Una nota azienda di cereali per la prima colazione “festeggia” il 25 novembre. In giro per l’Italia ci sono Festival della Violenza (sic!), sagre e perfino dinner party “Scarpette Rosse”. Insomma, mancano i cioccolatini e i bouquet “antiviolenti” da regalare all’amorosa e abbiamo businessizzato, marketinghizzato, mediatizzato, televisionizzato, spettacolarizzato pure la lotta contro violenza e femminicidio, che si arricchisce di giorno in giorno di pericolosissimi esperte/i improvvisati, di nuovi sportelli e centri last minute affidati alle clientele politiche e alle amiche degli amici, nati unicamente per intercettare fondi dedicati.

Intanto le persone serie che sulla faccenda lavorano in silenzio da decenni e molto spesso senza aiuti pubblici, penso per esempio alla Casa delle Donne Maltrattate di Milano e a molte altre realtà, rischiano di chiudere bottega per cedere il passo a questo mix tra istituzionalizzazione, burocratizzazione, business e showbitz. Qui diamo l’allarme da tempo, ma le cose vanno peggio di come si era temuto.

Il 27 novembre, dopodomani, la Conferenza Stato-Regioni presenterà le linee guida per i centri, elaborate dal Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio (una ministra autonoma Matteo Renzi non l’ha voluta). Linee guida obbligatorie per accedere ai finanziamenti pubblici, che contravvengono ai metodi di intervento maturati in anni e anni di esperienza sul campo: la logica è “mettere in sicurezza le donne”, come disse qualcuna (Fabrizia Giuliani, parlamentare Pd) ai tempi del decreto omnibus contro il femminicidio. E’ trattarle come minori “malate” da tutelare e non come soggetti che, in relazione con altre donne, ricostruiscono passo dopo passo la propria vita libera e autonoma, ciascuna in modi e con tempi propri e non standardizzati.

Neutralizzando la differenza e “depurando” l’approccio da ogni sospetto di femminismo e di politica delle donne, le linee guida “sanitarizzano” l’intervento, prevedono la presenza obbligatoria di psicologi e assistenti sociali (anche uomini: errore capitale), un servizio H24, 5 giorni su 7 di apertura, centralino sempre attivo (e chi paga?), separano l’attività dei centri dalle case-rifugio: impostazione stigmatizzata dalle storiche Case, associate in D.i.RE, che parlano di “criteri che schiacciano la connotazione politico-culturale dei centri antiviolenza, volti a produrre cambiamento sociale, sulla logica del mero servizio” (il comunicato qui).

Il rischio è che le Case delle Donne, a meno di stravolgere i propri criteri di intervento, non possano accedere ai fondi governativi.

La speranza è che Giovanna Martelli, nuova consigliera alle PPOO del governo Renzi, possa porsi in ascolto per trarre importanti spunti da un’esperienza quasi trentennale, senza la quale oggi la lotta contro la violenza maschile non esisterebbe.