luce irigaray

 

La filosofa e psicoanalista Luce Irigaray ha partecipato ieri al seminario organizzato all’Università di Verona dalla comunità filosofica femminile Diotima.

Tema del seminario: Tra filosofia e psicoanalisi: l’inconscio.

Titolo dell’intervento di Irigaray: L’incertezza della coscienza.

Qui traggo dai miei appunti, al meglio che posso.

 

“Ho potuto “uscire” dalla psicoanalisi solo perché avevo un background filosofico. In caso diverso sarebbe stato difficile fuoruscire da quel labirinto.Vorrei partire da tre domande: 1. quali questioni Sigmund Freud ha posto alla cultura occidentale? 2. quali questioni invece ha omesso di porre?  3. è indispensabile fare riferimento all’esistenza di un inconscio, o si tratta di un prodotto della nostra cultura?

1. Sigmund Freud ha messo in forse la certezza della coscienza, certezza che sta alla base della cultura occidentale. Per la cultura greca la coscienza si basa sulla capacità di percepire il mondo e di organizzarlo e tradurlo in parole giuste. Nel poter fare un discorso, nel logos. Con Cartesio la coscienza diventa altro, la sua certezza si basa sulla rappresentazione del soggetto. La psicoanalisi dice che questa certezza della coscienza è solo illusoria, in quanto la percezione è filtrata, ipotecata da un inconscio. Anzi, da un doppio inconscio, individuale e collettivo. La certezza della coscienza, come è intesa dalla tradizione occidentale, mi impedisce l’incontro con l’altro e con la sua verità. Un’altra conseguenza è che la certezza della coscienza non mi permette di coltivare la mia energia. Se sottopongo la mia energia a verità esterne alla mia vitalità, causo una patologia, provoco un’entropia o una perversione della mia energia. Altro paradigma della cultura occidentale: l’identità. La psicoanalisi ci fa scoprire che l’identità è solo un intreccio di relazioni, con gli altri e con il mondo. Infine, alla separazione corpo-spirito, un altro tra i fondamentali della nostra cultura, Freud oppone un’idea del corpo come memoria, custodia di parole non dette. Queste dunque le questioni che Freud ha posto alla cultura occidentale.

2. Quali sono invece le questioni che Freud non ha saputo porre alla cultura occidentale? Se la psicoanalisi ha intuito che l’identità è relazionale, se ha capito che per guarire si deve sperimentare il transfert, di questa intuizione ha fatto però un uso solo negativo, non ha saputo costruire una cultura della relazione. Il secondo non-detto riguarda la sessualità, che Freud pone al centro. Freud però non parla mai di un’identità sessuata. La sua sessualità è neutra-maschile. E non si può trattare una patologia senza fare riferimento all’identità sessuata, che si appoggia alla certezza della morfologia corporea, la sola terra su cui camminiamo, base della vita personale e relazionale, materiale e culturale.  Infine, quando Freud contrappone natura e culturae impone la legge del padre alla natura-madre, sta imponendo alla natura, alla madre, alla donna qualcosa di sovrasensibile. Ritiene insomma di poter affrontare una patologia della sessualità e dell’identità ricorrendo a qualcosa di sovrasensibile, com’è la cultura-legge del padre. In questo senso la psicoanalisi ad un tempo pretende di guarire e fa ammalare.

3. Un inconscio è davvero necessario? La prima volta che mi sono posta la domanda (lo racconto nel mio libro “Per una nuova cultura dell’energia”) è stata quando per guarire dai postumi di un incidente mi sono rivolta allo yoga, e ho sentito il maestro dire agli allievi che “tutto può diventare conscio”, coerentemente alla tradizione orientale. Per me che ero psicoanalista questo era inaccettabile. Oggi, dopo 30 anni di pratica dello yoga, sarei più prudente. Ogni giorno, grazie alla pratica quotidiana dello yoga, trasformo la mia energia fisica in energia spirituale. Che cosa ne è dell’inconscio? Continuo a pensare che non tutto possa diventare conscio, come sosteneva il maestro, ma molto può essere portato a consapevolezza. Vorrei anche dire che non abbiamo bisogno di alcuna legge del padre per coltivare la nostra identità e la nostra sensibilità. Basta assumere la differenza sessuale, e quindi la propria parzialità, che comporta necessariamente un negativo. Non serve nessuna legge. Nella pratica psicoanalitica si slega l’energia legata, per legarla in un altro modo. Nella mia pratica invece io slego questa energia, e la lascio a disposizione del processo creativo. Infine: l’idea della certezza della coscienza e dalla dicibilità della verità fa riferimento al discorso tra soggetto e oggetto. Ma la parola che ci serve a denominare l’oggetto non è utile per incontrare l’altro. Per poter incontrare l’altro si deve mettere in discussione la certezza della coscienza, ammettendo l’esistenza di un inconscio. Quindi è necessario un inconscio, se intendiamo cambiare la cultura della certezza della coscienza”.

Al termine della sua relazione, Luce Irigaray ha risposto alle domande del pubblico. Ecco alcune delle cose più significative che ha detto:

“Quando parliamo di inconscio, lo intendiamo in due sensi: come ciò che è represso, così lo pensò Freud, oppure come ciò che non è ancora giunto alla nostra percezione. Solo in quest’ultimo senso l’inconscio è una risorsa, fonte di arricchimento”.

“Non riesco a contrapporre Freud e Jung, l’idea di un inconscio individuale e quella di un inconscio collettivo. Anche dal punto di vista freudiano non si può interpretare fino in fondo l’incultura sulla soggettività femminile se non in base a un inconscio collettivo”.

“Per me è importante che il cammino dell’Oriente e quello dell’Occidente oggi si incrocino per lo sviluppo di una  umanità nuova. Per esempio, la cultura orientale ha coltivato maggiormente l’energia, ma manca la dimensione della soggettività. O ancora: vi è differenza tra l’idea orientale di compassione e quella occidentale di amore, ma non dobbiamo rinunciare a nessuno di questi due aspetti. Abbiamo bisogno di una cultura del respiro, ma il respiro ha bisogno di amore. Considero l’anima come una riserva di respiro, come ciò che resta del respiro dopo quel tanto che ho utilizzato per garantire la mia sopravvivenza materiale. Questa riserva di respiro serve alla creazione. Ogni giorno va trovato tempo per il raccoglimento e il respiro. Io lo faccio quotidianamente, mi prendo anche il tempo per stare in contatto con la natura, e quello per scrivere una poesia. Questi sono i miei modi per coltivare l’energia“.