delle sue magnifiche sorti e progressive: e tuttavia risposte tipo “anche noi abbiamo i nostri problemi” o “è colpa nostra se le cose stanno andando così” mi sembrano solo un modo per poter permanere indisturbate nell’ignavia.

Ho molto bisogno di parlarne con altre. Ho bisogno di capire che cosa sia giusto dire e fare.

Spero ci siano presto le occasioni, che finora sono state davvero poche.

 

ultim’ora: l’attentato a Charlie Hebdo, 11 settembre di Parigi, mi fa sentire Cassandra