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flessibilità

Donne e Uomini, economics, lavoro, leadershit Marzo 2, 2012

Lavorerai con dolore

La crisi ha messo tra parentesi tutte le riflessioni sul lavoro fatte specialmente da donne, che entrando in quel mondo delle fabbriche e delle aziende si sono ritrovate scaraventate in modelli organizzativi per loro assurdi (non dimenticare che l’esperienza del lavoro è soprattutto femminile, chi lavora nel mondo sono soprattutto le donne, è il lavoro salariato ad essere più maschile: i soldi se li tengono loro).

Quindi, o così, o pomì. Non farti venire strane idee di flessibilizzazione -alla tua maniera-, di postazioni in remoto, di orari elastici, o addirittura di leadershit, di non-funzionalità della gerarchia, eccetera eccetera. Se vuoi un lavoro, lavora e taci. Come se il dolore, la detenzione dei corpi, la frustrazione, la fatica inutile, le regole mutuate dai modelli militari garantissero maggiore fecondità e maggiore produttività. Siamo l’unica specie vivente a pensarla così.

E’ anche più doloroso, essendo che a parlare di riforma del lavoro sono tre donne, ma di questo pensiero femminile del lavoro, che farebbe una rivoluzione, che produrrebbe effetti a cascata sulla vita di tutt*, nemmeno l’ombra.

Eppure un cambiamento di quei modelli produrrebbe effetti straordinari, dal welfare all’inquinamento ambientale alle relazioni umane.

E invece niente. Mala tempora currunt.

Ma non perdere la fiducia. Bisogna mandare tante donne lì dove si decide, dove si stabiliscono le priorità e le agende.

Si deve rompere il monopolio maschile. Tenersi concentrate sull’obiettivo.

ambiente, Corpo-anima, lavoro, Politica Gennaio 13, 2012

La vita al primo posto

Iscrivo l’orribile episodio di ieri a Milano, il vigile urbano Niccolò Savarino deliberatamente travolto e ucciso da un Suv che ha trascinato lui e la sua povera bicicletta per trecento metri, nel tessuto simbolico della guerra che si sta combattendo tra le auto e i viventi.

Le automobili fanno ammalare e uccidono, deturpano il volto delle nostre città e le anime delle persone, rendono la convivenza incivile, ci costano infinitamente di più di quanto rendano.

E’ arrivato il momento della mano ferma e di una svolta radicale. I provvedimenti sull’area C, confortati dall’esito chiarissimo di un referendum, che limitano fortemente il traffico privato nel centro storico -perfettibili e aggiustabili, dopo una necessaria fase di sperimentazione, e progressivamente allargabili a tutte le altre zone, in una prospettiva di città policentrica– devono soprattutto dimostrare che senza auto, o con meno auto possibili, si vive benissimo. Anzi, si vive meglio, la vita torna al primo posto, esattamente dove deve stare.

Va in questa direzione il provvedimento adottato dall’assessora al Personale e al Benessere Chiara Bisconti, che introduce la flessibilità nell’orario di ingresso per i quasi 16 mila dipendenti del Comune: il traffico urbano si riduce soprattutto in questo modo, e speriamo che l’esempio virtuoso sia seguito da un grande numero di aziende metropolitane.

Quando si parla di Milano come laboratorio politico io penso soprattutto a fatti come questi.

economics, TEMPI MODERNI Novembre 24, 2009

NUN SE MAGNA

5_pranzo_aquileia

E ora risparatemi. Questa idea del ministro Gianfranco Rotondi (“Aboliamo la pausa pranzo”) non mi pare affatto una cattiva idea. Io mi auto-organizzo e per me il pranzo proprio non esiste. Quando devo farmene uno, pranzo di lavoro, rallento, mi viene sonno, la ripresa è complicata, ho la sensazione di perdere un sacco di tempo in un rito obbligatorio. Che quell’ora di pausa una o uno possa spendersela come vuole (anticipando l’uscita, posticipando l’entrata, staccando a metà mattina per un’incombenza, e così via) mi sembra una cosa sensata e praticabile, all’insegna di una maggiore flessibilità.

Il punto di osservazione del ministro, poi, è squisitamente romano. “Il dottore è in pausa pranzo” spesso significa che prima delle 16.00-16.30, tra fritturine e pizza bianca, non si vedrà nessuno. E ora che si ricarbura -vuoi non berti un paio di bicchieri di bianco?- si fanno minimo le 17.00. Se l’altro dottore nel frattempo fosse in servizio con il suo yoghurt, magari sarebbe un vantaggio per tutti.

TEMPI MODERNI Giugno 2, 2009

BARACCONI MANGIASOLDI

Sono una ragazza sensibile agli sprechi: spengo le luci accese inutilmente, non lascio correre l’acqua a vuoto. Mi secca molto anche buttare il pane avanzato, ma non ho galline (si possono tenere galline in un condominio metropolitano?). Quelli che fra voi lavorano in una grande azienda soffriranno come ho sofferto io per il riscaldamento a palla in certe sfolgoranti giornate di sole –che in più fa ammalare: ma gli impianti in quegli enormi baracconi non si comandano in pochi minuti-, per l’illuminazione degli uffici, spesso giorno e notte, per gli spazi inutilizzati, i tempi morti e improduttivi, gente che passa giornate su Facebook nell’attesa che qualcuno le dica che cosa deve fare: vite buttate; e in più il tempo perso per raggiungere il posto di lavoro, le strade intasate di macchine alle otto del mattino, l’aria impestata dagli scarichi, il costo sociale dell’infelicità. Cose che sappiamo tutti.
In questi momenti difficili, con il Pil che cala a picco, i bilanci in rosso, il sibilo sinistro delle forbici alle orecchie, mi domando: non verrà in mente a qualcuno che si potrebbe tagliare proprio lì, riducendo i costi di queste cattedrali di vetro e acciaio a ventilazione forzata, approfittando della splendida tecnologia pulita di cui oggi disponiamo, decentrando funzioni e mansioni che non richiedono la compresenza fisica –e oggi sono moltissime-, flessibilizzando gli orari, ottimizzando le prestazioni, smontando definitivamente il fordismo per favorire un ritorno a quel casa-e-bottega che risolverebbe in un colpo solo molti problemi (meno inquinamento, quartieri più vivi e più belli, welfare più leggero, meno infelicità, e per le aziende meno spese)?
Non apro nemmeno il capitolo degli sprechi della politica politicante, di lì non mi aspetto davvero più nulla, se non lo spettacolo indecoroso degli ultimi giorni di Pompei: ma per i privati non sarebbe il momento di attivare certe innovazioni virtuose, passando da un improduttivo, dispendioso e farraginoso modello patriarcal-militare-gerarchico-piramidale, tutte le truppe ritualmente ammassate lì in attesa di comandi, a un modello reticolare, complesso, dinamico, leggero e, ma sì, lasciatemelo dire, femminile?
Del resto ormai da tempo il lavoro non è più cosa per soli uomini.

(pubblicato su Io donna- Corriere della Sera il 30 maggio 2009)

Politica Ottobre 31, 2008

LETTERA A EMMA, “TUTTA INTERA”

Emma Marcegaglia

Emma Marcegaglia

Gentile Dottoressa Marcegaglia, cara Emma,

un’amica, Zeynep Bodur Okya, grande industriale turca, parlando del rischio di civilization clash e della possibilità che le donne, con il loro talento per la mediazione, svolgano un ruolo di dialogo e di pace, mi ha detto con semplicità una cosa che sappiamo bene tutte: “Tra donne ci si capisce. Io sto nel mezzo, tra voi occidentali e le donne del Golfo. E mi trovo bene con tutt’e due. Ci sono sempre molte cose in comune. Sono una mamma ed è madre anche l’altra: questo ci unisce e ci unirà sempre, contro ogni stereotipo reciproco. Sono gli uomini che separano. Noi siamo sempre esseri umani tutti interi”.

Per questo la chiamo Emma. E parlo a lei “tutta intera” per raccontarle quello che certamente lei già sa: la grande sofferenza delle donne costrette a lavorare come uomini -con i modi, i ritmi, le modalità organizzative e i tempi pensati per gli uomini- anche in comparti produttivi fortemente femminilizzati; la loro solitudine di fronte ai compiti di cura, che restano comunque sulle loro spalle; e anche la loro enorme capacità di resistenza, visto che non mollano su nessuno dei due fronti, il lavoro della produzione e quello dell’amore. Un “doppio sì”, come dice il titolo del libro-inchiesta della Libreria delle Donne di Milano, a cui nessuna sembra volersi sottrarre. Salvo la fuga, ogni volta che sia possibile, nel lavoro autonomo, dov’è meno impossibile lavorare “da donne” e organizzarsi con quelle modalità flessibili che da decenni costituiscono il Graal per tutte noi.

La sua collega Annamaria Artoni, presidente degli industriali dell’Emilia Romagna, sostiene -sentita con le

Annamaria Artono

Annamaria Artoni

mie orecchie- che perfino l’industria manifatturiera sarebbe oggi in grado di introdurre il tempo flessibile. E allora, è la domanda, perché non capita? Che cosa continua a ostare a questa innovazione, che sarebbe uno straordinario fatto politico -parlo di politica vera, non di quella là-, proprio perchè cambierebbe, e in meglio, la vita delle donne, dei bambini, della comunità e della polis?

Il fatto che lei sia a capo di Confindustria costituisce una grande occasione storica, per lei stessa e per tutte e donne di questo paese, con l’auspicio che lei riesca a portare in quel ruolo se stessa “tutta intera”, con tutta la sua sensibilità e il suo sapere di donna. A pensare al lavoro femminile non più come l’eccezione a una norma maschile, ma come al lavoro tout court. E dunque non in chiave di tutele, di sostegni, di “permessi”, ma di centralità.

Certo: con l’arietta di recessione che tira, se vi saranno dei prezzi da pagare -e per colpe altrui, beninteso-, il rischio è che le donne siano le prime. Sappiamo che le cose di solito vanno così, i cocci sono sempre i loro. E parlare di orario flessibile e di organizzazione del lavoro può apparire un lusso quando è il lavoro a essere in forse. Ma lei sa benissimo che se le donne perdono, perdono anche le aziende e il progresso del paese, che dell’apporto del “genio” femminile, come diceva Giovanni Paolo II, hanno un grande e crescente bisogno. E sa anche che questa crisi, che ci costringe a ridiscutere i criteri liberistici che hanno de-regolato l’economia e la convivenza civile, può costituire anche l’occasione per una grande purificazione, e per un generale ripensamento che può riguardare anche i contenuti e i modi della produzione.

L’auspicio è che le donne siano protagoniste di questo ripensamento, come lo sono oggi del lavoro. Che il loro sapere e il loro “doppio sì” possa essere il perno di una pacifica rivoluzione del mondo del lavoro. E che lei, cara Emma, protagonista “tutta intera” della sua grande responsabilità, del tutto donna in un ruolo che è sempre stato degli uomini, insieme alle molte altre donne di Confindustria possa farsene promotrice e interprete.

Con fiducia e stima.